Sempre per il tema elezioni e ambiente sarebbe interessante valutare non tanto il tasso di ambientalismo delle diverse formazioni, quanto che uso vorrebbero fare degli strumenti che le politiche ambientali pongono a disposizione.
Infatti esiste un ventaglio di opzioni che vanno dalla possibilità di creazione di nuovi posti di lavoro alla scelta di politiche economiche quali il passaggio dalle tasse sul lavoro a quelle sulle emissioni e diversi altri strumenti secondo gli sviluppi della scienza economica ambientale.
Un timido accenno era stato fatto in passato nel proporre qualcosa di simile al sistema del doppio dividendo. Per non cadere nella solita proposizione tipo “più lampadine per tutti” che lasciano il tempo che trovano dopo la nuova corsa alle centrali nucleari, ritengo interessante riproporre la domanda di Biorn Lomborg, “l’ambientalista scettico” che attraverso la creazione della Copenhagen Consensus Conference ha costruito un interessante discussione attorno ad un semplice quesito:
If the world would come together and be willing to spend, say, $50 billion EXTRA over the next five years on improving the state of the world, which projects would yield the greatest net benefits?
(in sostanza: se la terra avesse la possibilità e volesse spendere 50 milioni di dollari in più nei prossimi 5 anni per migliorare lo stato del mondo. quali progetti potrebbero avere i migliori benefici netti?). La domanda è sottile per diverse ragioni.
Oltre a definire una risorsa certa e determinata, senza il solito tormentone del dove prendo i soldi, ci chiede non quali interventi vorremmo fare, ma quali progetti possiedono il requisito del beneficio netto marginale, cioè quali progetti posseggono realmente la qualità dell’efficienza economica. In soldoni quali sono le azioni che ottimizzano meglio la spesa, allocano al meglio le risorse.
La risposta a questa domanda, ad esempio, porterebbe a definire una vera e propria lista di priorità a seconda dell’efficienza del progetto.
Chiaramente nel nostro caso dovremmo caratterizzarla più precisamente per il settore ambiente, lasciando però che le priorità che scaturirebbero contengano anche altri tipi benefici extrambientali.
Questa ritengo sia la domanda corretta che la politica deve porsi nel momento in cui decide di destinare le risorse, sempre poche comunque, che ha a disposizione.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Quando parliamo di ambiente non possiamo non parlare di salute. Un esempio fondamentale è il legame che esiste tra la sfida energetica e la tutele della salute. Uno dei nodi principali infatti non sembra essere tanto la possibilità di reperire energia, bensì le conseguenze dell’utilizzo di fonti fossili energetiche alle quali ci stiamo affidando in modo “eccessivo” e i relativi impatti dannosi. Quindi uno dei primi passi da compiere è l’individuazione degli effetti sull’uomo e dei fattori scatenanti. Richard Klausner individua alcuni punti su cui interrogarsi preventivamente nella valutazione delle differenti possibilità di scelta:
- quali saranno gli effetti
- in che modo si manifesteranno
- quale sarà la loro portata
- quando si manifesteranno
- chi verrà colpito in misura maggiore.
Esistono strumenti scientificamente consolidati per rispondere a queste domande?
Uno degli strumenti più raffinati che viene impiegato anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nelle sue rendicontazioni sullo stato globale della salute è il DALY, sigla che significa Disability-Adjusted Life Years. Questo strumento permette di “misurare” il peso della malattia in una comunità attraverso la combinazione di diversi parametri: perdite dovute a morte prematura e perdite di vita sana dovuta a forme di inabilità. Un singolo DALY è uguale alla perdita di un anno di vita in buono stato di salute. Tra le diverse funzioni, il DALY serve anche a selezionare e misurare il costo degli interventi per la prevenzione e/o cura di determinate malattie, quindi anche per la definizione delle priorità in sanitarie e per la scelta dell’attribuzione di risorse finanziarie e umane.
Una proposta che sostengo per la prossima legislatura regionale in Piemonte è il rafforzamento di questo tipo di parametri per valutare in maniera più scientifica, comprendere gli impatti di ciò che scegliamo dal punto di vista ambientale e disegnare le priorità in sanità derivanti dalle scelte ad esempio energetiche che ci apprestiamo a compiere.
Lo spostamento di risorse pubbliche verso attori “privati” può avere aspetti sfuggenti. Tra i meno conosciuti c’è quello delle conoscenze prodotte all’interno dei sistemi sanitari: la necessaria costruzione del nostro sapere scientifico che progredisce e ci fa avanzare nella capacità di rispondere ai bisogni di salute della popolazione. Oggi questa capacità viene sistetizzata nel termine di “Educazione Continua in Medicina” o ECM. Sembrerebbe normale che tale sistema che ricomprende il sapere sulla salute, debba trovare delle forme di gestione condivise e all’interno di un sistema universalistico e pubblico. Anche solo per il semplice fatto che i contenuti formativi sono prodotti nella stragrande maggioranza dei casi da professionisti che lavorano nel sistema sanitario nazionale il quale, tra l’altro, fornisce con le proprie strutture gli strumenti e i dati utilizzati per costruire questo insieme di conoscenze. Nei fatti l’uso dell’accumulo delle conoscenze e l’indipendenza culturale non è proprietà pubblica che in percentuale minima: molto spesso il sistema sanitario si trova non solo ad utilizzare, ma a dover acquistare contenuti formativi generati da professionisti che sono propri dipendenti e che cedono ai privati – ad agenzie di formazione o direttamente alle industrie – le conoscenze maturate. Riepiloghiamo per chi non credesse ai propri occhi: 1) il sistema sanitario pubblico genera la gran parte delle conoscenze aggiornate attraverso i propri professionisti; 2) gli stessi professionisti vendono ai sistemi privati tali conoscenze a provider privati; 3) gli altri professionisti e le aziende sanitarie stesse acquistano conoscenze dal sistma privato per l’aggiornamento continuo obbligatorio! Questa semplice equazione è desumibile dai dati di AGENAS: il numero di eventi accreditati a livello nazionale per l’aggiornamento degli operatori sanitari è aumentato negli ultimi tre anni, parallelamente all’emergere di nuovi bisogni formativi avvertiti dal personale sanitario, messo a dura prova nei tre anni di emergenza pandemica: riferendoci – ripetiamo – alla sola formazione accreditata a livello nazionale, si è passati da 17 mila eventi nel 2020 a quasi 28 mila (2021) e ai 32.567 del 2022. Il ricorso a provider privati di educazione continua a essere prevalente: negli ultimi tre anni la percentuale di eventi sponsorizzati è sempre stata superiore al 50 per cento. Ancora peggiore è l’offerta di eventi formativi rivolta ad altri operatori sanitari: per esempio, i dati Agenas 2020-2022 dicono che gli eventi accreditati a livello nazionale rivolti agli infermieri sono meno della metà di quelli accreditati per i medici, nonostante la popolazione infermieristica sia molto più numerosa. Un tentativo di arginare tale sistema viene compiuto dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) e diversi ordini provinciali dando un contributo importante nel proporre diversi eventi centrati soprattutto su tematiche riguardanti la deontologia professionale e la bioetica. Ma nel complesso l’investimento pubblico nella formazione potrebbe essere in calo: in particolare, nel 2020 la spesa per la formazione si è ridotta del 19.3% con flessioni anche superiori al 40 per cento in molte regioni.
Altra segnalazione in merito sono i risultati di una survey pubblicata sul Journal of European CME – che raccontano come la maggior parte delle società scientifiche in ambito medico ha cercato finanziamenti esterni per congressi (93 %) e corsi di formazione in presenza (86 %). I finanziamenti per i congressi sono arrivati da fonti diverse ed erano giustificati a fronte dell’inserimento nell’agenda del meeting di sessioni organizzate dall’industria, come i simposi satellite previsti al di fuori del programma scientifico. Le attività online sono state finanziate per lo più dall’industria (79 %) mentre le attività sincrone ( i webinar dal vivo) lo sono state di meno (64 %). Dalla stessa indagine, le società scientifiche lamentano problemi legati alle risorse, alla difficoltà di fare una programmazione a medio termine delle attività formative e alla mancanza di competenze digitali nel pianificare e realizzare dei corsi. Le società hanno anche sottolineato come il gran numero di eventi organizzati da altre organizzazioni renda più difficile raggiungere un numero ampio di operatori sanitari”. In sostanza i provider privati si stanno sostituendo in maniera pervasiva alle agenzie pubbliche di formazione. Chiaramente se la formazione di chi opera nel sistema sanitario nazionale diventa territorio di conquista di soggetti privati non sarà una sorpresa vedere l’attuazione non dei genuini bisogni formativi di chi lavora nel mondo della salute ma la proposizione e la spinta all’utilizzo di un insieme di modelli diagnostici, di terapie e dispositivi medici che possono ricongiungersi agli interessi degli stessi provider privati. Oltre all’impegno squilibrato verso aree medico-chirurgiche più attrattive per le ricadute economiche delle industrie, cosa già nota per la farmaceutica. In sostanza si crea una vera e propria disuguaglianza tra i diversi settori specialistici, amplificando le disuguaglianze anche tra il personale dei centri con maggiore e minore volume di attività (i primi sono più corteggiati dagli sponsor perché hanno una potenzialità prescrittiva maggiore), malgrado i bisogni sanitari della popolazione non siano diversi su tutto il territorio. Non ultimo il fatto che tale sistema porta inevitabilmente a differenze molto sensibili nelle diverse zone geografiche del nostro Paese.
Ulrich Beck l’ha chiamata “società del rischio” e credo avesse ragione. Bisognerebbe rispolverare con interesse alcune delle sue tesi, proprio nel momento in cui vorrebbero farci credere che esista un’emergenza della mortalità sul lavoro. Forse però non è un’emergenza, ma queste morti sono connesse con il nostro modello di sviluppo che supinamente stiamo continuando a scegliere, sono intrinseche ad esse. Perché i rischi cambiano anche la loro natura: non derivano più dall’esterno, dal non-umano, dalla fatalità naturale, ma dipendono da decisioni. Sono il riflesso di azioni ed omissioni dell’uomo stesso, la conseguenza di forze produttive fortemente sviluppate. La produzione delle condizioni di vita della società nella sua interezza diventa quindi un problema ed oggetto di ripensamento: la società deve venir messa a confronto con se stessa. Paradossalmente infatti sembra quasi che la fonte del pericolo non sia più l’ignoranza ma la stessa conoscenza, non un dominio carente della natura, ciò che si sottrae alla capacità dell’uomo, ma il sistema di norme e di vincoli oggettivi stabilito con la crescita industriale. Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che la società in questo sviluppo ha seguito un percorso “suddiviso”, dove il sistema politico-amministrativo e quello tecnico-economico si sono sviluppati in due rami diversi. Da una parte il principio della partecipazione dei cittadini, l’elaborazione condivisa delle decisioni con regole democratiche e l’esercizio del potere politico e del comando che devono derivare dal consenso dei governati. Dall’altro lo sviluppo di un qualcosa che viene percepito come non-politico, ma è invece tutto politico. Il progresso tecnico è equiparato acriticamente a quello sociale e la direzione di sviluppo e i risultati tecnici seguono inevitabili vincoli oggettivi tecnico-economici, dove gli effetti negativi trovano giustificazione nell’innalzamento degli standard di vita. Il problema è che questo processo è completamente sottratto al vaglio politico, possiede un potere di realizzarsi immune alla critica e infinitamente più veloce rispetto alle procedure democratico-amministrative. Dice efficacemente lo stesso Beck: “il progresso sostituisce il voto. Più ancora diventa un sostituto dei problemi, un tipo di consenso preventivo su fini e conseguenze che rimangono ignoti ed innominati. (…) Solo una parte delle competenze decisionali che strutturano la società è legata assieme nel sistema politico e sottoposto ai principi della democrazia parlamentare. Un’alta parte è sottratta alle regole dei controlli e della giustificazione pubblica e delegata alla libertà di investimento delle imprese (…). I cambiamenti sociali sono rimossi come effetti collaterali latenti delle decisioni, dei vincoli e dei calcoli tecnico-scientifici. Ci si afferma sul mercato, si utilizzano le regole di realizzazione dei profitti e così facendo si rovesciano le condizioni della vita quotidiana.(…) Da un lato, le istituzioni del sistema politico presuppongono, per ragioni funzionali e sistemiche, che il ciclo produttivo di industria, tecnologia e economia. Dall’altro ciò fa sì che sotto tale copertura giustificativa venga data per scontata la trasformazione degli ambiti di vita sociale in contraddizione con le regole della democrazia: conoscenza dei fini della trasformazione sociale, discussione, voto, consenso.” Anch’io la penso come Ewald la cui teoria segna un significativo cambiamento: la costruzione del welfare non deve essere interpretata in termini di mantenimento dell’ordine sociale o di miglioramento della produttività nazionale, ma consolidarlo, ricostruirlo come fornitura di servizi (assistenza sanitaria), creazione di schemi assicurativi e regolazione dell’economia e dell’ambiente in termini di creazione della sicurezza. Questo nuovo welfare è il nostro compito.
”Weimar é ancor sempre presente, ma il suo profondo significato non si può coglierlo nelle sparate senza senso in cui ci si imbatte facilmente sui vari siti web. Weimar é, invece, un chiaro esempio di fragilità della democrazia e un severo avvertimento, tutt’ora valido a distanza di cent’anni dalla rivoluzione e dall’istituzione della repubblica, di ciò che può accadere quando le persone e le istituzioni di una democrazia sono oggetto di attacchi incessanti e spesso brutali; allorchè la politica diventa una guerra per l’assoluto dominio di una parte in causa; quando certi gruppi sono platealmente condannati ed emarginati; quando i conservatori tradizionali vengono a patti con la destra estremista e razzista, conferendole una legittimazione che non sarebbe certo in grado di conquistarsi autonomamente. Le gradi realizzazioni di Weimar, la sua democrazia, la sua vivacità culturale, l’apertura alle diverse sessualità, le riforme sociali, erano esattamente l’oggetto degli odi della destra. Queste realizzazioni vanno riconosciute e celebrate a cento anni di distanza. In caso contrario, si consentirebbe ai nemici della democrazia e del progresso di modellare il passato a loro uso e consumo; gli si riconoscerebbe una vittoria postuma”. (Eric D. Weitz, dalla prefazione al volume).
In tempi di populismo giallo-verde è utile tornare ai fondamentali…
Presidente John F. Kennedy
Casa Bianca
11 giugno 1963
Cari concittadini buonasera,
Questo pomeriggio, dopo una serie di minacce e di dichiarazioni intimidatorie, è stato necessario inviare presso l’Università dell’Alabama un contingente della Guardia Nazionale incaricato di imporre il rispetto dell’ordinanza definitiva ed esplicita della Corte Distrettuale degli Stati Uniti del Distretto Settentrionale dell’Alabama. L’ordinanza ha stabilito l’ammissione all’Università di due giovani neri residenti nello stato dell’Alabama che hanno chiaramente tutti i requisiti previsti a tal fine.
La loro pacifica ammissione al campus è stata resa possibile in buona parte dal comportamento responsabile e costruttivo degli studenti dell’Università stessa.
Invito ogni americano, indipendentemente dal luogo in cui vive, a fermarsi e a riflettere su questo e altri incidenti simili. Questa Nazione è stata fondata da uomini di origini e nazionalità diverse, in base al principio di uguaglianza di tutti gli uomini. Ogni volta che vengono minacciati i diritti di uno di essi, anche i diritti degli altri ne risultano sminuiti.
Oggi siamo impegnati in una lotta mondiale per promuovere e tutelare i diritti di tutti coloro che aspirano ad essere liberi. I soldati americani inviati in Vietnam o a Berlino Ovest non sono soltanto bianchi. Per questo, gli studenti americani di qualsiasi colore devono avere accesso a qualsiasi istituzione pubblica desiderino, senza dover richiedere la protezione dell’esercito.
I consumatori americani di qualsiasi colore devono poter ricevere uguali servizi nei luoghi pubblici come hotel, ristoranti, teatri e negozi senza essere costretti a manifestare nelle strade e i cittadini americani di qualsiasi colore devono potersi registrare, per esprimere il proprio voto in elezioni libere, senza interferenze o timori di rappresaglie.
Ogni americano deve poter godere dei privilegi che gli derivano dalla sua cittadinanza, senza distinzione di razza o di colore. Ogni americano, insomma, deve avere il diritto ad essere trattato come desidera, come ognuno di noi vorrebbe che fossero trattati i propri figli. In realtà, tuttavia, ciò non accade.
I bambini neri che nascono oggi in America, indipendentemente dal luogo in cui vedono la luce, hanno circa la metà di probabilità di completare l’istruzione superiore rispetto ai bambini bianchi nati nello stesso luogo e nello stesso giorno, un terzo di probabilità di terminare l’università e un terzo di poter diventare professionisti, ma il doppio di probabilità di restare disoccupati, circa un settimo di possibilità di guadagnare 10.000 dollari l’anno e un’aspettativa di vita di 7 anni più breve, con la prospettiva di guadagnare solo la metà.
Questo problema non interessa solo aree circoscritte del Paese. Difficoltà dovute alla segregazione e alla discriminazione esistono in ogni città e in ogni stato dell’Unione e suscitano in molte città un’ondata crescente di malcontento che costituisce una minaccia per la sicurezza pubblica. La questione non è nemmeno circoscritta a una parte politica. In un periodo di crisi interna, gli uomini generosi e di buona volontà devono riuscire ad essere uniti, a prescindere dall’orientamento politico. Non si tratta, infine, di un aspetto limitato alla sfera legale o legislativa. Certamente è meglio che questi problemi vengano risolti nei tribunali piuttosto che nelle strade e nuove leggi sono necessarie a ogni livello, tuttavia, la legge da sola non può cambiare la mentalità delle persone.
Ciò che dobbiamo affrontare è prima di tutto un problema morale. È una questione che risale già alle scritture ed è chiara quanto la Costituzione Americana.
Il problema fondamentale è stabilire se tutti gli americani debbano ottenere gli stessi diritti e pari opportunità; se intendiamo trattare i nostri concittadini americani come noi stessi desidereremmo essere trattati. Se un americano, a causa della sua pelle scura, non può mangiare in un ristorante aperto al pubblico, se non può mandare i suoi figli alla scuola pubblica migliore, se non può votare per i pubblici funzionari che lo rappresenteranno, se, in breve, non può condurre la vita piena e libera che tutti noi desideriamo, chi tra noi sarebbe felice di condividere con lui il colore della pelle e prendere il suo posto? Chi tra noi si accontenterebbe del consiglio di portare pazienza e aspettare?
Già cento anni sono trascorsi da quando il Presidente Lincoln liberò gli schiavi e, tuttavia, i loro eredi, i loro discendenti, non sono ancora pienamente liberi. Non si sono ancora affrancati dai lacci dell’ingiustizia e dall’oppressione sociale ed economica. E questa nazione, con tutte le sue speranze e i suoi motivi d’orgoglio, non sarà pienamente libera fino a quando non lo saranno anche tutti i suoi cittadini.
Noi predichiamo con convinzione la libertà in tutto il mondo e teniamo in gran conto la nostra libertà in patria. Tuttavia, dobbiamo dichiarare al mondo e, cosa ancor più importante, a ognuno di noi, che questa è la terrà della libertà, ma non per i neri? Che non abbiamo cittadini di seconda classe, eccezion fatta per i neri, che non abbiamo un sistema di classi o di caste, nessun ghetto, nessuna razza dominante, salvo che rispetto ai neri?
È ormai giunto il momento in cui questa Nazione deve rispettare la sua promessa. Gli eventi accaduti a Birmingham e altrove hanno dato tale vigore alle rivendicazioni di uguaglianza che nessuna città, nessuno stato e nessun ente legislativo possono credere che sia prudente ignorarli.
I fuochi della frustrazione e della discordia si stanno diffondendo in ogni città, a nord e a sud, laddove le opportune misure legali non siano già state adottate. La riparazione dei torti subiti viene ricercata nelle strade, attraverso dimostrazioni, cortei e proteste che creano tensioni, minacciano violenze e mettono a repentaglio vite umane.
Dobbiamo affrontare questa crisi morale come un Paese e come un popolo unito. La soluzione non può essere trovata nell’azione repressiva delle forze dell’ordine né nel diffondersi delle azioni dimostrative lungo le nostre strade. Non è possibile metterla a tacere con gesti simbolici o discorsi. È tempo di agire, nel Congresso, nel vostro stato e negli enti legislativi locali e, soprattutto, nella vita quotidiana di ogni giorno.
Non è sufficiente attribuire la colpa agli altri, dichiarare che è un problema che riguarda solo una parte o l’altra del Paese, né deplorare i fatti a cui assistiamo. Dobbiamo affrontare un cambiamento di grande portata e il nostro compito, il nostro obbligo, è fare in modo che questa rivoluzione, questo cambiamento, sia pacifico e costruttivo per tutti.
Coloro che non agiscono in alcun modo diventano in realtà un motivo di vergogna e un pretesto per la violenza. Coloro che si comportano con coraggio non fanno altro che riconoscere il diritto e la situazione reale.
La prossima settimana domanderò al Congresso degli Stati Uniti di agire, di onorare un principio che non è stato pienamente rispettato nel corso di questo secolo, il principio secondo cui la razza non ha alcuna influenza nella vita né nella legge americana. La magistratura federale ha appoggiato questa proposta nello svolgimento della propria attività, estendendola all’assunzione del personale, all’uso delle strutture federali e alla vendita delle abitazioni finanziate con fondi federali.
Vi sono, tuttavia, altre misure necessarie che devono essere deliberate dal Congresso e che dovranno essere approvate durante la sessione in corso. Le antiche radici dell’ordinamento giuridico su cui si basa la nostra vita stabiliscono che a ogni torto debba seguire un’azione di rimedio, tuttavia, sono troppe le comunità e le zone del Paese in cui i torti subiti dai neri non trovano nella legge alcun tipo di tutela. Se il Congresso non agirà, l’unico rimedio che potranno trovare sarà nelle strade.
Per questo motivo, chiedo al Congresso di approvare una legislazione che conferisca a tutti gli americani il diritto di essere serviti nelle strutture aperte al pubblico, hotel, ristoranti, teatri, negozi e altre istituzioni simili.
Questo mi sembra un diritto elementare. La sua negazione costituisce un affronto arbitrario che, nel 1963, nessun americano dovrebbe subire, ma che molti devono sopportare.
Recentemente, ho incontrato molti importanti protagonisti della vita economica, invitandoli a prendere iniziative spontanee per porre termine a questa discriminazione, e le loro risposte sono state incoraggianti. Nelle scorse due settimane, oltre 75 città si sono attivate per eliminare la segregazione da questo tipo di strutture. Molti, tuttavia, non sono disposti ad agire da soli ed è per questo motivo che è necessaria una legislazione valida a livello nazionale, se davvero intendiamo togliere questo problema dalle nostre strade per portarlo nei tribunali.
Chiederò inoltre al Congresso di autorizzare il Governo Federale a partecipare in modo più completo alle cause giudiziarie volte a porre termine alla segregazione nell’istruzione pubblica. Siamo riusciti a convincere molti distretti a eliminare volontariamente la segregazione. Dozzine di essi hanno decretato l’apertura ai cittadini di colore senza alcuna violenza. Attualmente, almeno una persona di pelle nera frequenta una scuola finanziata dallo stato in ognuno dei nostri 50 stati, ma il processo è ancora molto lento.
Troppi bambini di colore che erano stati iscritti a scuole segregate al tempo della decisione della Corte Suprema, 9 anni fa, entreranno in scuole superiori segregate questo autunno, dopo aver subito un danno che non potrà mai essere riparato. La mancanza di un’istruzione adeguata nega ai neri la possibilità di ottenere un lavoro soddisfacente.
La regolare applicazione della decisione della Corte Suprema, pertanto, non può essere esclusivamente demandata a coloro che potrebbero non disporre delle risorse economiche necessarie per avviare azioni legali o che potrebbero essere vittime di vessazioni.
Sarà necessario prevedere anche altre misure, tra cui una maggiore protezione del diritto di voto. La legislazione, ripeto, non può, tuttavia, risolvere da sola questo problema. La sua soluzione deve essere cercata nella casa di ogni singolo americano, in ognuna delle comunità del Paese.
A questo proposito, desidero esprimere il mio apprezzamento per i cittadini, del nord e del sud, che si adoperano da tempo nelle loro comunità per migliorare la vita di tutti. Si tratta di persone che agiscono non per un senso del dovere imposto dalla legge, ma per la loro sensibilità alla dignità umana.
Come i nostri soldati e i nostri marinai impegnati in ogni parte del mondo, lavorano in prima linea per rispondere alla sfida della libertà e io rendo loro onore per il coraggio che dimostrano.
Cari concittadini americani, questo è un problema che riguarda ognuno di noi, in ogni città, a nord come a sud. Oggi vi sono cittadini di colore disoccupati, il doppio o il triplo dei bianchi, che hanno ricevuto di un’istruzione non adeguata e che si trasferiscono nelle grandi città, senza riuscire a trovare lavoro. In particolare, questa situazione riguarda i giovani disoccupati e senza speranza, a cui sono negati l’uguaglianza dei diritti, la possibilità di mangiare in un ristorante o a un bar, di recarsi al cinema, il diritto a un’educazione dignitosa e persino, ancor oggi, il diritto di frequentare un’università statale anche se dispongono di tutti i requisiti necessari. Credo che questi siano problemi che riguardano tutti noi, non solo i Presidenti, i Senatori, i Deputati o i Governatori, ma ogni singolo cittadino degli Stati Uniti.
Il nostro è un Paese unito ed è diventato tale perché tutti noi e tutti coloro che sono giunti nel corso del tempo nella nostra terra abbiamo avuto la stessa possibilità di valorizzare i nostri talenti.
Non possiamo dire al 10 percento della popolazione che, invece, questo diritto gli è negato, che i suoi figli non avranno l’opportunità di sviluppare qualunque talento abbiano, che l’unico modo che hanno a disposizione per ottenere i loro diritti è scendere nelle strade e dimostrare. Io credo che noi dobbiamo a loro e a noi stessi un Paese migliore.
Per questa ragione, vi chiedo di contribuire a rendere più facile questo passo in avanti e di offrire loro la stessa uguaglianza di trattamento che noi desidereremmo per noi stessi, di dare a ogni bambino la possibilità di avere un’istruzione adeguata ai propri talenti.
Come ho già detto, non tutti i bambini hanno lo stesso talento, la stessa abilità o le stesse motivazioni, ma tutti devono avere lo stesso diritto di sviluppare il talento, l’abilità e le motivazioni che hanno ricevuto, di costruire la propria vita.
Abbiamo il diritto di esigere che la comunità di colore sia responsabile e agisca nel rispetto della legge, ma essa, a sua volta, ha il diritto di esigere che la legge sia giusta e che la Costituzione non faccia distinzioni basate sul colore della pelle, come ha dichiarato il giudice Harlan all’inizio di questo secolo.
Questo è l’argomento di cui stiamo parlando, una questione che riguarda questo Paese e i suoi valori e chiedo il supporto di tutti i cittadini perché questi valori siano rispettati.
Vi ringrazio di cuore.
Esiste una fotografia che è diventata uno spartiacque nella storia della psichiatria italiana e più specificamente torinese. Non tutti la conoscono perchè, ancora oggi, suscita un’emozione forte anche nell’epoca in cui pensavamo di aver visto oramai tutto. La storia viene riproposta nella recente mostra “Matti, dall’emarginazione all’integrazione a 40 anni dalla Legge Basaglia” allestita a Rivalta nel castello degli Orsini segnalatami dall’amico Nicola de Ruggiero sindaco di Rivalta. La foto di Mauro Vallinotto fu pubblicata nel paginone centrale dell’Espresso del 26 luglio 1970 e si riferiva al manicomio per bambini di Villa Azzurra di Grugliasco, sempre nella cintura torinese. Raccontano che dopo poche ore dalla pubblicazione, Carabinieri e Magistrato arrivarono a Villa Azzurra iniziando il percorso che portò alla chiusura del manicomio dei bambini e successivamente di tutta la struttura. Molti si sono esercitati anche meritoriamente nella ricerca di significati più o meno nascosti di questa immagine, di trovarne un senso che potesse essere compreso dalla mente di ognuno di noi mentre guardavamo una bambina classificata “senza” una mente. A tanti anni di distanza credo sia ancora importante e necessario riuscire a guardare questa foto, meglio forse senza commentarla o cercarne un racconto. Come se non ci fosse un prima o un dopo.
Il 19 settembre 1978, a pochi mesi dall’approvazione della stessa legge 180, Franca Ongaro (moglie di Basaglia), scriveva: «Il 13 maggio non si è stabilito per legge che il disagio psichico non esiste più in Italia, ma si è stabilito che in Italia non si dovrà rispondere mai più al disagio psichico con l’internamento e con la segregazione. Il che non significa che basterà rispedire a casa le persone con la loro angoscia e la loro sofferenza».
In tempi di suprematismo bianco – altro nome nemmeno malcelato di razzismo – trovare qualche antitossina utile che almeno ci faccia avvicinare ai termini del problema non è davvero facile. Farlo poi in maniera poco noisa sembra un’avventura. Eppure, se si vuole godere di una buona storia molto ben scritta che elimina moralismi vari e chiacchiere alla moda politica, un consiglio può essere quello di accostarsi al testo di James S. Hirsch “Hurricane, il miracoloso viaggio di Rubin Carter” (ed. 66 TH A2ND) recentissimamente riproposto in libreria. Lasciate perdere Bob Dylan, che pure è importante nella storia di Rubin Carter, il pugile protagonista di questa storia vera nell’america degli anni ’60, e fate scorrere senza pensarci troppo, questa scrittura puntuale e avvincente che non indugia nell’agiografia e mette nel giusto ordine gli istinti di accusato, accusatori e di chi – anche Dylan, perchè no – hanno guadagnato in un modo o nell’altro qualcosa da questa storia. Con l’avvertenza che questa è finita, diciamo così, bene, ma che il mondo non va sempre in questa direzione
La conferenza dello psicoanalista Otto Kernberg tenutasi a Torino e organizzata dall’Istituto di Psicoterapia Psicoanalitica
Superate le 400 parti per milione (ppm) di anidride carbonica in atmosfera. Questo il dato comunicato dall’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO) che certifica come il 2015 veda un superamento costante di una soglia che non è solo psicologica. Cosa significa? Se pensiamo che nell’era preindustriale i valori erano di 280 ppm, gli studiosi hanno posto il limite di 450 ppm per evitare il superamento delle temperature di 2 °C entro la fine di questo secolo. Per dirla ancora meglio, i calcoli degli scienziati suggeriscono che il superamento dei 2°C porterebbe enormi difficoltà per contrastare in maniera efficace il riscaldamento globale. Cosa sia possibile fare in buona sostanza lo sappiamo già. Tenendo conto ad esempio che il 23% del totale di immissione di CO2 viene dalle attività di trasporto, questo rappresenta un fronte aggredibile già ora. Pensiamoci…