Domani si voterà in Svezia ed è attesa una nuova vittoria del centrodestra e batosta dei socialdemocratici. Tra le prime analisi – ad urne in verità ancora chiuse – di questo arretramento, c’è un’idea che attraversa da diversi anni gli osservatori politici della sinistra. In sostanza l’elettorato non ha abbandonato gli ideali di eguaglianza e di giustizia sociale, nè la necessità di uno Stato autorevole che venga meno alle proprie prerogative, ma pensa che i cittadini debbano assumersi le proprie responsabilità con una nuova idea del rapporto tra i cittadini e lo Stato. In quest’ottica convergono sia l’esperienza svedese che quella del laburismo inglese come puntualizzato dallo stesso Blair nel suo ultimo libro. Il tutto si potrebbe riassumere nel fatto che la funzione dell’aiuto dello Stato debba avere come filosofia quella di aiutare ad avere le stesse opportunità per tutti per raggiungere gli obbiettivi che ognuno si prefigge, ma che successivamente il cittadino deve avere la libertà di camminare da solo senza uno Stato pervasivo che lo limiti successivamente: non vuole ulteriori aiuti dal welfare. Bisognerà ragionarci meglio
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Ciò che più stupisce delle dichiarazioni dell’ultima settimana del Governatore Cota e della sua squadra è la completa ignoranza del “pianeta sanità”. Tenendo conto che si parla di circa l’80% del bilancio regionale, la cosa si fa preoccupante. Tralasciando amenità come i pampers ai nuovi nati – sarebbe più utile intervenire meglio su questi presidi per categorie a rischio come gli anziani – è utile esaminare meglio cosa effettivamente hanno detto gli amministratori della nostra sanità. Straordinari per diminuire le liste d’attesa? Forse non tutti sanno che per i medici specialisti non è previsto l’istituto dello “straordinario”. Essendo dirigenti – non si sa bene di cosa, ma è così – i medici lavorano per soddisfare le esigenze delle persone che richiedono assistenza secondo carichi di lavoro richiesti dalle aziende. Se per raggiungere quei carichi ci metti 8 o 12 ore sono “affari” tuoi, anche se esiste un orario di lavoro di circa 8 ore giornaliere. Una forma di straordinario esiste per chi fa turni di guardia o reperibilità, che sono cose diverse. Tenendo anche conto che il Governatore Cota e la sua giunta hanno chiaramente ridotto anche la possibilità di sostituire i medici i pensione con nuovi medici (si chiama blocco del turn-over), un qualsiasi reparto deve comunque dare un volume di assistenza programmato con meno medici. E le ore che si fanno in più non vengono comunque pagate: è storia comune che ogni medico ospedaliero abbia di norma decine o anche centinaia di ore extra orario che nessuno riconoscerà mai. Maggiori contributi per pagare ore in più e contenere le liste d’attesa sono quindi una pia illusione e non toccano il problema. Che è più quello della richiesta di visite non appropriate o di organizzazone del lavoro che altro. Oltre al fatto che è davvero di dubbio gusto far passare l’idea che i medici siano dei mercenari che aspettano solo di farsi pagare qualche ora di lavoro in più per abbattere le liste d’attesa. Non si sa poi quando effettivamente potrebbero farle queste ore, visto il fatto che si lavora già per centinaia di ore in pù fuori dall’orario di lavoro. Insomma Cota e i suoi sono a digiuno della differenza che corre tra curare un sintomo o una malattia. L’altra chicca ci proviene dal capogruppo dei berlusconiani in Regione Piemonte che chiede poliambulatori aperti fino al tardo pomeriggio e sale operatorie in funzione tutto il giorno, sabato compreso. Se non avete perso il filo del ragionamento fatto finora, vi verrà spontaneo chiedere con quali risorse di medici, infermieri, tecnici e via discorrendo sarebbe possibile fare tutto ciò. Ricordando anche che i medici sono abituati a lavorare sulle urgenze la sera e la notte, a garantire la gestione di un reparto tutti i giorni della settimana sabato e domenica compresi. Ma davvero ci si sarebbe aspettato di più, almeno sapere come, quando e con chi risolvere il problema sanitario. Dal momento che hanno istituito non una, ma ben due commissioni in appoggio alla scrittura delle politiche sanitarie della nostra Regione. Sarebbe ora di avvertire il governo della sanità piemontese che il tempo della ricreazione sta finendo e che sarebbe ora di passare dal vuoto dilettantismo alla concretezza della professionalità.
Il documento dei veltroniani dovrebbe essere questo
La crisi politica del centrodestra è arrivata ad un punto di non ritorno. Dopo la rottura del Pdl, Berlusconi ha davanti a sé due strade: aprire la crisi di governo e invocare le elezioni, al caro prezzo di dover ammettere il fallimento politico della più consistente maggioranza parlamentare della storia della Repubblica; o tenere in piedi il governo e la legislatura, ma al prezzo non meno alto di legittimare la presenza determinante, nella coalizione di centrodestra, di una forza e una leadership che si collocano in modo esplicito su una linea politicamente e culturalmente autonoma.
Qualunque sarà la scelta, è chiaro che si va concludendo un ciclo storico, quello segnato dall’egemonia sul centrodestra e sul Paese del populismo berlusconiano, che ha dimostrato in questi anni una indiscutibile capacità di rappresentanza di una parte larga e tendenzialmente maggioritaria della società italiana, ma non è riuscito a trasformarla in azione di governo all’altezza dei problemi del Paese, adeguata ad affrontare in modo risolutivo i nodi che ostacolano lo sviluppo dell’Italia. (altro…)
Perchè l’apparente retromarcia del Presidente del Consiglio sulle elezioni? Le ragioni possono essere certamente diverse e possono andare dal ruolino delle udienze dei tribunali – Berlusconi deve almeno svalicare dicembre ricoperto dall’immunità -, alla paura dei parlamentari di non poter maturare uno straccio di buonuscita. Ma volendo essere meno malpensanti, un argomento veramente efficace sarebbe il fortissimo rischio di non raggiungere da parte della coalizione di Centro destra la maggioranza. Pur forte alla Camera con la quasi sicurezza di guadagnare il premio di maggioranza, al Senato il risultto cambia perchè il premio di maggioranza è su base regionale ed anche un successo intorno al 5 % delle liste di Fini metterebbe in seria difficoltà la conquista dello stesso Senato. I conti li hanno fatti in maniera scientifica qui
Occuparsi di ambiente significa anche, e soprattutto, difendere il territorio. Significa occuparsi della fragilità del nostro territorio e non solo quando succedono alluvioni, frane o altre tragedie del genere. La domanda è in quale posizione si situa la difesa del territorio nelle priorità politiche. Il problema è in buona compagnia, come accade per l’impatto sulla salute dell’inquinamento o la difesa della sanità pubblica e via discorrendo. Personalmente, quando mi è stato possibile, ho cercato di dare un contributo a questo problema quando ho rivestito un ruolo di governo all’interno della Provincia di Torino. Al momento non vedo grandi sviluppi delle azioni che avevamo messo in cantiere nel mandato scorso a partire dal governo regionale, che tanto può su questo fronte. Oggi, più di prima, sarebbe necessario continuare la battaglia per la difesa del territorio, per la salvaguardia delle risorse idriche, del consolidamento del suolo, della prevenzione. Bisognerebbe che le forze politiche facessero proprie queste esigenze iniziando subito a conquistare le coscienze dei propri aderenti e poi di tutte le persone che vivono nel nostro territorio perchè questi problemi riescano a diventare una vera e propria passione di tutti noi. Una priorità, una questione veramente concreta su cui costruire una iniziativa politica sana e necessaria.
Cosa succede nella comunità di immigrati a Torino? Karim Metref, giornalista algerino, ha raccolto cosa bolle in pentola soprattutto per ciò che riguarda gli immigrati di prima generazione, cioè quelli che ormai sono entrati nel tessuto sociale della città, hanno la cittadinanza italiana, lavorano e in alcuni casi partecipano ormai anche alla vita politica. Bene stanno semplicemente pensando di andarsene, di trasferirsi in altri paesi dove gli ammortizzatori sociali funzionano meglio e le possibilità di lavoro sono migliori. Per capirci Germania, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada. Vendono le loro case, estinguono i mutui e vanno via, con i loro figli che stanno per laurearsi e sperano di investire la loro formazione dove maggiormente richiesta. Le ragioni sono diverse e sembra che stia pesando in maniera importante anche l’atomosfera di xenofobia che si sta diffondendo. Tutto ciò potrebbe far felice qualche leghista di ritorno, ma il problema viene chiarito proprio da Metref: “spariti i “vecchi” immigrati culturalmente e socialmente ben inseriti, sarebbe come tornare agli anni novanta, ma con leggi più repressive. Solo immigrati che conoscono poco la lingua e il paese, e che hanno pochi diritti. Un vivaio di manodopera a basso costo, indifesa e da sfruttare a volontà”. Ecco quindi il problema “di ritorno”, rtenendo conto del fatto che questo tipo di immigrazione per forza di cose, e con buona pace delle camicie verdi, non demorderà dal tentare fortuna anche nella nostra città. Una politica che taglia l’erba sotto i piedi della prima generazione di immigrati ormai stabilmente integrati – e che magari svolgono lavori poco appetibili per i nativi – con figli che hanno avuto anche accesso a formazione di buon livello e che potrebbero aiutare a far crescere la ricchezza delle nostre aree è davvero la manna da tutti attesa? O magari è necessario ragionare su questo segmento di popolazione che svolge un’importante funzione sociale cercando anche di attrarre le intelligenze ed i cervelli più disposti anche a creare innovazione e crescita tecnologica come ad esempio accade negli Stati Uniti? Bisogna iniziare a leggere anche la nostra realtà in maniera più precisa e fuori da furori ideologici per cercare di far crescere in maniera utile la nostra città.
Per capire meglio quali sono i riferimenti “culturali” di cui è intessuta l’ultima partita di Sergio Marchionne è necessario dare uno sguardo su cosa sta avvenendo nel sindacato americano dei metalmeccanici. Utile a questo proposito leggersi un interessante articolo di Giuseppe Berta comparso sul IlSole24Ore web – La parabola di Walter Reuther, il sindacalista con vista sul futuro -. Se infatti la crisi scuote in profondità la fiducia, le modalità d’azione e la stessa capacità di rappresentatività del sindacato, non si può ignorare cosa ha detto il 2 agosto scorso Bob King, il nuovo presidente della Union of automobile Workers of America (Uaw) che è stato il più grande e forte sindacato industriale nel mondo e che ha pagato un prezzo durissimo negli ultimi anni: nel 1979 contava 1,5 milioni di iscritti contro i circa 400.000 attuali. King sostiene che l’organizzazione dei lavoratori deve essere ripensata dalle basi smattendo di considerare il management come avversario e nemico e tendere invece a costruire relazioni di collaborazione. Chiaramente ognuno può pensarla come vuole, ma il discorso di oggi di Marchionne non può prescindere dalle posizioni del sindacato di oltreoceano. Interessante è comunque la spiegazione che Berta introduce dei riferimenti, nel discorso di King, alla figura mitica della Uaw, cioè Reuthers che ne incarnò i diversi momenti nelle varie epoche da anima militante e radicale delle origini – andò perfino nella Russia stalinista – alla capacità negoziale leggendo in maniera anche originale la pancia dell’America.