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Tra la primavera e l’estate del prossimo anno, ci ritroveremo davanti alcune schede elettorali per il rinnovo del Parlamento Europeo e di molte amministrazioni. Ma quando votiamo, cosa votiamo? Sicuramente – anche se oggi meno rispetto al passato – per grandi idee che ci fanno preferire uno schieramento in alternativa ad altri. Un fatto innegabile è che votiamo per decidere la quantità di spesa pubblica che vogliamo. Questo, in sintesi, perché i mercati privati non possono funzionare sempre e non sono così efficienti come sembra.
Non tutti però sono d’accordo su questa tesi. A sinistra si ritiene che il meccanismo del mercato non possa essere lasciato a se stesso, ma debba cedere il passo ad un processo di decisioni economiche di carattere politico. A destra si suggerisce invece di “spogliare” il maggior numero di beni pubblici dalle loro caratteristiche “pubbliche”, in modo tale da trasformarli in beni “privati” da far gestire e regolare al mercato, stabilendo così il livello desiderabile di produzione di questi beni.
È nota la mia personale propensione per la prima ipotesi. Perché? Gli esempi possono essere molti. Un classico della materia è che il sistema della difesa nazionale non può essere costruito in modo da proteggere solo i cittadini che possono contribuire e non estendersi a tutti gli altri. O meglio ancora difendere in maniera diversa i cittadini a seconda di quanto hanno pagato. Ma il sistema può estendersi ad altri beni.
La Polizia di Stato,pubblica, potrebbe essere sostituita da un corpo privato che proteggerebbe soltanto chi porta un distintivo che attesti il suo pagamento al fondo destinato alla polizia. Oppure far risolvere le controversie giudiziarie solo a chi può permettersi di pagare giudici e giurie. Non si pensi che tutto ciò sia una semplice banalizzazione. Basterebbe scorrere i giornali di questi giorni sulle proposte del centrodestra di privatizzare la sanità pubblica ed applicare lo schema sopra richiamato, per renderci conto che questa discussione non è così lontana ed inattuale.
Il nodo vero è che i beni pubblici non possono essere pensati come semplici merci, ma come elementi integranti il nostro sistema di diritti. Questo è il motivo per cui la sinistra parla di “allargamento” o crescita dei diritti.
Non volendo lasciare alla semplice capacità del mercato questa regolazione si ricorre, quindi, ad un altro meccanismo di scelta : il voto.
Purtroppo il voto possiede alcuni limiti che ben sappiamo. Possiamo infatti dire si o no a partiti e coalizioni senza poter suddividere su diversi argomenti le nostre scelte, come invece possiamo fare quando spendiamo i nostri soldi. In questo modo possiamo ritrovarci ad avere una spesa pubblica gonfiata in un settore ed insufficiente in un’altra.
Nella Sinistra che penso io comunque, restano fondamentali alcuni idee che non possono essere soddisfatte dalla destra: non possiamo pensare che la difesa nazionale, la scuola, la giustizia possano essere trasformate nella roccaforte dei privilegi dei ricchi, così come non siamo indisponibili a dire alle persone che non potrà essere curata al meglio perché non ha i soldi per una sanità complementare. E se un primo discrimine è pensare che a questo punto il mercato non può risolvere da solo i problemi della gente, quando poi forse li complica – deve essere chiaro anche che la distribuzione delle risorse deve essere ripensato. I soldi pubblici non devono essere spesi per le sagre della trota salterina, ma ad esempio per far crescere la ricerca nei nostri territori e per un sistema di sicurezza sociale più robusto. Non è certamente nuovo il pensiero che le persone sono disposte a rischiare di più e meglio in innovazione ed intraprendere nuove attività, se possono contare su un sistema di sicurezza sociale più forte. Proprio in questi giorni, ce lo ricordano diversi economisti che mettono a confronto la crisi del ’29 con quella attuale. L’uscita, allora, si chiamò New Deal e non, semplicemente, libero mercato.
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