Purtroppo nessuno ne parla, ma nella nostra Europa aumentano le diseguaglianze nella salute dei cittadini sia “tra” i Paesi che” nei Paesi. La stessa qualità della salute sta variando. Il mondo “piatto”, la velocità negli spostamenti, stanno facendo emergere ciò che è già successo con l’inquinamento: non è possibile affrontare il problema soltanto attraverso gli strumenti degli Stati nazionali. Gli stessi sistemi sanitari iniziano a non poter affrontare singolarmente le problematiche, non tanto per mancanza di strumenti, quanto perché non ragionano in rete, su scala sovranazionale. Ma, ripetendoci, nessuno parla di questo aspetto del vivere europeo. La mia personale esperienza mi porta a credere che le diseguaglianze di salute non siano una condanna inappellabile, ma una caratteristica della nostra società che può essere modificata. A chi crede che questi problemi siano prioritari nell’agenda politica dell’Europea, io chiedo di sostenermi con il suo voto per uscire da questo silenzio e per rispondere alla domanda di tutti quei cittadini che non possono permettersi, ad esempio, di compiere i viaggi della speranza per guarire in altri Paesi europei ed extraeuropei. L’Europa Può diventare un sistema solidale all’interno siano presenti tutte le eccellenze disponibili e raggiungibili da tutti.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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E’ davvero un sintomo dei nostri tempi quello che sta avvenendo attorno al problema della febbre o influenza suina. La malattia è data innanzitutto da un virus e come molti virus si è modificato ed è riuscito a infettare l’uomo. La cosa è meno strana di quello che normalmente si pensa, anzi è abbastanza normale. Le immediate conseguenze sono almeno due: non serve a nulla non mangiare carne di maiale e soprattutto non serve a nulla prendere antibiotici, che agiscono sui batteri e non sui virus. La capacità dei virus di passare da una persona all’altra è abbastanza alta. Pensate all’influenza e a che cosa accade in inverno: la globalizzazione centra quindi poco, se non per il fatto che la trasmissione da un continente all’altro è certamente più veloce, bastando un semplice viaggio aereo per diffonderla da un continente all’altro. Nella storia d’altra parte è sempre successo che le epidemie viaggiassero da un continente all’altro.
Il virus sembra inoltre poco aggressivo. Sembra geneticamente molto lontano da altri suoi fratelli come ad esempio quello della spagnola sia per la capacità infettiva, sia per le conseguenze. Eminenti virologi hanno rassicurato la comunità internazionale su questo punto e d’altronde la stessa mobilità e mortalità lo stanno dimostrando. Ciò che invece pochi rilevano è che la mortalità colpisce territori con un sistema sanitario poco sviluppato. Per fare un paragone nessuno in Europa muore di dissenteria, mentre in Africa ed in Asia questo tipo di mortalità è praticamente un flagello. Per non parlare di malattie come il morbillo che non rappresentano nei nostri Paesi motivo di allarme, mentre sono veri e propri incubi in altre parti del mondo.
Il problema rimane allora quello di come le diverse aree del mondo sono attrezzate per far fronte a malattie nemmeno così mortali. Nelle aree del Messico dove si è avuta un’impennata di mortalità sappiamo che il sistema sanitario è molto deficitario tanto da non riuscire a far fronte ad una pandemia di influenza. Gli Stati Uniti infatti confinano con il Messico, ma il numero dei decessi non è sopra la soglia di attenzione ed è di molto inferiore a quello del Messico. Ecco che allora il nocciolo della questione è quello della capacità e della possibilità di un Paese di costruire un sistema sanitario minimo degno di questo nome. O meglio ancora delle sacche di povertà presenti nel mondo che non possono affrontare in maniera dignitosa questi problemi.
Il dubbio che rimane è del perché si sia creata tutta questa attenzione. Non so se Big Pharma (il cartello delle industrie farmaceutiche mondiali) c’entri qualcosa, ma sicuramente trarrà giovamento dall’ignoranza scientifica di molti governanti, che saranno portati a far incetta di farmaci che verosimilmente non serviranno a nulla. Sui giornalisti mi astengo: a loro serve una notizia, ma ben pochi hanno la professionalità per gestire in modo adeguato queste informazioni.
Adesso basta. Le organizzazioni sindacali della dirigenza medica ritengono che la misura sia veramente colma. Prima l’offesa inqualificabile di essere macellai o nella migliore delle ipotesi, fannulloni. Poi gli attacchi diretti alla professione contenuti nella manovra economica e nella legge Brunetta sul pubblico impiego. Ed ora l’attacco alla nostra stessa dignità e deontologia professionale che si vorrebbero mortificare, sancendo l’obbligo di denunciare i clandestini che si dovessero rivolgere a noi per essere assistiti.
Di fronte a questa situazione abbiamo deciso di dare una risposta unitaria, forte e determinata per affermare che non ci riconosciamo in alcun modo nelle accuse rivolte alla nostra professione, costituita da decine di migliaia di medici del Ssn che ogni giorno sono impegnati a garantire servizi di qualità, pur nelle evidenti e ben note difficoltà del nostro sistema sanitario.
A chi ci accusa di essere FANNULLONI rispondiamo che i medici del Ssn ogni anno garantiscono:
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4 milioni di interventi chirurgici;
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13 milioni di ricoveri;
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23 milioni di visite in pronto soccorso che vuol dire più di 62 mila persone al giorno
Inoltre si contano milioni di prestazioni di diagnostica strumentale, di laboratorio e di immagini.
E tutto questo in condizioni operative spesso carenti e in strutture sanitarie nella maggior parte dei casi vecchie di decine di anni e bisognose di ristrutturazioni e ammodernamenti tecnologici.
A chi ci accusa di essere MACELLAI rispondiamo con i dati sull’efficacia e la qualità delle cure mediche del nostro sistema sanitario considerato universalmente tra i migliori del mondo, proprio grazie alla qualità e alla preparazione del personale medico e sanitario che vi opera.
E infine ribadiamo con forza che NON SIAMO SPIE ma MEDICI e con la nostra professionalità e impegno quotidiani cerchiamo di garantire a tutte le persone che a noi si rivolgono, indipendentemente dal sesso, dal censo, dal colore della pelle e dalla lingua che parlano la migliore salute e la migliore sanità possibile.
Ribadiamo a questo Governo, come abbiamo già fatto con tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni, che alcuni problemi pretendono immediate e adeguate soluzioni, non solo per garantire migliori condizioni di lavoro ai medici, ma anche e soprattutto per potenziare e migliorare un servizio sanitario che sia davvero al servizio della gente:
· maggiori investimenti in tecnologia e ricerca;
· difesa degli attuali livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale;
· tutela dell’equità di accesso al Ssn ed uguaglianza nell’offerta di prestazioni anche nelle Regioni con un alto debito;
soluzione del precariato medico attraverso provvedimenti che consentano una progressiva stabilizzazione del rapporto di lavoro.
Qui il link al documento: ” i medici e gli immigrati irregolari”
Malgrado infatti ritenga che una vera e propria discussione imperniata su fondamenti etici sia al momento latitante, diminuire la mortalità in maniera significativa non può essere considerata solo una priorità dell’etica medica.
La discussione appare anche paradossale in quanto sembra che l’approccio alle dipendenze inizi e finisca semplicemente con questo presidio, facendo, a mio modo di vedere, torto a tutte quelle professionalità mediche, infermieristiche e di volontariato che tutti i giorni mettono in campo molte “armi” per affrontare il problema. Non credo si possa affermare inoltre che sia meglio permettere il “buco” dietro un cespuglio di un parco rispetto ad una struttura che potrebbe diventare anche uno snodo fondamentale semplicemente per venire a contatto con le storie di queste persone.
All’inizio della mia esperienza medica svolsi per circa un anno servizio in un SERT dove si somministrava il famigerato metadone. Non entro qui nell’evoluzione che ha subito questo tipo di approccio se non per dire che nel tempo ha anch’esso avuto delle positività non trascurabili per ciò che riguarda la stessa mortalità e la morbilità di queste persone. Ma un’esperienza che mi è rimasta impressa è che quel luogo, quella struttura ha rappresentato per molti famigliari di queste persone uno dei pochi momenti in cui cercare un seppur minimo contatto. Non c’è nulla di romantico in questo, ma non posso dimenticare l’angoscia che mi veniva dichiarata nel non sapere dove quel figlio o fratello in quel momento si bucava, in quali condizioni era e se poteva essere trovato da qualcuno in tempo in caso di overdose. E quale sollievo nel sapere che comunque era vicino ad un’ospedale, ad una struttura che poteva dare un eventuale soccorso. E quale etica risultava superiore nel vedere che qualcuno, affettivamente vicino, poteva alla fine aiutare quella persona barcollante e confusa ancora per una volta, tentando di stargli vicino. Quale etica sociale, politica è superiore a questa?
Trovo francamente poco comprensibile chi si schiera contro questa possibilità, anche solo per provarla in via sperimentale, denunciando che questa rappresenterebbe una debolezza della società stessa che attraverso questa modalità darebbe un consenso morale alla possibilità di usare sostanze stupefacenti.
Che sciocchezza è questa? E come si può affermare che le risorse impiegate in questo modo sarebbero meglio impiegate per un cardiopatico o altro tipo di persone? La vita ha diversi pesi a seconda delle storie che ognuno di noi si trova, nel bene o nel male, a percorrere? Strappare dalla morte, se possibile, un insieme di persone ha meno valore a seconda dei motivi per cui si trova in quella situazione? Tra le tante sentenze care ai medici ne ricordo una spesse volte risultata utile: Primum vivere, deinde philosophari.