A noi piace il fatto che Al Gore ed il gruppo di scienziati dell’IPCC vincano il Nobel per la pace: è sicuramente un momento di rottura, un gesto moderno.
E come c’era da attendersi è partito l’assalto di qualcuno contro l’assegnazione di questo riconoscimento. Le forme sono note: dalle imprecisioni sullo scioglimento delle nevi del Kilimangiaro fino all’affogamento degli orsi polari. Passando attraverso l’interesse (in dollari) personale e la presunta necessità di spiegare di quante cose le persone dovranno privarsi per salvare la Terra. Perché tanta attenzione? Per almeno due motivi. Non è semplice accettare l’idea che la pace si conquista con la difesa dell’ambiente. Non sarebbe ammissibile dichiarare insostenibile l’attuale modello economico. Soprattutto se tutto ciò trova voce potente da chi è stato Vicepresidente degli USA e dovrebbe garantire il sistema invece di criticarlo. Immaginate cosa significhi comprendere che i cambiamenti climatici attraverso le desertificazione di enormi aree porterà a migrazioni di massa, scoprire che il controllo delle risorse idriche o l’approvvigionamento di fonti energetiche crea tensioni e conflitti forse più delle dispute ideologiche.
Pensate se venisse compreso un semplice contenuto del film di Gore, dove viene messo a nudo il mancato adeguamento tecnologico dei costruttori di automobili americani che producono auto con valori di emissioni di scarico molto alti, mentre i costruttori giapponesi si sono imposti limiti molto più bassi e stanno ricevendo il gradimento (e molti milioni di dollari) del mercato automobilistico.
Dimostrare che un diverso modello economico dove l’ambiente non è più una noiosa esternalità ma diventa il motore potente di una nuovo riassetto economico, dove si ricomincia a parlare di sviluppo senza confonderlo con la crescita indiscriminata dell’uso delle risorse ambientali è difficile da mandare giù da chi vuol far pagare alla comunità l’inquinamento che produce allo scopo di aumentare il proprio benessere individuale.
Senza dimenticare che la maggior conoscenza dei meccanismi ambientali e dei suoi determinanti portata avanti dal gruppo di scienziati premiati insieme a Gore, ci vincola per il futuro a discutere non sul semplice terreno ideologico o per sentito dire, ma su dati accurati: parlare dell’ambiente senza conoscerne i fatti può condurre ad esiti imprevedibili, fallaci ed in cui ogni opinione ed il suo contrario sono ritenute vere.
Se quindi siamo disposti a ricevere uno stimolo da questo Nobel, personalmente raccoglierei l’esigenza di lasciare libera la nostra passione per questi temi senza reticenze, depurando l’idea di parlarne solo per sentito dire e soprattutto cogliendo l’opportunità di confrontarsi a viso aperto anche su questioni ostiche quali quelle degli strumenti economici.
Non abbiamo paura degli eventuali errori sullo scioglimento delle nevi del Kilimangiaro, ma non ci presteremo allo spauracchio, tecnologicamente e sociologicamente infondato, di dover barattare la salvezza del pianeta con la necessità di tornare all’età della pietra.
E come c’era da attendersi è partito l’assalto di qualcuno contro l’assegnazione di questo riconoscimento. Le forme sono note: dalle imprecisioni sullo scioglimento delle nevi del Kilimangiaro fino all’affogamento degli orsi polari. Passando attraverso l’interesse (in dollari) personale e la presunta necessità di spiegare di quante cose le persone dovranno privarsi per salvare la Terra. Perché tanta attenzione? Per almeno due motivi. Non è semplice accettare l’idea che la pace si conquista con la difesa dell’ambiente. Non sarebbe ammissibile dichiarare insostenibile l’attuale modello economico. Soprattutto se tutto ciò trova voce potente da chi è stato Vicepresidente degli USA e dovrebbe garantire il sistema invece di criticarlo. Immaginate cosa significhi comprendere che i cambiamenti climatici attraverso le desertificazione di enormi aree porterà a migrazioni di massa, scoprire che il controllo delle risorse idriche o l’approvvigionamento di fonti energetiche crea tensioni e conflitti forse più delle dispute ideologiche.
Pensate se venisse compreso un semplice contenuto del film di Gore, dove viene messo a nudo il mancato adeguamento tecnologico dei costruttori di automobili americani che producono auto con valori di emissioni di scarico molto alti, mentre i costruttori giapponesi si sono imposti limiti molto più bassi e stanno ricevendo il gradimento (e molti milioni di dollari) del mercato automobilistico.
Dimostrare che un diverso modello economico dove l’ambiente non è più una noiosa esternalità ma diventa il motore potente di una nuovo riassetto economico, dove si ricomincia a parlare di sviluppo senza confonderlo con la crescita indiscriminata dell’uso delle risorse ambientali è difficile da mandare giù da chi vuol far pagare alla comunità l’inquinamento che produce allo scopo di aumentare il proprio benessere individuale.
Senza dimenticare che la maggior conoscenza dei meccanismi ambientali e dei suoi determinanti portata avanti dal gruppo di scienziati premiati insieme a Gore, ci vincola per il futuro a discutere non sul semplice terreno ideologico o per sentito dire, ma su dati accurati: parlare dell’ambiente senza conoscerne i fatti può condurre ad esiti imprevedibili, fallaci ed in cui ogni opinione ed il suo contrario sono ritenute vere.
Se quindi siamo disposti a ricevere uno stimolo da questo Nobel, personalmente raccoglierei l’esigenza di lasciare libera la nostra passione per questi temi senza reticenze, depurando l’idea di parlarne solo per sentito dire e soprattutto cogliendo l’opportunità di confrontarsi a viso aperto anche su questioni ostiche quali quelle degli strumenti economici.
Non abbiamo paura degli eventuali errori sullo scioglimento delle nevi del Kilimangiaro, ma non ci presteremo allo spauracchio, tecnologicamente e sociologicamente infondato, di dover barattare la salvezza del pianeta con la necessità di tornare all’età della pietra.
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