Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Banca Mondiale: biocarburanti solo da cellulosa. Basta con i sussidi

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Analisi e proposte lucide della Banca mondiale rivolte al G-8 di Hokkaido per la riduzione dei sussidi alla produzione di biocarburanti derivati dal mais e dagli altri cerali e olii vegetali. Il Presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, sferza Europa e Stati Uniti ad abbandonare per la produzione di carburanti mais e cereali – colpevoli di aver provocato per questa via l’aumento dei prezzi provocando la povertà di circa 100 milioni di persone – e ad investire nello sviluppo di carburanti di seconda generazione derivati dalla cellulosa. Zoellick ricorda come la spirale innescatasi di inflazione alimentare ed energetica, produrrà uno shock negativo su 41 Paesi, misurabile  fra il 3 ed il 10% del PIL, oltre all’impatto politico che sta provocando sui Paesi più svantaggiati con robuste reazioni sociali di imprevedibile esito. È necessario uscire dalla spirale di scelta tra cibo e carburanti ed è necessario tagliare i dazi sull’etanolo importato in USA ed Europa, sviluppando invece la produzione più efficiente dalla canna da zucchero, che non compete direttamente con la produzione alimentare e favoriscono le opportunità per i Paesi più poveri. Viene inoltre richiamato un precedente studio della stessa Banca Mondiale che riportavano un contributo significativo all’aumento dei prezzi alimentari, effetto che però va interamente attribuito al biocarburante derivato dal mais e cerali, mentre sarebbe neutro l’effetto sui prezzi dell’etanolo derivato dalla canna da zucchero, che ha anche un significativo minore impatto ambientale.

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Pubblici servizi: davvero liberalizzare è la via migliore?

Notizia di questi giorni è la proposta di “smobilizzare” le aziende pubbliche per coprire i “buchi” dei Comuni sempre più stritolati dalla mancanza di trasferimenti a livello statale di fondi, necessari per coprire settori di pubblica utilità.
Non riuscendo a garantire i servizi essenziali, la proposta, che trova in prima linea il Sindaco di Torino Sergio Chiamparino, è l’entrata in scena in maniera massiccia dei capitali privati.
Il grido di dolore è continuato anche oggi al Convegno di Confservizi svoltosi oggi a Torino sul tema “Etica ed efficienza nella riforma dei pubblici servizi“.

Il problema è serio ma almeno un’osservazione, non ideologica, penso sia utile per l’inquadramento della discussione.

Innanzitutto il fatto che, spesso, si parla di aziende che operano nel settore dei “beni comuni”.
Il caso più eclatante è quello dell’acqua, bene comune e sottoposto alla cosiddetta “tragedy of commons” (la tragedia dei beni comuni) ben nota a chi si occupa di economia.
Ed una conseguenza di questa è il semplice assunto che, per i beni ambientali come in quelli di carattere “comune”, il mercato “fallisce”.
Succede, per dirla in maniera semplice, che lo stesso mercato non è in grado di funzionare e di determinare prezzi utili per ripartire le risorse in modo efficiente fra usi alternativi.
Anche se il mercato fosse in grado di ripartire le risorse idriche fra i vari usi, di fatto esistono molte imperfezioni che non permettono di farlo in modo efficiente.
E in una logica di mercato la gestione delle risorse idriche si confonde con quello della gestione dei servizi idrici.
Nessuno nega che sia necessario un aumento di efficienza tecnologica, che è l’unica che deve rappresentare un costo, ma non confondiamo il costo del progresso di questa con l’attribuire un prezzo alla risorsa in se stessa che è di tutti ed a tutti deve essere resa disponibile senza la cosiddetta prova del mercato (o meglio delle tasche di tutti noi).

Il problema è che per reperire risorse si va a bussare alla porta di chi le possiede, cioè di chi ha ben operato, è stato efficiente, ha regolato bene costi-benefici in un superiore interesse pubblico.
Che, caso strano, non appartiene al “rodeo” del mercato, ma sono aziende, appunto, pubbliche.
Poco importa se l’analisi storica ci dice che quando queste aziende sono state messe sul mercato, hanno generato rovinose inefficienze (vi ricordate le ferrovie inglesi?) che poi il sistema pubblico è chiamato a ripianare (vi ricordate delle banche?).

La consegna finale è sventrare queste eccellenze per “liberare risorse”.

Dimenticando anche una piccola cosa.
L’acqua è un problema di utilità comune, di interesse pubblico come la cultura, la salute e via discorrendo.
Si vuole in definitiva rompere un sistema che sta creando  “utili” ai cittadini, sotto forma di ottima qualità del servizio e tariffe le più basse d’Europa, per risanare altri settori.
E’ chiaramente un paradosso da evitare: piuttosto si studi come i settori sofferenti possano essere considerati beni comuni ed avvalersi degli stessi strumenti economico-amministrativi che hanno portato settori, come le risorse idriche, ad essere un esempio virtuoso.

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Ditinifini: aiuta il Governo

Un ringraziamento a Ghostwriters On Demand


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Sinistra: il nuovo che avanza (dalla volta scorsa)

Avverto un po’ di stanchezza e non penso che la Sinistra potrà mai ripartire da cose come la manifestazione dell’8 luglio.
Siamo ancora fermi lì, nel punto esatto dove un paio di mesi fa i cittadini del nostro Paese ci hanno dato un malrovescio da palestra di boxe.
Non ho assolutamente nessun livore contro i personaggi che si alterneranno sul palco di piazza Navona.
E forse il problema è appunto questo: non mi emozionano, ma mi mettono addosso una sorta di sconfortante tristezza.
In epoca di globalizzazione sempre più selvaggia, di ricerca scientifica che non abita più dalle nostre parti, di bioetica d’assalto, di strumenti di comunicazione sempre più sofisticati e pervasivi, di superamento dei limiti della meccanica quantistica, di problematiche di accesso alla nuova cultura scientifica ed altre amenità del genere, noi siamo ancora là, con le stesse facce che inveiscono contro Berlusconi senza rendersi conto che tutti si aspettano davvero risposte all’altezza dei tempi, che arricchiscano la nostra vita, che ci facciano cogliere tutti insieme le opportunità che la modernità ci sta mettendo a disposizione e contrastandone gli aspetti significativamente nocivi.
Noi siamo ancora lì, e non a lavorare per prendere le “casematte” dell’innovazione scientifica, culturale, sociologica, quelle che spostano lo “Spirito del tempo” e che conquistano con nuovi contenuti, passo dopo passo, il tessuto della nostra società, gli offre riscatto dall’esclusione sociale, dalla conoscenza nascosta e negata, fa comprendere come quella brutta parola rinnegata da una certa parte di noi, che è il progresso, sia conquistabile pienamente attraverso altre modalità.
Progresso diverso dal simulacro che “il mostro mite” – dell’intelligente libro di Raffaele Simone – ci sta propinando.
Senza rendersi conto che queste manifestazioni rendono ancora più faticoso parlare di innovazione a sinistra.

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Alluvione Piemonte: soldi, governo ed elezioni





Le risorse per far fronte ai danni dell’alluvione che ha colpito a fine maggio il Piemonte continuano a non esserci.
Arrivando ora da un incontro promosso dalla Presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, svoltosi a Savigliano (CN) con le Province di Torino e di Cuneo e gli amministratori dei Comuni colpiti, le notizie rimangono le stesse: il Governo, oggi, avrebbe dovuto sbloccare almeno un parte dei fondi per le opere, ma ciò non è avvenuto.
Gli unici soldi impiegati sono arrivati dalla Protezione Civile di Bertolaso, dalla Regione e dalle Province, oltre agli impegni a cui hanno fatto fronte i Comuni.
Eppure lo stato di calamità è stato proclamato e diversi parlamentari, soprattutto del centrodestra, hanno giurato e spergiurato che i fondi arriveranno, che il Governo non si tirerà indietro ed altre cose del genere.
Ma i soldi non arrivano, la stagione estiva con l’indotto del turismo incalza e le opere per consolidare in maniera strutturale languono.
Eppure lo sforzo è stato massiccio: i voli in elicottero hanno mostrato agli stessi parlamentari e sottosegretari la riapertura di quasi tutte le strade e l’inizio dei lavori dimessa in sicurezza, tanto che più d’uno ha ripreso il fatto che forse si è stati troppo bravi, che l’avanzamento degli stessi lavori rallenterebbe la voglia del Governo di intervento.
l problema è che si sta verificando un silenzio preoccupante proprio da chi è deputato alla ricerca ed assegnazione di queste risorse, cioè il Ministero dell’Economia (Tremonti per dirla chiara).
Uscendo, la battuta che più si sentiva nei capannelli di amministratori, sia a destra che a sinistra, era che in fondo l’alluvione potrebbe essere un regalo insperato alle amministrazioni uscenti di cui la maggior parte di centrosinistra, che, attraverso la gestione di queste risorse, potrebbero essere favorite nella prossima tornata elettorale.
Così va’ il mondo…

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Le tre Italie (passando per Jacques Attali)





Mi sono permesso di tradurre un articolo di Jacques Attali che ritengo interessante: soprattutto se si sotituisce la parola “Francia” con “Italia”.

Nell’osservare il modo in cui la Francia reagisce ai colpi della globalizzazione ed agli innumerevoli progetti di riforme provenienti dallo Stato o dalle imprese, non si può che constatare che si sta scavando un pericoloso fossato fra tre “Francie”. Quella che avanza veloce. Quella che vuole conservare chi la protegge. Quelli che sono dimenticati nella precarietà.
La prima Francia promette bene. Essa è composta da persone che, in un modo o nell’altro, hanno avuto la possibilità di avere accesso ai saperi, alle reti di relazione ed ai mezzi per agire. Questa Francia accetta le riforme, le auspica, le precede essa stessa attraverso la propria azione. E, se queste riforme non sono rapide, va a cercare la propria fortuna altrove.
La seconda Francia è solida. Essa raggruppa coloro i quali, in un modo o nell’altro, dispongono di una rendita: per eredità o per statuto. Ciascuno al proprio posto, i membri di questa Francia operano per conservare la loro situazione. All’interno di questo gruppo ci sono persone di modesta condizione, che non hanno altro da proteggere che un impiego. Altre, molto più potenti, che dispongono di immense rendite di posizione e di oscene rendite di informazione. Queste fanno di tutto per non essere toccati dalle riforme, perché queste possono peggiorare la loro situazione.
La terza Francia è povera. Essa è composta da milioni di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, che non hanno impiego, casa, formazione, credito, padrini, relazioni. Essi sono sempre più numerosi, per la maggior parte donne, giovani e persone anziane.
La prima Francia trova i suoi difensori tanto all’interno del governo che in una parte della sinistra. La seconda soprattutto nella sinistra e nell’estrema sinistra, che sola sembra, talvolta, interessarsi alla terza Francia.
Tuttavia, la Francia intera non può farcela se non dà i mezzi alla terza di raggiungere la prima, anche al prezzo di rimettere in gioco i privilegi della seconda. La prima Francia troverà suo interesse comprendere che la terza è una formidabile riserva di creatività: basta vedere cosa succede all’interno delle periferie per prendere coscienza dell’attuale spreco di potenziale dei giovani di questi quartieri. E la seconda, in tutti i modi, non potrà conservare una parte dei propri privilegi se la Francia non darà a tutti i mezzi per produrre di più. La terza Francia è dunque la chiave dell’avvenire delle altre due.
Ed è del resto tanto più urgente occuparsi di queste “Francie” a cui ciascuno di noi appartiene, o potrà appartenere, un giorno, ad ognuna di esse.

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Fondi pubblici e ricerca scientifica

Ma è davvero la quantità di risorse pubbliche che fa la differenza nella ricerca?
A leggere i diversi rapporti la partecipazione del settore pubblico è una specie di ottovolante in cui riportando in percentuale uguali gli impegni di spesa, i risultati rimangono differenti.
Probabilmente le differenze non possono ricondursi semplicemente alla quantità di soldi impiegati dal settore pubblico e da quello privato, ma ad altre variabili.
Ve ne sono almeno due che si ritrovano costantemente nelle situazioni di maggior successo: la cosiddetta “peer rewiew” e il finanziamento pubblico selettivo, che si riversa cioè solamente nei progetti di ricerca considerati di maggior merito.
Partendo dal secondo punto si possono considerare due modelli che vanno per la maggiore: ricerca pubblica finanziata attraverso fondi attribuiti a tutte le Università (con il privato che finanzia solo le ricerche valutate di qualità superiore) o viceversa fondi pubblici solo ai più meritevoli (con il privato che sostanzialmente finanzia il rimanente).
E qui entra la peer rewiew: tra i diversi progetti si scelgono quelli ritenuti più validi attraverso una commissione di revisione indipendente con ricercatori esperti della stessa area di ricerca, appunto “peer” cioè alla pari.
In Italia questo meccanismo non è sicuramente attivo, anche se qualche timido interessamento cerca di farsi strada.
Toni Scarpa, direttore del Center for scientific rewiew del Nih (Istituto nazionale americano della salute), e consulente di diversi governi, descrive così almeno due realtà sicuramente all’avanguardia.
Negli Usa si applica già da molti anni la peer rewiew, con i professori universitari che devono fare attivamente domanda di finanziamento presentando un progetto.
Se viene giudicato idoneo, hanno un contratto di sovvenzionamento per quattro anni, che previa revisione dei risultati, può essere prolungato per altri quattro anni.
Dopodiché i finanziamenti decadono e si riparte daccapo. In caso contrario ricercheranno finanziamenti privati.
Altra esperienza è il modello australiano dove il peer rewiew si applica da circa un triennio con una transizione “morbida”.
Il Governo continua infatti a spendere 3 miliardi all’anno distribuendoli tra i sette principali atenei del Paese,ma tutele quote aggiuntive vengono elargite con il nuovo criterio.
Il risultato è che la parte di ricerca finanziata con il peer rewiew è passata dall’8% al 20% del totale senza incontrare opposizioni da parte dei professori.
Il metodo sicuramente non può considerarsi perfetto, ma la ricorrenza fissa di queste due variabili nelle situazioni di maggior sviluppo, deve sicuramente far pensare.
Oltre al fatto di provarci anche noi visto che mantenere gli stessi meccanismi attuali nel nostro Paese non porta da nessuna parte.

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Ecomafia 2008.

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Nel consigliare la lettura del Rapporto Ecomafia 2008 di Legambiente (edizioni Ambiente), ritengo molto importanti alcune proposte avanzate nella prefazione da parte di Piero Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia.
Partendo dall’attuale fenomenologia di questo tipo di criminalità sempre più con caratteristiche di impresa e profitto, si ritiene utile l’introduzione di una fattispecie di associazione a delinquere modulata sulla base di una specifica finalità ambientale da correlare al Dlgs 152 del 2006.
Con l’avvertenza di tipizzare gli specifici ruoli dei compartecipi del gruppo criminale ed anche prevedendo un’aggravante in caso di partecipazione associativa del pubblico ufficiale al quale siano demandati compiti in materia ambientale.
Inoltre, i collegamenti  tra la criminalità ambientale e consorterie di tipo mafioso, giustificherebbero l’introduzione di un’aggravante a effetto speciale.
Fondamentale risulterebbe anche l’attribuzione di competenze alla Direzione Distrettuale Antimafia con il coordinamento alla Procura Nazionale Antimafia, come già accade per i reati di traffico di stupefacenti, contrabbando e tratta di esseri umani.
Altra importante suggestione che sicuramente potrebbe accendere molte discussioni, ma che personalmente condivido, è quella a livello normativo dell’introduzione di un sistema di repressione cosiddetto “premiale”, che favorisca la “deflazione” del procedimento penale in relazione agli interventi di ripristino ambientale da parte dell’indagato.
Grasso sottolinea come spesso la politica dell’inquirente è proprio quella di promuovere interventi di bonifica mediante il ripristino e la pulitura delle aree dei siti compromessi da parte dei soggetti coinvolti o ad opera delle amministrazioni sollecitate in tal senso.
“Non può non sottolinearsi” –  scrive il Procuratore – l’inerzia, spesso colpevole, da parte di molte amministrazioni pubbliche di fronte a situazioni di particolare allarme ambientale.
Ciò sorprende perché la normativa consente l’intervento diretto da parte della pubblica amministrazione competente, in caso di omissione del proprietario dell’area interessata da fenomeni di inquinamento, per la bonifica e la remissione in ripristino, con la successiva azione di risarcimento delle spese sostenute in danno al proprietario, anche in forma specifica sull’immobile: il problema fondamentale deve rimanere quello di bonificare l’ambiente.

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TAV Torino-Lione: il Piano strategico per la Val Susa

Oggi dovrebbe riunirsi il Comitato di pilotaggio con l’Osservatorio per la TAV Torino-Lione.
Dico dovrebbe perchè, per ironia della sorte, mi trovo a Lyon per problemi medici e non posso verificare di persona eventuali spostamenti.
Ritengo comunque utile mettere a disposizione il
link della Provincia di Torino, dove è possibile reperire il materiale del Piano Strategico per la Val Susa e diverse altre cose riguardanti gli stud della Provincia sulla TAV.
Buona lettura.

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La carta della povertà/2





Esiste anche un aspetto squisitamente economico della questione della “carta della povertà”, la cui entrata in funzione è stata recentemente annunciata dall’attuale governo di centro-destra.
Facendo finta di essere dei cultori delle scienze economiche, è lecito chiedersi se veramente le risorse che si intende impegnare in questo progetto siano state “allocate”, cioè destinate, nel miglior modo possibile e se quindi frutteranno al meglio, rispetto ad altre scelte possibili.
E per prima cosa: a chi saranno destinate queste risorse? Non a tutti.
Infatti si ripercorre la strada già seguita dal precedente Governo, che soffriva di una maggioranza incerta ed era più affamata di consenso.
Sembra infatti intenzione dell’attuale Governo concentrare l’aiutino a favore dei redditi bassi dei pensionati.
Con ciò si tralasciano gli altri svantaggiati non pensionati come le famiglie con più figli in età ancora minorile, che non solo sono cittadini come gli altri, ma potrebbero in sostanza alimentare anche la catena degli acquisti e una minima ripresa dei consumi, come ci insegna il buon vecchio Keynes.
E se, in verità, si voleva incrementare semplicemente il reddito dei pensionati, non si capisce perché non si è agito incrementando direttamente le pensioni.
A mal pensare, è probabile che ciò non fosse possibile semplicemente perché il meccanismo, come dicevamo ieri, è semplicemente quello della questua fatta da petrolieri e banchieri, ritirabile in ogni momento in caso di bisogno di rientro di queste due categorie.
Come strumento economico, la “ricaricard della povertà” è veramente idoneo?
Lo strumento, a dire il vero, non è nuovo: dove è stato inventato (Stati Uniti d’America) si chiama “voucher” – come quello del parcheggio -, ma ha altre finalità.
Viene infatti distribuito a particolari soggetti con bisogni assistenziali e, insieme, comportamenti definiti “devianti” (alcool, droga ecc.) con l’idea che le risorse a loro date (soldi o benefici vari) siano veramente utilizzate per acquistare generi alimentari o altri beni primari e non, invece, per alcool, droga, ecc.
E qui si intravede un problema, diciamo così, di Stato paternalistico, molto noto in altri ambiti (vedi consenso alle cure) e che potrebbe dare un duro colpo al principio di pari dignità e diritti delle persone. Argomento molto complesso e non affrontabile ora.
Esiste, per ciò che riguarda dell’idoneità dello strumento, anche un problema non di poco conto, che è quello del meccanismo realizzativi, sicuramente più impegnativo di altri e probabile generatore di diseconomie.
L’attivazione della “carta” richiederà infatti un complesso di
diverse azioni che vanno dalla distribuzione da parte degli uffici postali, alla stipula di convenzioni con i vari negozi e/o centri commerciali, ed alla inevitabile gestione burocratica.
Un problema vero sarà invece quello a cui si troveranno i nostri governanti nel momento in cui si dovrà, per forza di cose, discutere tra qualche tempo di riforme di sistema – leggi aiuto economico agli anziani non autosufficienti, alle famiglie povere con figli, ticket sanitari ecc.
Verrà sicuramente affermato che le risorse sono insufficienti.
Le carenze in questi settori sono enormi e sarà curioso vedere come sia possibile armonizzare i vincoli di bilancio, a quanto si sa ancora stretti, con le risorse necessarie.
Dal momento che la manovra della “carta della povertà” si stima impegni risorse intorno ai 500 milioni di euro, non ci sembra fantasioso dire, come segnalato dal giornale della Confindustria a firma di Cristiano Gori, che “con le stesse risorse si poteva avviare una riforma di sistema all’interno di un progetto definito e da realizzare progressivamente nella legislatura. Invece si tolgono 500 milioni utilizzabili per un tale percorso. Quando nei prossimi mesi si discuterà di riforme del welfare, questi milioni saranno fortemente rimpianti. (…) in sintesi si tratta di una misura di inefficacia certa e che toglie risorse alle riforme necessarie, ma da cui l’esecutivo si può attendere un ritorno immediato di consenso. Ci si augura che Tremonti presenti un’altra idea per utilizzare i soldi disponibili in modo più alle fasce deboli”.
Il mondo ormai va così: dobbiamo fare l’opposizione insieme a Confindustria!

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