Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Auto: meno inquinamento pagando meno

Per la serie auto e tasse, riporto una interessante ed intelligente proposta che lega insieme i costi dei carburanti, le assicurazioni che le automobili pagano con la possibilità di diminuire il numero dei km. percorsi dalle automobili. Ricordo infatti a tutti noi che una delle politiche indicate dall’Unione Europea per la riduzione dell’inquinamento è infatti la contrazione dei Km percorsi dalle automobili. Nello Stato della California (Usa) Mohamed el Gasseir e Andrew Tobias hanno promosso un modo innovativo per segnalare il costo effettivo dei Km percorsi e permetterne la diminuzione pur prevedendo minori costi: “assicurazione pagata alla pompa”. La loro analisi ha concluso che negli Usa gli americani pagano, per ogni Km percorso, più per l’assicurazione che per il carburante. I costi assicurativi infatti sono correlati ai rischi di incidenti che aumentano con l’aumentare dei Km percorsi. In questa proposta gli Stati dovrebbero suddividere il costo dell’assicurazione auto in due parti:la parte correlata al rischio di incidenti è pagata “alla pompa” (quindi trasferita alle assicurazioni in proporzione al loro share di mercato, mentre il resto dei costi relativi ai furti, incendi ed altri rischi viene pagata con il sistema attuale. Questo meccanismo farebbe inoltre comprendere i reali costi assicurativi che diverrebbero trasparenti e comprensibili. Per gli Usa il costo della benzina aumenterebbe da 7,5 a 20 cent di $ al litro. Si tratterebbe di un semplice ed intelligente sistema di pagare l’assicurazione che ci ricorderebbe che i costi della guida contengono anche costi legati ai rischi. Questi sistemi “antichilometri inutili” spingerebbero non alla negazione totale dell’uso delle auto, oggettivamente ancora non presente nella nostra cultura, ma ad uso razionale della stessa legando eventuali risparmi ottenuti anche alla contrazione di costi fissi che tutti pagano indistintamente e magari a concludere che è necessitano meno strade con meno costi per la manutenzione.
Meccanismi di questo genere risolvono almeno in parte l’obiezione che viene portata del fatto che l’aumento del costo della benzina, che riuscirebbe a far contrarre l’uso delle auto per ovvii motivi, significherebbe aumentare la tassazione su un bene che sopporta già alti costi fissi anche se rimane fermo appunto dall’assicurazione che viene pagata comunque. Questo sistema più flessibile aumenta invece l’efficienza della spesa e crea un doppio beneficio per il minor uso che viene promosso dalla contrazione di una parte almeno del costo fisso, che scende quindi al minor uso.

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Tasse auto verdi in Provincia di Torino

Abbiamo deciso come Giunta della Provincia di Torino, di ridurre in maniera significativa l’Imposta addizionale per la registrazione al PRA (IPT) – che si applica alle immatricolazioni della automobili nella nostra Provincia – ai veicoli “verdi”: elettrici, bifuel, metano e GPL. In tempi di vacche veramente magre, rinunciare a circa 800.000 € è certamente una notizia per un’amministrazione come la Provincia di Torino. L’esempio riportato dal giornale “La Stampa” rende correttamente conto di cosa significhi in cifre per chi compra ad esempio una Panda Natural Power: la tassa scende da 196 a 46 €. Ma il vero dato è il cambiamento del tipo di politiche, fortemente invocato in questi anni dall’Assessorato alle Risorse Idriche, Qualità dell’Aria, Energia: è necessario agire subito sulle leve fiscali nelle politiche ambientali perché le azioni del tipo comando e controllo (ti prescrivo un limite e poi – cerco – di controllarti) non sono sicuramente più sufficienti ed efficaci. Questo infatti è un uso assennato delle possibilità che il mercato può offrire e che abbiamo già diverse volte teorizzato in precedenti post. Inoltre risulta fortemente coerente con politiche già in corso della Provincia di Torino quali l’abbattimento del costo dell’abbonamento per il trasporto pubblico del 35% mediante il “Ticket transport”. E’ una conferma di nuove politiche d’avanguardia per gli Enti: non tanto per le cifre e la specificità, quanto per il cambiamento di indirizzo, rivolto ad un settore tecnologicamente avanzato con alto contenuto di conoscenza.

Per simulazioni dell’importo consulta il sito de “La Stampa”: Imposta Provinciale di Trascrizione, la simulazione su alcuni modelli.

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Le morti di Torino ovvero la società del rischio

Ulrich Beck l’ha chiamata “società del rischio” e credo avesse ragione. Bisognerebbe rispolverare con interesse alcune delle sue tesi, proprio nel momento in cui vorrebbero farci credere che esista un’emergenza della mortalità sul lavoro. Forse però non è un’emergenza, ma queste morti sono connesse con il nostro modello di sviluppo che supinamente stiamo continuando a scegliere, sono intrinseche ad esse. Perché i rischi cambiano anche la loro natura: non derivano più dall’esterno, dal non-umano, dalla fatalità naturale, ma dipendono da decisioni. Sono il riflesso di azioni ed omissioni dell’uomo stesso, la conseguenza di forze produttive fortemente sviluppate. La produzione delle condizioni di vita della società nella sua interezza diventa quindi un problema ed oggetto di ripensamento: la società deve venir messa a confronto con se stessa. Paradossalmente infatti sembra quasi che la fonte del pericolo non sia più l’ignoranza ma la stessa conoscenza, non un dominio carente della natura, ciò che si sottrae alla capacità dell’uomo, ma il sistema di norme e di vincoli oggettivi stabilito con la crescita industriale. Cosa vuol dire ciò? Vuol dire che la società in questo sviluppo ha seguito un percorso “suddiviso”, dove il sistema politico-amministrativo e quello tecnico-economico si sono sviluppati in due rami diversi. Da una parte il principio della partecipazione dei cittadini, l’elaborazione condivisa delle decisioni con regole democratiche e l’esercizio del potere politico e del comando che devono derivare dal consenso dei governati. Dall’altro lo sviluppo di un qualcosa che viene percepito come non-politico, ma è invece tutto politico. Il progresso tecnico è equiparato acriticamente a quello sociale e la direzione di sviluppo e i risultati tecnici seguono inevitabili vincoli oggettivi tecnico-economici, dove gli effetti negativi trovano giustificazione nell’innalzamento degli standard di vita. Il problema è che questo processo è completamente sottratto al vaglio politico, possiede un potere di realizzarsi immune alla critica e infinitamente più veloce rispetto alle procedure democratico-amministrative. Dice efficacemente lo stesso Beck: “il progresso sostituisce il voto. Più ancora diventa un sostituto dei problemi, un tipo di consenso preventivo su fini e conseguenze che rimangono ignoti ed innominati. (…) Solo una parte delle competenze decisionali che strutturano la società è legata assieme nel sistema politico e sottoposto ai principi della democrazia parlamentare. Un’alta parte è sottratta alle regole dei controlli e della giustificazione pubblica e delegata alla libertà di investimento delle imprese (…). I cambiamenti sociali sono rimossi come effetti collaterali latenti delle decisioni, dei vincoli e dei calcoli tecnico-scientifici. Ci si afferma sul mercato, si utilizzano le regole di realizzazione dei profitti e così facendo si rovesciano le condizioni della vita quotidiana.(…) Da un lato, le istituzioni del sistema politico presuppongono, per ragioni funzionali e sistemiche, che il ciclo produttivo di industria, tecnologia e economia. Dall’altro ciò fa sì che sotto tale copertura giustificativa venga data per scontata la trasformazione degli ambiti di vita sociale in contraddizione con le regole della democrazia: conoscenza dei fini della trasformazione sociale, discussione, voto, consenso.” L’incidente della Tyssen-krupp credo vada letto nella sua interezza come risultato di questa contraddizione e non come semplice mancanza di un paio di estintori. Anch’io la penso come Ewald la cui teoria segna un significativo cambiamento nell’interpretazione del welfare: la costruzione di questo non deve essere interpretata in termini di interesse di classe, di mantenimento dell’ordine sociale o di miglioramento della produttività nazionale, ma consolidarlo, ricostruirlo come fornitura di servizi (assistenza sanitaria), creazione di schemi assicurativi e regolazione dell’economia e dell’ambiente in termini di creazione della sicurezza. Questo nuovo welfare potrebbe essere il compito di una sinistra veramente moderna.

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Per i lavoratori di Torino

Un po’ di silenzio…
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Cura del ferro per i gas serra?

Riporto una curiosità che rende conto della complessità delle forze in gioco nell’ambiente. Attualmente molti Oceani, soprattutto l’Oceano Pacifico e quello Meridionale, hanno una scarsa produzione di vegetali marini a causa della contrazione di nutrienti tra cui il più importante è il ferro che giunge in mare in buone quantità tramite il pulviscolo atmosferico dalla terra. La proposta di uno studioso (John Martin) è quella di fertilizzare l’Oceano con ferro che stimolerebbe la produzione marina con nuova attività di fotosintesi che catturerebbe nuovi quantitativi di CO2 e la immagazzinerebbe in sedimenti marini profondi rimuovendola dall’atmosfera. Alcuni esperimenti comunque hanno dimostrato la necessità di alte quantità di ferro per la fertilizzazione. Inoltre la sospensione di questa attività farebbe rilasciare nuovamente in atmosfera discrete quantità di CO2. Ma l’aspetto paradossale è che attualmente sembra che la quantità di pulviscolo liberato, grazie all’attività industriale e dai cambiamenti d’uso del suolo, sia aumentata di circa il 150% rispetto a 200 anni fa, incrementando la capacità degli oceani di assorbire CO2 dall’atmosfera: è come se la situazione attuale, la nostra atmosfera contaminata, ci stesse aiutando a diminuire un gas serra. Se consideriamo che il Protocollo di Kyoto ci spinge ad espandere le foreste e impedire l’erosione del suolo allo scopo si prelevare la CO2 dall’atmosfera, si assisterebbe ad una diminuzione del pulviscolo e del ferro in esso contenuto. Andrew Ridgwell della University of British Columbia (Canada) e Mark Maslin, fra i maggiori esperti mondiali di climatologia, hanno ipotizzato che una quota significativa dell’anidride carbonica supplementare immagazzinata sulla terra a seguito delle misure del protocollo di Kyoto potrebbe venire restituita in atmosfera: la diminuzione del pulviscolo e del ferro in esso contenuto limiterà la capacità dell’oceano di assorbire CO2 e vanificherà, comunque nell’arco di centinaia di anni, il vantaggio ottenuto dalla piantumazione di nuove foreste. Curioso o inquietante?

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Rifkin ovvero la Città del Sole

Ma cosa ha detto l’economista Jeremy Rifkin all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Torino? Nessun Paese europeo possiede le nostre risorse in termini di sole, forza del mare, vento e capacità di produzione idroelettrica. Ma Stati come la Germania ed i Paesi scandinavi sono già molto più avanti di noi su questa strada. L’Italia deve recuperare lo stesso ruolo che ha giocato nelle precedenti rivoluzioni industriali, anche per quest’ultima che si annuncia come decisiva per la sopravvivenza del mondo come lo conosciamo. Ricordiamo che lo stesso Prodi è stato il primo leader mondiale come presidente dell’Unione Europea, ad avviare un progetto di ricerca sull’idrogeno. L’economista, vera autorità globale in materia di rapporti tra ambiente ed innovazione tecnologica, dopo aver passato in rassegna le precedenti rivoluzioni tecnologiche caratterizzate dapprima da carbone, vapore e comparsa della stampa e quindi dal motore a scoppio, telegrafo e telefono, ha tratteggiato la terza come l’era di internet e computer e l’abbandono dalle fonti fossili. Ma soprattutto denuncia la necessità del passaggio da un’energia “elitaria” ad una “distribuita”: non più la concentrazione delle risorse in zone ricche di gas e petrolio, ma eolico, solare e forza delle maree utilizzabili in ogni luogo del mondo. Distribuire quindi lo stesso potere a sempre un maggior numero di persone che diventano produttori. Tutti creeranno la propria energia e ridistribuiranno le eccedenze ad una rete intelligente. Si annulleranno le distanze, soprattutto tra i Paesi ricchi e poveri, che poi sono senza potere perché senza energia. E se il problema è che tali risorse non sono continuative ecco comparire il vero cavallo di battaglia di Rifkin: a tutta forza verso l’idrogeno. Perché il riscaldamento del pianeta è al limite. Ma soprattutto i processi climatici sembrano subire un’accelerazione inaspettata. E perché non è attuale la discussione sul nucleare? Perché le 400 centrali del pianeta producono solo il 5% dell’energia e stanno invecchiando: per ammodernarle servirebbero due miliardi di euro ciascuna e per avere effetti climatici positivi occorrerebbe costruirne due al mese nuove per i prossimi 60 anni. L’unica strada sono le rinnovabili: “ E’ una scommessa che deve unire tutti i popoli del mondo e in cui non possiamo commettere errori perché non avremmo il tempo per porvi rimedio. Le Università hannoun ruolo cruciale perché tutte le discipline e le conoscenze del mondo vanno poste a profitto della salvezza della razza umana”. Non so perché, ma sembra sia nato un nuovo Tommaso Campanella…

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Che prezzo ha la natura?

A qualcuno di noi sicuramente è capitato di farsi una domanda indecente: che prezzo ha la natura? La domanda però può non risultare dannosa o inutile, soprattutto se può arginare la frustrazione di chi si occupa a tutti i livelli di ambiente nel vedere come l’opinione pubblica continui a non comprendere le implicazioni economiche dei servizi resi dall’ambiente. Per cercare di attirare l’attenzione su questo problema, le due pubblicazioni sicuramente più autorevoli sono state il volume Nature’s Services di Gretchen Daily nel 1994 e il documento collettivo curato da Robert Costanza nel maggio 1997 e pubblicato sul prestigioso “Nature”dal titolo The value of the world’s Ecosystem Service and natural capital. Questi studi hanno attribuito un “prezzo” annuo a 17 servizi forniti dall’ecosistema: considerando il dollaro del 1998 tale “prezzo” è stato quantificato in 36.000 miliardi di $ (con un massimo di 58.000 miliardi). Tenendo conto che il PIL mondiale, sempre nel 1998, era di 39.000 miliardi di dollari, tale paradosso fece notizia. Nello specifico le diverse “matrici” erano così state valutate in miliardi di dollari: 1300 la regolazione atmosferica dei gas; 2300 l’assimilazione e trasformazione dei rifiuti; 17000 i flussi di nutrienti; 2800 la conservazione e depurazione delle acque. I sistemi marini ricevettero la valutazione maggiore con 20.900 mentre quelli terrestri 12.300 (4.700 alle foreste e 4.700 alle zone umide). Il valore medio dei sistemi terrestri era di circa 1.200 $ per ettaro, mentre quelli marini venivano valutati di quasi 600. Il valore assoluto più alto era quello degli estuari: quasi 23.000 $ per ettaro, non per il loro valore di produzione di alimenti ma in quanto garanti del ciclo dei nutrienti per 40.000 miliardi dimetri cubi annui di acqua dei fiumi. Presumendo un reddito annuo di 36.000 miliardi di $ in termini di servizi ecosistemici e calcolandone la capitalizzazione sul tasso utilizzato dal Tesoro Usa, si ottiene un valore complessivo della natura poco maggiore di 500.000 miliardi di dollari (cifra assurdamente bassa che corrisponde a circa 13 anni di prodotto economico).
L’utilità di attribuire comunque dei prezzi rende capaci di esprimere con chiarezza il problema. Anche se può sembrare appunto rasentare l’assurdità, dare comunque un valore agli stock ed ai flussi di capitale naturale, come se avessero dei prezzi, può rappresentare un passo verso l’incorporazione di tali valori nella pianificazione delle politiche e dei comportamenti pubblici. Anche se rimane valido l’adagio che conosciamo il prezzo delle cose senza saperne il valore. (dati tratti da: P. Hawken, A. e L Lovins; Capitalismo naturale, 2007)

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Sviluppo sostenibile globale

Notizie conflittuali oggi dal mondo eco-nomico/logico. Al Gore apre in videoconferenza un convegno sullo sviluppo sostenibile ricordando che l’Italia è al 7° posto per capacità eolica istallata che deve continuare su questa strada accelerando il passo, soprattutto con una partnership più stretta tra Governo ed industria. Ricordando però come il nostro Paese sia sempre più dipendente dall’importazione di petrolio con un fabbisogno maggiore di circa il 40% rispetto alla media europea. Tito Boeri, economista alla Bocconi di Milano, è pessimista: “ l’85% della nostra energia viene importata e siamo in ritardo sugli impegni assunti in tema di riduzione delle emissioni. Non è inoltre possibile seguire la logica dei due tempi: prima lo sviluppo e poi l’ambiente. La nostra classe politica è miope”. Joseph Stigliz ha poi affermato che “lo sviluppo sostenibile è possibile, non ci sono alternative, ma c’è bisogno di uno sforzo globale da parte del mondo sviluppato e in via di sviluppo: entro il 2010 la Cina supererà gli USA fra i Paesi inquinanti. E i Paesi emergenti nei prossimi 15 anni contribuiranno per il 50% delle emissioni. Il trattato di Kyoto non può funzionare”. Stigliz pensa che sia necessaria una governance internazionale sullo sviluppo sostenibile. Ci pensa comunque Luca Cordero di Montezemolo a darci la linea. Per Confindustria differenziare le fonti di approvvigionamentoè facile: basta puntare sul nucleare di nuova generazione e sui rigassificatori. Chissà cosa ne pensa del cartellino rosso alzato da Taotao Chen, docente di Pechino, che parlando della logica dei due tempi – prima lo sviluppo e poi l’ambiente – ha ricordato come questa logica sia sistematicamente perseguita dalle multinazionali, e non solo, dei Paesi industrializzati quando spostano le produzioni per approfittare dei più bassi standard ambientali. Vedremo a chi darà ragione la Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici che si apre oggi a Bali.

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Politiche locali contro il global warming

Un’opinione diffusa a livello politico locale è che il problema del riscaldamento globale sia risolvibile sostanzialmente a livello internazionale e che le azioni a livello locale siano inefficaci se non controproducenti. Si ritengono quindi inutili richiami di alcuni importanti documenti quali quello della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992 che invece invitano agenzie locali e singoli attori sociali ad agire in tema di sviluppo sostenibile e cambiamento ambientale. Un esempio della correttezza di questa impostazione (M. Maslin: riscaldamento globale, Torino 2007) sono state le esperienze registrate in diversi ambiti locali quali il New Hampshire, la California ed il Wisconsin. Riassumendo, i Governi locali hanno promosso incontri con le imprese locali, le autorità ed i movimenti ambientalisti per formulare soluzioni per la riduzione dei gas serra nel proprio ambito locale. I risultati sono stati diversi e positivi. Dopo la decisione di agevolare le imprese che avessero deciso di ridurre volontariamente le emissioni, l’obiettivo è stato raggiunto con l’istituzione di un registro di tutte le emissioni di gas serra, ottenendosi un netto miglioramento dei parametri della qualità dell’aria. Inoltre il Wisconsin è stato il primo stato Usa ad effettuare uno studio dei costi degli interventi necessari contro il “global warming” per il proprio territorio. Il riscontro è stato che l’attuazione di politiche a costo zero o addirittura di risparmio come la misurazione dell’efficienza energetica, ha creato più di 8.000 nuovi posti di lavoro e si è risparmiato quasi mezzo miliardo di dollari con crescita del PIL locale e l’abbattimento di oltre 75 milioni di tonnellate di CO emessa. Segnalo come un corretto approccio con gli strumenti dell’economia ambientale abbia fatto emergere e risolvere uno dei principali problemi riscontrati durante la formulazione della coerente legislazione intrapresa dopo questa ricognizione. La diversa agevolazione delle aziende è stata infatti sostenuta dalla necessità di eliminare la maggiore rigidità che si veniva a determinare per le aziende che avevano già avviato una riduzione delle proprie emissioni secondo il Clean Clear Act e che quindi si venivano a trovare con costi marginali maggiori per ottenere tali obiettivi rispetto a quelle che sporcavano di più.

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Tasse e mobilità

 
Dal Libro Bianco della Commissione Europea (2001, pp. 75-6): “Paradossalmente al trasporto sono applicate troppe tasse: immatricolazione, circolazione,, assicurazione,carburanti, uso delle infrastrutture. Più che pesantemente tassato, il trasporto è tassato male ed in maniera diseguale. Gli utenti sono trattati senza distinzione, senza tener conto del degrado delle infrastrutture, degli ingorghi,dell’inquinamento di cui sono responsabili. Questa cattiva ripartizione degli oneri tra gestori dell’infrastruttura, contribuenti ed utenti è all’origine di notevoli distorsioni di concorrenza tra operatori e tra modi di trasporto. Per creare condizioni veramente eque la tassazione dovrebbe, secondo lo stesso principio e a prescindere dal modo, meglio ripartire i costi di trasporto che in generale sono ora sostenuti in gran parte dalla società (contribuenti e imprese) e non dagli utenti. (…) L’intervento della Comunità deve mirare a sostituire progressivamente le tasse che gravano attualmente sul sistema dei trasporti con strumenti più efficaci per integrare i costi dell’infrastruttura e i costi esterni.

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