Da diverso tempo sappiamo che l’Italia è un Paese a “crescita zero”. Ma “conviene” fare figli in Italia? E’ chiaro come la maternità non sia certamente una scelta che si compie su basi “economiche”, ma queste possono sicuramente condizionarla, con i risvolti che ben sappiamo di impoverimento generale del Paese. E quindi, oltre a trasformazioni di tipo culturale, è vero che l’instabilità economica e lavorativa influiscono nel deprimere il numero di nascite in Italia? Un indizio in questo senso ci viene fornito dai dati elaborati dal CENSIS nella relazione 2009. Prendendo in esame i dati del 2005 le cifre ci dicono che il 55,2% delle donne che hanno avuto un figlio erano occupate e che a loro sia stato erogato complessivamente l‘84,0% delle prestazioni per la maternità (pari mediamente a 5000 euro). Le donne disoccupate che hanno partorito rappresentavano invece una quota del 5,2%, mentre le madri in condizione non professionale rappresentavano il 39,6%. Associando anche una rilevazione ISTAT che cita come molte madri non affrontano una ulteriore gravidanza, pur desiderandola, per motivi “economici” nel 20,6% e di lavoro nel 9,6%, il quadro diventa più nitido. La condizione lavorativa è quindi sicuramente un impulso importante per aumentare il tasso di natalità. Ma al di là di tutte le considerazioni che è possibile estrapolare, questo quadro ci consegna un’indicazione precisa per la politica. Questi dati infatti confermano come il mercato del lavoro rappresenti uno strumento formidabile e ineludibile per qualsiasi politica che abbia come meta l’aumento della natalità del nostro Paese, quasi il canale privilegiato attraverso il quale agire.
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