Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Sinistra: psicodrammi, sconfitte e interessi

Brutta sconfitta, ma, paradossalmente, è ancora presto per parlarne con vera cognizione di causa.
Perché in fondo bisogna far passare gli “umori” e mettersi a studiare seriamente sul cosa e perché è successo.
Mi sembrano infatti abbastanza sterili i commenti a caldo che si leggono da molte parti e che conducono un’analisi un po’ strana: cercano cioè di capire come mai “gli altri” non hanno votato quanto esisteva a sinistra.
Secondo molti infatti gli altri, i cittadini normali, penalizzerebbero comportamenti rissosi nelle maggioranze di governo, la scelta dell’indulto e via di questo passo.
Tutti comunque ad analizzare perché il proprio vicino si è smarcato.
Il segnale è strano perché immediatamente c’è una ricerca affannosa a giustificare il non voto di chi vive vicino a noi.
Se notate pochi parlano di se stessi. Il sospetto è che, data la scarsa consistenza dei voti a sinistra e la gran quantità di gente che ne parla, in realtà si parla delle proprie ragioni nascondendosi, camuffandosi con un “altri” non meglio identificabili.
Una specie di psicodramma, forse da leggere come lista delle cose che non sono piaciute agli stessi elettori della sinistra della sinistra stessa.
E ce n’è per tutti i gusti.
Mi colpisce ad esempio la questione operaia: “non siamo riusciti ad intercettare le pulsioni della classe operaia”; “gli operai speravano in un cambiamento che non c’è stato e ci hanno punito” e via discorrendo.
Curiosa questa.
La cosa strana è che si doveva inseguire gli operai, essere maggiormente presenti nei luoghi di lavoro.
E questa è la prima “rottura”: una volta, per dirla rozzamente, i partiti di sinistra erano fatti da operai.
Non solo certamente, ma erano essi stessi gli operai, la loro casa, la loro espressione, la loro forza organizzata.
Ora gli operai bisogni cercarli, sono cosa diversa dai partiti di sinistra. Pur tra tante contraddizioni, il Partito Comunista e quello Socialista “erano” gli operai, e cercavano di coinvolgere altri pezzi di società in un’unica istanza di affrancamento, di liberazione.
Ora il voto operaio si deve “intercettare” e questo la dice lunga sulla capacità di rappresentazione.
Poi il “voto utile”.
Mi risulta davvero strano comprendere come una buona proposta, per dirla così, non riesca ad essere più appetibile del voto utile.
Molto rozzamente, ma per intenderci, mi sarebbe piaciuto vedere se pagando subito in contanti, mettiamo, anche solo 5 mila € alla dimostrazione di un voto per la sinistra, la disfatta si sarebbe tramutata in vittoria.
Probabilmente la proposta non è stata ritenuta così utile, produttiva, vantaggiosa. Se pensiamo che il cosiddetto voto utile veniva dato nemmeno per il partito a cui ci si richiamava idealmente, ma ad uno appena vicino, la proposta probabilmente era davvero troppo debole.
Oppure non ritenuta realizzabile. Bisognerebbe che come dirigenti politici pensassimo anche a questo.
In ultimo forse bisogna abituarsi a studiare meglio la realtà delle cose.
Opero un piccolo cortocircuito:
la TAV e, l’annunciato, successo della Lega Nord.
Cosa vogliono dire queste due cose?
Vogliono dire che gli interessi delle persone stanno cambiando, o meglio che, come ci ripetono i sociologi, gli interessi non sono più distinti per blocchi sociali, per categorie, ma che stanno emergendo interessi che si raggruppano in “comunità”.
Gli interessi non si distinguono ma si sommano.
La TAV buca l’indifferenza generale perché è il problema di una comunità intera e trapassa trasversalmente l’operaio e l’imprenditore.
La Lega riesce, ad esempio a Malpensa, a contemperare in un caso esemplare come Malpensa, gli interessi del pilota d’aereo con quelli locali dell’inserviente dell’aeroporto, come ci ricorda Giuseppe De Rita.
Noi no, no ci riusciamo, e nemmeno il PD.
E lo stesso De Rita ha forse ragione quando dice: “Non serve compiacersi di aver attraversato 110 province in pullman. Alle comunità locali di interessi bisogna starci dentro e capirne le esigenze”.
E questo vale per sia per movimenti ritenuti di sinistra (TAV) che espressioni di altre ideologie (Malpensa).
Ma siamo solo all’inizio.
Magari di una Sinistra moderna che sappia anche studiare, comprendere e dirigere certi fenomeni, capendone i valori che esprimono e scegliendo quelli che si ritengono più giusti.

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Fai una scelta di parte



Sosteniamo le liste de “La Sinistra, l’Arcobaleno”, e il candidato-premier Fausto Bertinotti, per quattro buone ragioni:

1. Perché è un voto utile alla democrazia italiana e alla rinascita della politica. La contesa elettorale non può ridursi a una partita a due, o a un referendum tra leadership spettacolari. E il futuro del paese non può essere affidato al “modello americano” , che per definizione e vocazione storica cancella la sinistra dalla rappresentanza istituzionale. Per battere la destra, la sinistra resta essenziale. Per vincere la sfida della pace che muove milioni di persone, ci vuole una sinistra forte. Per superare la crisi di fiducia, e i pericoli di declino morale dell’Italia, le idee e la forza della sinistra restano imprescindibili.

2. Perché è un voto di parte. Dalla parte dei lavoratori e dei diritti del lavoro, operaio, precario, intellettuale, sfruttato, sottopagato, umiliato. Dalla parte delle donne, dei giovani e dei nuovi cittadini e cittadine migranti in cerca di libertà. Dalla parte del rispetto per l’ambiente, minacciato da un’idea di sviluppo cieca e squilibrata. Dalla parte del valore non mercificabile del sapere e della conoscenza. Fuori da questa parzialità, che rivendichiamo come una risorsa preziosa, non c’è vera possibilità di cambiamento. E tutto si “concilia”, si omologa, si appiattisce, in un clima di conformismo dilagante.

3. Perché è un voto laico. Per fermare l’invadenza interventista delle alte gerarchie vaticane e le tentazioni neo-temporaliste della Chiesa cattolica. Per arginare le insorgenze fondamentaliste, che attaccano leggi come la 194, bloccano l’allargamento dei diritti civili, diffondono omofobia, tentano di ricondurre le donne ad un ruolo antico di soggezione. Noi non vogliamo nè “guerre di religione” nè antistorici steccati tra credenti e non credenti. Crediamo piuttosto che la laicità dello Stato e il primato del Parlamento siano il fondamento più solido della libertà di tutti.

4. Perché è un voto di speranza: per una sinistra capace di rigenerare se stessa, il suo modo di essere e di agire, i suoi progetti. Un obiettivo difficile, ma assolutamente necessario, che può cominciare un percorso positivo nel fuoco di queste elezioni, il 13 e 14 aprile. Noi, a questa speranza non possiamo rinunciare.


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La lista “Atomica” di Berlusconi

Il Sole24ore ci informa sul numero di oggi, 11 aprile 2008, di un documento frutto di uno studio commissionato dal Popolo delle Libertà, in cui verrebbero indicate almeno quindici località che potrebbero ospitare centrali atomiche, reso noto dall’uscente Ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio.
La lista atomica comprenderebbe:
Trino Vercellese (VC)
Fossano (CN)
Monfalcone (Gorizia)
Chioggia (Venezia)
Caorso (Piacenza)
Ravenna
Scarlino (Grosseto)
S. Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno)
Latina
Termoli (Campobasso)
Garigliano (Caserta)
Mola (BA)
Scanzano Ionico (Matera)
Palma (Agrigento)
Oristano

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Sinistra Arcobaleno: il programma per la giustizia

Potenziare le politiche sociali, ridurre il numero complessivo di reati per permettere ai magistrati di concentrarsi solo su questioni di grave portata criminale, il ritorno alla Costituzione, recuperare il realismo, riavviare una stagione di riforme.
Il tema della giustizia e della tutela dei diritti va rilanciato nell’ambito di questa campagna elettorale.
Per questo La Sinistra/ L ‘Arcobaleno ha diffuso lunedì scorso, nell’ambito di un dibattito pubblico, i contenuti del suo programma in tema di giustizia. A partire dall’obiettivo della riduzione dell’area dell’illecito penale con l’abrogazione delle leggi criminogene Fini-Giovanardi e Bossi-Fini e l’approvazione del Codice penale predisposto dalla commissione presieduta da Giuliano Pisapia.
Continua a leggere
l’articolo di Arturo Salerni – Responsabile carceri per Rifondazione Comunista

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Nuove precarietà: il pendolarismo invisibile

Tra i diversi effetti della difficoltà nel trovare un posto di lavoro stabile – leggi  precarizzazione – ne esiste uno che ogni tanto riemerge rappresentato dagli spostamenti a lungo raggio per ragioni di lavoro.
L’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) ne ha quantificato recentemente le dimensioni calcolando in circa 150 mila i lavoratori residenti nel sud Italia che lavorano, più o meno stabilmente, nel Centro Nord.
Il fenomeno viene rappresentato come composto soprattutto da uomini (75%), non sposati (57%) con età inferiore ai 34 anni (58%).
I contratti a tempo determinato rappresentano più del 58% dei casi con alto livello professionale nel 50%.
I settori più rappresentati sono i servizi (68%) seguiti da costruzioni (17%) ed industria (14%).
Anche l’emigrazione sembra diventata precaria, perché gli anni necessari a trovare un posto di lavoro stabile e decente, sono troppi e nemmeno con la sicurezza del risultato e costringono a mantenere un piede nelle città d’origine.
A margine e per curiosità, riporto una delle spiegazioni di questo fenomeno avanzata da Il Sole 24 ORE: “Se di pendolarismo di lungo raggio si può parlare, è però solo grazie alla maggior accessibilità dei servizi di trasporto. (…) In questo senso, i treni ad alta velocità o i voli low cost sono diventati un supporto fondamentale”.
Auguri agli astri nascenti dell’analisi sociale.

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Sinistra: soggetto unico senza barriere

In fondo, per noi a Sinistra, questo fine campagna elettorale potrebbe rivelarsi meno noioso del previsto.
Lasciando ad altri il compito di continuare a non confrontarsi parlando di schede elettorali e di fucili, credo che nell’agenda politica post elezioni della Sinistra sia entrato a pieno titolo il tema della “ricomposizione” della storia del ‘900, almeno per ciò che riguarda le due grandi famiglie espresse dal movimento operaio.
La temuta insufficienza numerica della sinistra italiana, ha forse chiarito un sentimento di disagio derivante proprio dalla divisione, dalla separazione di percorso tra le forze che genuinamente si richiamano ai valori del comunismo e del socialismo e di cui, sempre meno nel XXI secolo, se ne comprende la ragione attuale.
Chiaramente il corno del problema da affrontare non è tanto quello “storico”, ma appunto quello “politico”, senza disconoscere ragioni che, a questo punto del percorso, sembrano poco produttive.
Non siamo, oggi, di fronte alla lotta per l’egemonia novecentesca tra PCI e PSI.
Il rischio è una vera e propria marginalizzazione di tutta la storia della sinistra in Italia, compresa l’esperienza ambientalista e di movimento che hanno dato fiato in questi anni ad un, come ci insegna la sociologia, salutare conflitto politico e sociale nel nostro Paese.
Oggi si percepisce un’atmosfera un po’ diversa, che non si cristallizza in richieste di abiure o di rinnegamenti della propria storia.
I fatti sembrano confermare la tendenza.
Mentre ieri Boselli proponeva, principalmente alla Sinistra Arcobaleno, un patto per la laicità, oggi Fausto Bertinotti riafferma il soggetto unico della Sinistra, democratico e partecipato, che non conoscerà più verticismi, ma sarà condotta da una leadership collegiale.
Questo è anche il senso, credo, dell’affermazione di un comunismo all’interno di questo soggetto come “tendenza culturale”, cioè capace di contaminare e di farsi contaminare, come superamento “di uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi, ma un movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” come la precarietà, la mancanza di sicurezza sul lavoro, le derive teocratiche, le fonti di diseguaglianza sociale, le impari condizioni di partenza.

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Elezioni: economia, crescita e disuguaglianza

Si dibatteva, con i soliti amici, della campagna elettorale e la discussione è fatalmente finita sulla crescita economica.
Domande e risposte erano sul tono: “se non produci non c’è nulla da ridistribuire” e quindi le promesse elettorali dei vari partiti rimanevano semplici ami a cui tutti noi “boccaloni” siamo pronti ad abboccare.
Finché il più versato in materie economiche di noi se ne è venuto fuori con una tesi un po’ “obliqua” a cui non abbiamo potuto opporre grandi repliche ma che mi piace riprendere.
La tesi molto semplice è stata dichiaratamente derivata da una recente lettura di un libro di un economista, Elhanan Helpman – Il mistero della crescita economica, Il Mulino editore – e sostiene semplicemente, ma con nutrita documentazione, che la crescita viene normalmente depressa  dalla presenza delle disuguaglianze all’interno di un territorio.
I motivi, i meccanismi attraverso cui si arriva a ciò, non sono a dire il vero completamente noti.
Ma assumendo come vera questa affermazione, la discussione non ha potuto che arrivare alla logica conclusione che se esiste un legame tra la crescita economica e la distribuzione del reddito il meccanismo “regolatore” di questo legame non può che essere ricercato, diciamo così, al di fuori della teoria economica.
Dove? Nella Politica e nelle Istituzioni.
Il nostro amico, maliziosamente silenzioso dopo aver gettato la pietra nella stagno, ci ha poi confermato che anche per Helpman il “mistero” della crescita economica è assolutamente collegato al governo ed alle forme assunte dalle Istituzioni.
Questa discussione sembrerà a molti banale, ma devo dire che in tempi di ricette elettorali per la crescita o decrescita economica, sentire parlare della diseguaglianza sociale non come conseguenza, ma come determinante economico per lo sviluppo non è merce molto presente negli scaffali della politica.
Oltre a chiarire l’importanza dei fattori extraeconomici.
Se chiaramente mi sento in dovere di approfondire queste tesi mediante l’esposizione di Elpman, non credo che questa idea sia lontana dalla realtà.
La rilancio come una delle chiavi per leggere e valutare le posizioni delle diverse forze politiche.
Almeno di quelle di sinistra che intrinsecamente possiedono geneticamente questa sensibilità.


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La fine dello scrutinio elettronico

Vi ricordate lo scrutinio elettronico?
Era quella sperimentazione iniziata per le Europee del 2004 e replicata nel 2004 e
2006 in alcune Regioni italiane (Liguria, Lazio, Puglia e Sardegna) per cui, all’interno di alcuni seggi, era presente un operatore informatico il cui compito era quello di inserire su computer i voti che man mano venivano scrutinati.
Una volta acquisiti, i voti telematici venivano riversati sul computer centrale della sede elettorale per essere inviati al Viminale, con un netto risparmio di tempo.
I test avevano dato responsi positivi e si era pronti al rilancio della procedura.
Il Sole 24 ORE di oggi ci comunica invece che per queste elezioni mancano i soldi per riproporre questa tecnologia.
In passato si poté contare su un budget di 34,6 milioni di € che quest’anno non è stato rifinanziato.
Si ritorna quindi al passato, con la sicurezza che anche per queste elezioni avremo i dati con il contagocce e si riapriranno le polemiche sullo stato di obsolescenza dei nostri sistemi di conteggio e di trasmissione dati, sicuramente non in linea con gli altri Paesi Europei o con democrazie più giovani e guardate con sufficienza quali ad esempio il Brasile.
Se parte da qui l’innovazione tecnologica del nostro Paese siamo a cavallo.
In tutti i sensi…

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