Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Uso congiunto delle politiche ambientali

Esiste una tendenza purtroppo consolidata nell’esaminare le politiche, i provvedimenti, le azioni che vengono intraprese in campo ambientale come se si dovesse applicarne una soltanto. Questo errore è in parte generato dalle analisi che compaiono anche a livello di organi di informazione, oltre alla letteratura specialistica. Mettendo sotto la lente la singola azione ambientale se ne valutano correttamente le conseguenze in base a criteri di rilevanza sociale, equità, efficienza e via discorrendo. Si dimentica però di fare un’analisi globale di tutte le politiche in azione. Questo problema è ben presente agli specialisti e l’analisi teorica dei problemi e risultati connessi all’uso congiunto di vari strumenti non è al momento particolarmente sviluppata. Ma soprattutto la teoria sembra, per una volta, in forte ritardo rispetto alla pratica corrente. Come segnalato da studi OCSE (The Political Economy of Environmentally Related Taxes, 2006) l’uso coordinato e complementare di diversi strumenti è diffuso, comprendendo accordi volontari, tasse ambientali, permessi negoziabili, tasse accoppiate a sussidi. Nel formarsi di nuove politiche ambientali la valutazione dei risultati dovrebbe essere ineludibile proprio perché l’insieme degli strumenti può portare ad obiettivi ambientali più ambiziosi senza perdita di efficienza. Un altro aspetto importante, come riportato da Franzini, (Mercato e politiche per l’ambiente, 2007) è legato alla possibilità di raggiungere un numero maggiore di obiettivi. L’esempio che viene riportato è calzante per ciò che attiene i veicoli inquinanti. Si potrebbe decidere, per ciò che attiene questi mezzi, di moderarne la domanda ( con di munizione quindi della produzione) sia di assicurarne la più corretta (almeno dal punto di vista ambientale) modalità di utilizzo. Per ottenere questi risultati potrebbe essere ottimale l’utilizzazione congiunta di tasse (per modificarne la domanda) e norme del tipo “comando-controllo tipo le limitazioni alla circolazione (per condizionarne l’utilizzo). Un ultimo aspetto da considerare è la possibilità che l’uso congiunto di diversi strumenti possa limitare alcuni errori derivanti dalle incomplete informazioni dei regolatori che determinano delle perdite di benessere e di efficienza. Tutto il ragionamento è concorde con una teoria della politica economica (Tinbergen) secondo la quale il conseguimento di più obiettivi richiede un numero almeno corrispondente di strumenti. Ed è comprensibile come, soprattutto rispetto ad uno specifico problema ambientale, si debbano raggiungere nello stesso tempo più obbiettivi.

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Acqua: quando la politica è ignorante

Sul sole 24 ore del 6 novembre è comparsa una lettera del Presidente della Commissione Bilancio del Senato, On. Enrico Morando, che tra le altre cose, segnala in un passaggio, come positiva la soppressione delle Autorità d’Ambito (ATO) del servizio idrico. Colpisce la scarsa conoscenza del problema del sistema idrico e un furore fuori luogo che oltre a cancellare le positività di molte esperienze in merito, fa compiere un errore marchiano alla politica. Porto un esempio concreto che è quello dell’ATO 3 torinese. Dal punto di vista dei costi i componenti della Conferenza deliberante non percepiscono nessun tipo di compenso né gettoni di presenza, ma solo un rimborso benzina per chi viene da fuori città. Gli uffici dell’ATO – che governano il sistema idrico di circa 2,3 milioni di persone – composti da una decina di persone comportano un costo vivo al cittadino di circa 2 Euro su una media di circa 200 euro all’anno di tariffa per famiglia. Questo costo in realtà sostituisce quello degli uffici tecnici dei 306 Comuni dell’ATO3 che non hanno più bisogno – o in maniera irrilevante – di occuparsi di acquedotto, fognatura e depurazione. Ma la cosa più importante è che questi costi derivano dalla tariffa che i cittadini pagano per il servizio idrico e non dalla fiscalità dello Stato. In sostanza non sono pagati dalle tasse dei cittadini, ma dall’uso di un servizio. Non è quindi esatto il concetto riportato da Morando che lo Stato con l’abolizione delle ATO – almeno nel caso torinese – risparmierebbe importanti risorse, semplicemente perché già oggi non le spende! Tantomeno sarebbero disponibili per Province e Comuni . Al contrario facendo rientrare le competenze degli uffici in quelli ad esempio delle Province o dei Comuni, questi dovrebbero assorbire le strutture tecniche che oggi si occupano del problema. Comunque il fatto che gli uffici degli Enti, questi sì pagati dalle tasse dei cittadini, riprendano la gestione aggrava il bilancio dello Stato. Nel caso fosse riportato l’introito della gestione agli Enti, questa sicuramente non può configurarsi come la soluzione più efficiente proprio perché tassa occulta che servirebbe a pagare anche funzioni diverse da quelle del sistema idrico che gli uffici dovrebbero svolgere in contemporanea, tradendo il principio della Legge Galli che i soldi derivanti dall’acqua devono ritornare all’acqua e non essere usati per altre funzioni, rischio non teorico come sappiamo bene. Con ciò si deve ammettere che non in tutti gli ATO si ottiene un’efficienza perfetta, ma un discorso è riformare lo strumento al meglio, altro caso è l’abolizione tout court. E’ il classico esempio del bambino e dell’acqua sporca. Attenzione quindi a parlare con cognizione di causa ed alle semplificazioni. Tralasciando poi altri aspetti ancora più importanti – es. la coerenza del sistema idrico con i confini amministrativi – l’invito rimane quello di approfondire il merito e lasciare il fumus persecutorio ai demagoghi.

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Tasse sull’energia

Greg Mankiw riprende nel suo blog (Greg Mankiw’s Blog: Several billion join the Pigou Club) una interessante relazione curata dalla BBC World sulla disponibilità della popolazione mondiale all’aumento degli introiti fiscali sull’energia con la contestuale riduzione di altre imposte o il finanziamento di altri programmi governativi sulle energie rinnovabili.
Interessante notare come la disponibilità cresca introducendo la clausola che i ricavi siano dedicati ad aumentare l’efficienza energetica e lo sviluppo di fonti di energia alternativa che non abbiano effetti sul cambiamento climatico e se, mantenendo lo stesso livello totale di pressione fiscale, vengono aumentate quelle sull’energia e diminuiti altri tipi di prelievo fiscale.
Come già segnalavamo nel post del doppio dividendo, questo tipo di ridistribuzione della tassazione oltre ad essere meno “distorsivo”, può avere effetti positivi sul costo del lavoro, sulla stabilizzazione dei lavoratori precari e sul mantenimento dei livelli di occupazione.

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Grattacielo a Torino


Vi piace come si sta sviluppando l’attuale discussione sul grattacielo di Torino?
Non c’è il sospetto che parlare di skyline della città o di raffronti con la Mole antonelliana nasconda ben altri problemi?
Siamo davvero in grado, con tutto l’inchiostro speso, di avere le migliori informazioni per decidere?
Certamente diverse idee “a pelle” su questi grattacieli le ho, ma devo ammettere che sono perlopiù preconcette perché mi mancano ancora molti elementi.
Questo è forse il punto che più fa imbestialire di questa discussione: sembra non esistano strumenti comuni, condivisi che possano farci comprendere i termini del problema, metterli in ordine, concorrere alla formazione di una decisione.
Ma soprattutto non conosciamo i criteri che faranno schiacciare il pulsante del sì o del no nei luoghi deputati.
Una proposta, prima ancora di giudicare l’idea, sarebbe quella di metterci d’accordo sui parametri da esaminare che devono essere soddisfatti ed attraverso i quali fa emergere i valori che la nostra comunità vorrebbe veder emergere.
A questo punto suggerirei, ad esempio anche agli amici giornalisti, di chiedere qualcosa sulla somma dei costi e benefici di questi progetti.
Anche per valutare la desiderabilità dei progetti di spesa dal punto di vista della società in modo da capire fino a che punto sia economicamente e socialmente giustificabile l’intervento programmato.
Tale valutazione non si limita al computo dei costi e dei benefici privati dell’intervento.
Questa analisi economica differisce da quella finanziaria per gli obiettivi ed i metodi di valutazione.
Nella prima si valuta il vantaggio sociale netto derivante (dall’insieme degli interventi pubblici comunque necessari) in rapporto ad una funzione di benessere sociale e non della redditività privata.
Quest’ultima infatti prende in considerazione se il flusso dei ricavi è superiore a quello dei costi, nel massimizzare il profitto.
Nell’analisi economica invece l’operatore pubblico cerca di massimizzare una funzione del benessere sociale: il progetto viene effettuato solo se si consegue un beneficio sociale netto.
Nel valutare i beni ed i servizi prodotti ed impiegati, i prezzi devono riflettere il valore che le risorse utilizzate hanno per la collettività.
Interessante sarebbe inoltre una semplice valutazione sulle alternative.
Non solo progettuali (famolo + o meno strano, alto, grosso…), ma ad esempio se la destinazione dell’area sia la migliore possibile, quella più vantaggiosa per la comunità (è un’area pubblica?) tra quelle immaginate in base a criteri espliciti.
Utile inoltre fare riferimento a tutti i costi e benefici che vengono sopportati e che vanno a vantaggio di tutti.
I costi riguardano i beni ed i servizi consumati nel corso della realizzazione del progetto, mentre i benefici sono i beni e servizi prodotti o risparmiati come effetto della realizzazione sempre del progetto.
Detto in altri termini i costi di un progetto sono costituiti dagli elementi che sono necessari per la sua realizzazione e le eventuali diseconomie esterne che esso genera. Analogamente i benefici del progetto sono dati dai beni e servizi e dalle eventuali economie esterne che esso genera.
I nostri amici statunitensi, che i grattacieli sanno cosa sono, prendono sempre più in considerazione nella costruzione, tutto il loro ciclo di vita, a partire dalle attività relative all’estrazione ed al trattamento delle materie prime necessarie per la sua produzione fino allo smaltimento finale, considerando il processo di fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riciclo ed il suo riutilizzo.
E’ un processo di valutazione dei carichi ambientali connessi con il prodotto, attraverso l’identificazione e quantificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente, per valutare l’impatto di questi usi di energia e di materiali e dei rilasci nell’ambiente e per valutare e realizzare le opportunità di miglioramento ambientale anche dal punto di vista dello smaltimento finale che sarà a carico della comunità futura (avete presente il debito pubblico, quello che abbiamo ereditato dagli investimenti scriteriati passati e che adesso frenano il nostro sviluppo in maniera così incredibile? Beh trasportate il concetto sull’ambiente!).
Ognuno potrà aggiungere i suoi criteri.
Importante è che forse qualche nostra idea messa alla prova dei fatti, e non di amenità varie, potrebbe anche cambiare.

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Etichette: tra ambiente e democrazia

Ieri parlavamo delle misure che il Governo francese intende mettere in pratica a favore dell’ambiente. Vorrei approfondirne una che è stata ripresa in questi giorni anche da alcuni media e di facile comprensione: la targhetta anti-inquinamento sui cibi. In sostanza una variante del più conosciuto eco-label, uno strumento che permette al consumatore di scegliere il prodotto che minimizza l’impatto complessivo sull’ambiente sia nella fase di produzione che in quella di consumo.
In questa targhetta o marchio possono essere indicati diversi parametri quali ad esempio i grammi di CO2 che vengono liberati in atmosfera per la sua produzione o smaltimento, il bilancio energetico la scelta no-OGM e via discorrendo.

In realtà questo è un vero e proprio strumento economico seppure indiretto per diversi motivi. Innanzitutto può costituire un vantaggio in termini di concorrenza, scatenando una concorrenza tesa ad anticipare i concorrenti nella ricerca di prodotti meno inquinanti. Può anche spingere le imprese a modificare i processi di produzione con costi che le imprese potranno comunque recuperare grazie alla popolarità stessa del marchio tra i cittadini che sposteranno i propri consumi verso questi prodotti. La modifica dei processi di produzione può rappresentare anche un’opportunità per le stesse aziende in quanto l’analisi dei ciclo di vita (life cycle assessment–LCA) consente di evitare sprechi nell’impiego di materie prime e di consumo energetico che rappresentano una negatività economica ed ambientale. Se si prendono ad esempio in considerazione gli imballaggi e la loro progettazione se ne può comprendere l’utilità.
Mi preme soprattutto però porre in evidenza un fattore fondamentale che è il ruolo centrale dei cittadini nel processo di controllo del sistema economico, allargando la funzione di preferenza del prodotto secondo schemi di mercato.
Se immaginiamo il ciclo di produzione e consumo vediamo che in realtà il semplice sistema di mercato come oggi in azione, non può controllare se vengono superate le capacità di carico dell’ambiente di rifiuti ed emissioni rilasciate durante le fasi di produzione e consumo. La stessa informazione si ferma alla semplice qualità merceologica del prodotto e al più alle relazioni costo-beneficio su prodotti di concorrenza. Se però il cittadino è messo in grado di valutare, controllare la correttezza “ambientale” del prodotto assume un ruolo attivo con maggiore capacità analitica nel decretare il successo e l’insuccesso del prodotto con la conseguente azione sui comportamenti dei produttori.
Il cittadino in sostanza sarebbe quasi in grado di sostituirsi all’ambiente stesso ed allo Stato nel verificare che il prodotto abbia una sostenibilità ambientale, non solo alla fine del ciclo di vita quanto decide come smaltirlo (raccolta differenziata), ma anche nelle fasi di utilizzo della materia prima e di produzione, degli stessi spostamenti e dei modi di vendita, nonché nel trattamento di acqua, aria.
Tutto ciò non deve chiaramente essere inteso come eliminazione dei controlli ed il processo potrebbe anche non funzionare in maniera perfettamente efficiente, ma sicuramente diverrebbe uno strumento politico in più che deve essere messo a disposizione di tutti noi.

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Carbon tax alla francese

La Francia sembra muoversi verso l’ambiente. Anche se bisognerà vedere concretamente la traduzione pratica nei decreti collegati, il piano è ambizioso: riduzione del 50% dei pesticidi possibilmente in 10 anni, stop alla costruzione di strade e aeroporti salvo quelli legati alla sicurezza nazionale, sviluppo del sistema ferroviario soprattutto per il trasporto dei veicoli pesanti, implementazione della distribuzione delle merci via mare soprattutto verso Spagna ed Italia.
Il punto fondamentale però che apre la discussione è l’introduzione di una tassa sulla CO2 che dovrebbe assumere la forma del doppio dividendo / Carbon tax (
vedi post di questo blog Doppio dividendo) in quanto l’introito sarebbe utilizzato per ridurre la fiscalità che grava sul lavoro.
E’ fondamentale insistere su questo punto perché dovrebbe essere una strategia praticata convintamene dai lavoratori e dai loro rappresentanti: predisporre politiche che, generando entrate per lo Stato di carattere non distorsivo, diano luogo a benefici effetti riducendo gli oneri che gravano sul lavoro, ridare fiato alla competitività, sostenere politiche per l’innovazione e soprattutto sostenere il reddito dei lavoratori in un’ottica di equità.
Sarkozy si è inoltre spinto in dichiarazioni di principio quali la difesa del principio di precauzione (contro una parte degli economisti che lo considerano un freno alla crescita), lasciando intendere un via libera per l’introduzione dei pedaggi urbani, promettendo infine investimenti per la ricerca nel campo energetico e delle biodiversità oltre avanzare l’ipotesi di un’aliquota IVA più bassa per i prodotti ecologici. Continua però la difesa della via nucleare considerata a bassa emissioni.
Risulta interessante, perlomeno rispetto a casa nostra, anche il metodo seguito. Dapprima la formazione di 6 gruppi di lavoro (cambiamenti climatici, biodiversità, rapporto ambiente-salute, consumi sostenibili, democrazia ecologica, produzioni ecologiche), seguite da “consultazioni pubbliche” in tutte le regioni francesi e quindi redazione di un piano d’azione negli Stati Generali dell’ambiente (Grenelle de l’environnement) tenutisi appunto il 24 e 25 ottobre da cui deriviamo la notizia di oggi. Il tutto sotto la supervisione del Ministro dell’Ecologia e Sviluppo sostenibile e del Presidente francese stesso Nicolas Sarkozy.
Significativa risulta anche la dichiarazione di uno dei leader ecologisti transalpini: “Penso che l’audacia politica non è possibile senza una convergenza di interessi tra i cittadini, gli attori economici e la società civile. De facto, per la prima volta questa convergenza è stata raggiunta. Per quanto mi riguarda, non avrei mai accettato un catalogo di misure proposte dal governo in modo unilaterale”.
Se credo difficile, soprattutto in questo momento politico, che il nostro Governo possa raccogliere queste modalità d’azione con altrettanta chiarezza, ritengo però utile riproporre anche nel nostro livello locale provinciale delle modalità simili di azione. L’innovazione potrebbe essere quella di proporre un parallelo percorso anche per la comunità del web secondo le note modalità del peer rewiev, con maggiori garanzie dal punto di vista democratico.

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Narcosale: primum vivere, deinde philosophari

Esiste una riserva di mortalità che può essere immediatamente resa disponibile, strappata dal buio delle statistiche mediante un semplice atto che è quello di accogliere in una struttura protetta chi pure sceglie di compiere un atto che noi riteniamo riprovevole: iniettarsi una dose di droga. Non mi sembra difficile far comprendere come questa azione sia certamente la più importante in una scala di valori etici
Malgrado infatti ritenga che una vera e propria discussione imperniata su fondamenti etici sia al momento latitante, diminuire la mortalità in maniera significativa non può essere considerata solo una priorità dell’etica medica.
La discussione appare anche paradossale in quanto sembra che l’approccio alle dipendenze inizi e finisca semplicemente con questo presidio, facendo, a mio modo di vedere, torto a tutte quelle professionalità mediche, infermieristiche e di volontariato che tutti i giorni mettono in campo molte “armi” per affrontare il problema. Non credo si possa affermare inoltre che sia meglio permettere il “buco” dietro un cespuglio di un parco rispetto ad una struttura che potrebbe diventare anche uno snodo fondamentale semplicemente per venire a contatto con le storie di queste persone.
All’inizio della mia esperienza medica svolsi per circa un anno servizio in un SERT dove si somministrava il famigerato metadone. Non entro qui nell’evoluzione che ha subito questo tipo di approccio se non per dire che nel tempo ha anch’esso avuto delle positività non trascurabili per ciò che riguarda la stessa mortalità e la morbilità di queste persone. Ma un’esperienza che mi è rimasta impressa è che quel luogo, quella struttura ha rappresentato per molti famigliari di queste persone uno dei pochi momenti in cui cercare un seppur minimo contatto. Non c’è nulla di romantico in questo, ma non posso dimenticare l’angoscia che mi veniva dichiarata nel non sapere dove quel figlio o fratello in quel momento si bucava, in quali condizioni era e se poteva essere trovato da qualcuno in tempo in caso di overdose. E quale sollievo nel sapere che comunque era vicino ad un’ospedale, ad una struttura che poteva dare un eventuale soccorso. E quale etica risultava superiore nel vedere che qualcuno, affettivamente vicino, poteva alla fine aiutare quella persona barcollante e confusa ancora per una volta, tentando di stargli vicino. Quale etica sociale, politica è superiore a questa?
Trovo francamente poco comprensibile chi si schiera contro questa possibilità, anche solo per provarla in via sperimentale, denunciando che questa rappresenterebbe una debolezza della società stessa che attraverso questa modalità darebbe un consenso morale alla possibilità di usare sostanze stupefacenti.
Che sciocchezza è questa? E come si può affermare che le risorse impiegate in questo modo sarebbero meglio impiegate per un cardiopatico o altro tipo di persone? La vita ha diversi pesi a seconda delle storie che ognuno di noi si trova, nel bene o nel male, a percorrere? Strappare dalla morte, se possibile, un insieme di persone ha meno valore a seconda dei motivi per cui si trova in quella situazione? Tra le tante sentenze care ai medici ne ricordo una spesse volte risultata utile: Primum vivere, deinde philosophari.

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Doppio dividendo e busta paga

L’ambiente può diminuire la distorsione causata dalle tasse sul sistema economico e sul benessere dei lavoratori oltre a favorire l’occupazione. Un percorso non semplice, un’idea non nuova, ma una direzione da intraprendere.
Seguiamo in questo caso il filo logico seguito da Giorgio Panella (Economia e politiche dell’Ambiente) al cui testo rimando. Il prelievo fiscale determina un cuscinetto fra ciò che le persone sono disposte a pagare e il prezzo che realmente dovrebbe essere pagato.
Si arriva quindi a ridurre, rinunciare a comprare beni o servizi. Oltre a questo effetto – chiamato effetto reddito – si hanno anche altre distorsioni nelle scelte provocate dalle alterazioni dei prezzi – effetto sostituzione -.
Non tutti i prelievi provocano queste distorsioni in quanto molti provocano solo un effetto reddito con diminuzione della capacità di comprare, senza influenzare il comportamento degli individui. Le tasse ambientali determinano invece degli effetti sostanzialmente positivi sul sistema economico: agiscono sulle distorsioni di mercato eliminandole e producono un gettito che può essere utilizzato per ridurre il peso dei prelievi distorsivi.
Sta in questo il motivo per cui si parla di doppio dividendo: il primo dividendo è dato dal miglioramento ambientale che consegue alla riduzione delle cosiddette esternalità (vedi post Nobel…) ed il secondo corrisponde alla riduzione delle distorsioni causate dalle tasse che vengono ridotte.
Questo sistema determina anche degli aggiustamenti negli altri mercati che comportano un miglioramento del benessere economico conseguente ad una ricollocazione delle risorse nell’intero sistema economico. Attraverso la sostituzione dei prelievi fiscali distorsivi con le tasse ambientali si ottiene un sistema fiscale più efficiente in grado di minimizzare i costi addizionali derivanti dalla tassazione.
Tutto ciò comunque è vincolato al fatto che il gettito delle tasse ambientali deve essere utilizzato per ridurre le imposte sui redditi da lavoro o gli oneri sociali per cui dalla loro sostituzione si otterrebbe un cosiddetto dividendo occupazionale.
L’idea di sostituire parzialmente le imposte dirette gravanti sul lavoro con quelle ambientali in modo da favorire l’occupazione e la protezione ambientale è contenuta persino sul Libro Bianco dell’Unione Europea su Crescita, competitività e occupazione.
Sicuramente non vanno trascurati problemi quali l’entità del gettito delle tasse ambientali che può anche essere funzionale al consumo del bene tassato, anche se tale tendenza normalmente si produce nel medio-lungo termine.
Chiaramente esistono anche altri fattori per cui possiamo dire che è necessario affrontare empiricamente l’applicazione del doppio dividendo. Credo si possa avanzare la possibilità di una discussione anche su questo tema.

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