Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Thyssen-Krupp: la Provincia di Torino rompe gli indugi

Come Giunta provinciale di Torino abbiamo deciso, su proposta del Presidente Saitta, di procedere alla costituzione di parte di civile nel processo vs. Thyssen-Krupp. La decisione potrebbe sembrare dovuta ed automatica, ma così non è. Soprattutto perché tra i diversi Enti Locali esistono diverse valutazioni sul come procedere: quantificare il danno e finire con un accordo extragiudiziale con l’azienda oppure procedere permettendo di celebrare per intero il processo. Per intenderci la prima opzione sembrerebbe quella maggiormente congeniale al Comune di Torino, mentre la seconda è stata quella scelta dalla Provincia di Torino. Entrambe le posizioni sono certamente legittime ed hanno pro e contro di indubbia efficacia. Ma personalmente mi sono adoperato affinché la Provincia di Torino andasse avanti nel procedimento senza tentennare sull’accordo pregiudiziale con la Thyssen-Krupp e lasciando al giudice l’eventuale quantificazione del danno. Perché non è il pagamento del danno il problema. Il nodo è comunicare a chiare lettere a tutta la società – aziende, lavoratori, politica, sindacati – che un Ente che governa un’area vasta come la Provincia di Torino, non tollera cedimenti sulla sicurezza del lavoro e sul rispetto delle norme. Questo è quello che i nostri elettori ci hanno chiesto; questa è la politica obbligata per una Giunta ed un Consiglio con maggioranza di centro-sinistra. Pur rispettando infatti le norme tecniche che lo Stato si è dato per regolare i rapporti tra le vittime ed il datore di lavoro inadempiente, vale la necessarietà di una scelta politica chiara e senza ombre. La salute del lavoro rimane un fatto collettivo, che accresce la sua forza se tutta la società interviene non caricando le singole famiglie, duramente colpite, di compiti politici che non possono sopportare. Non è sbagliato, ben inteso, che esista la possibilità di sostenere per via legale le famiglie colpite, ma altra cosa è il bene salute collettivo, bene comune che non può essere monetizzato, perché la nostra storia di salute non è legata a vicende singole, ma è appunto una storia collettiva. Un’ultima annotazione tra le tante che si potrebbero fare. Personalmente trovo debole la ragione di ottenere a tutti i costi un risarcimento da impiegare successivamente per creare fondi a favore della sanità dei lavoratori, aprire padiglioni ospedalieri dedicati, istituire con quei soldi corsi di formazione antinfortunistica o altre cose simili. Queste operazioni devono essere compiute come scelte prioritarie al di là di risorse che derivano da fatti di inaudita gravità. Devono essere scelte politiche con cui si destinano risorse proprie della pubblica amministrazione a tutti i livelli, compiendo chiaramente una scelta nella distribuzione delle risorse pubbliche in questo senso in alternativa ad altre di minore urgenza e validità sociale. È una scelta culturale e politica che non può essere messa in mora dalle scarsità di risorse o attendere gravi incidenti per essere agita.



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Torino: il risiko di Chiamparino tra Rifondazione e l’Udc.

Ha il sapore di vecchia “politique politicienne” la discussione che si è aperta sulle maggioranze di Comune e Provincia di Torino. Il dato vero, ancora una volta, è la proposizione di una agenda politica subita dalla Sinistra, senza essere in grado invece di portare tutti a discutere di fatti reali e di dettare gli argomenti prioritari da affrontare. Il grattacielo è una diversione  artistica ben riuscita che in realtà permette di trattare su singoli punti nemmeno tanto programmatici, creando brecce e costringendo a prendere posizione volta per volta senza “un’architettura” generale. In soldoni significa cadere nella trappola, come ha giustamente osservato l’Assessore Maria Grazia Sestero. Altra cosa sarebbe aprire una vera discussione sulle politiche da perseguire nella seconda metà di mandato. Si vogliono esaminare dieci, quindici, cento punti? Lo si faccia a viso aperto e subito. e se Rifondazione Comunista si accorderà, sono proprio curioso di vedere se l’UDC vorrà siglare un accordo su cose da fare insieme a Rifondazione! Si vada sui contenuti per capire se la discussione verte su cose concrete o su semplici assetti di ceto politico. La discriminante saranno appunto le cose da fare e chi non ci starà dovrà dire perchè. L’UDC vuole introdurre le cure odontoiatriche? Bene, non penso che questa misura sia discriminante per maggioranze con asse al centro o a sinistra. La forza attualmente al governo nel Comune di Torino è Rifondazione e la discussione parte da qui. Sembra di vivere, infatti, la vecchia barzelletta del terrorista che si presenta, armato di tutto punto davanti al Paradiso. “Non si può entrare armati qui dentro” – dice S. Pietro. “Il problema – risponde il terrorista – non è che non possiamo entrare noi, ma che dovete uscire voi ! …

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Imprese in Piemonte: crescita limitata ed alta tecnologia a passo ridotto

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Come misurare la crisi in atto sul nostro territorio? E quali strumenti possono essere decisivi per superarla? Non è una novità che elementi quali l’innovazione industriale e l’Hi-tech (alta tecnologia) rappresentano fattori che possono servire “alla bisogna”. Ed allora risulta utile prendere in mano il Rapporto del Comitato Torino Finanza presentato il 9 settembre scorso sulle start up che può chiarirci la necessità di affrontare un argomento che può rappresentare una vera priorità. Il rapporto in sintesi ci spiega che le piccole e medie imprese (Pmi) ad alta tecnologia nate tra il 2000 ed il 2005 in Piemonte crescono poco e difficilmente superano la soglia, non solo psicologica, delmilione di fatturato. Facendo alcuni confronti con lo storico precedente, il decennio in corso rischierebbe di lasciare rispetto al passato un “buco” stimabile intorno all’1,3% del Prodotto interno lordo (Pil). Anche se non sembrerebbe esistere un problema di accesso ai fondi per partire, in quanto il sistema degli incentivi funzionerebbe sia per la parte pubblica che per quella legata al privato bancario. Un piccolo viaggio attraverso i dati ( ricavati da un pregevole articolo del Sole24ore – NordOvest del 10.9) può forse spiegare meglio di tanti esempi.
Se si estraggono i dai sul Pil della Regione Piemonte, si può vedere che una parte del Pil prodotto – 16 miliardi su 109 – è prodotta da 14.600 società con fatturato superiore ai 100.000 €. Un dato che salta subito all’occhio è che ad esempio circa 3 iliardi sono prodotti da aziende nate prima del 1900 (tipo Fiat per intenderci), più di 2 miliardi derivano da quelle nate negli anni ’70 e più di un miliardo e mezzo da quelle costituite negli anni ’90: la media in sostanza dice che ogni decennio del XX secolo ha generato aziende che concorrono al Pil per circa 1 miliardo e mezzo. Il dato di “produzione” delle aziende nate tra il 2000 ed il 2005 è certamente basso: appena 110 milioni. Facendo un piccolo calcolo il “ritardo” di generazione di ricchezza rispetto al secolo scorso è di circa 640 milioni. Da qui la considerazione degli economisti che hanno redatto il rapporto: “ Tutto lascia immaginare che il decennio in corso si chiuderà con un’eredità molto modesta” con la verosimile perdita, a fine del decennio, di circa l’1,3% del prodotto interno lordo del Piemonte.
Del “che fare?” si occupa la seconda parte del rapporto. Il metodo di analisi è, in apparenza, semplice: si prendono le 1020 imprese e si confrontano 2 gruppi confrontando le prime 150 con le altre. Si scopre, allora che il 12% delle imprese migliori è partita con il solo aiuto dei capitali raccolti  in modo proprio (parenti ed amici) contro il 34% delle altre. Significativo risulta anche il fatto della composizione del management: il 32% delle imprese di successo è partita con più di 4 persone al comando contro l’11% delle altre; solo l’8% è inoltre stata fondata da un imprenditore singolo contro il 23% delle ”inseguitrici”. Le aziende di testa non sono state inoltre timide nel richiedere finanziamenti pubblici avendolo fatto almeno una volta nel 72% dei casi, e nel 41% ha accolto nel proprio capitale sociale manager finanziatori contro il 15% delle imprese meno brillanti. Gli ultimi dati raccontano che nei primi 18 mesi di vita, il 75% delle imprese di successo hanno attratto finanziamenti dalle banche contro il 58% delle altre.
Ognuno potrà trarne le conclusioni che meglio crede, ma i prossimi programmi elettorali per i nostri territori non potranno eludere questi dati e non trattarli insieme ai dati sulla disoccupazione e sulla “prova dei mezzi” a cui sono sottoposte le famiglie. Una Sinistra non può che considerarli facce della stessa medaglia e pensare a politiche locali conseguenti.

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Francia. La stampa ritorna all’antico: boom delle vendite con gli strilloni





Una curiosa annotazione di costume fornita dal web de “Le Monde”, ci informa del fatto che i maggiori quotidiani francesi sperano di aumentare le loro vendite attraverso la vendita per strada mediante “strilloni”. Più precisamente si è registrato un inaspettato successo attraverso questo tipo di distribuzione nelle maggiori stazioni della metro parigina e nelle stazioni. Il progetto è stato promosso dal Sindacato della Stampa quotidiana nazionale francese (SPQN) attraverso una ventina di strilloni che propongono 12 quotidiani nazionali, anche per reagire al successo crescente della stampa gratuita che viene distribuita in grande misura proprio attraverso questa modalità. I Primi dati sembrano soddisfacenti, con una media di vendita per operatore variabile tra 100 e 300 copie giornaliere. Gli editori spiegano il successo facendo presente che “ i giornali sono acquistati se i lettori li trovano facilmente sul loro cammino” oltre al fatto che sono considerati come un naturale accompagnamento di ogni viaggio.

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Cesare Pavese ed il sangue dei vinti





Ricorre il centenario della nascita di Cesare Pavese. Forse bisognerebbe rileggerlo, o leggerlo, Pavese, proprio ora che sembra non sia rimasto in piedi molto di ciò che credevamo ci fosse da fare. A sinistra. Ed invece di riempire il nostro Pantheon di supposti eroi poco eroi, si potrebbe iniziare a rimetterlo in piedi con gente come Cesare Pavese. Comunque, tra le tante, e sono davvero tante, ragioni per leggere lo scrittore e poeta piemontese, vorrei segnalarne una un po’ “laterale” che forse è poco battuta. Perché i suoi scritti rappresentano davvero una miniera di temi, suggestioni di cui la parte cosiddetta civile è più attuale di quanto si pensi. Proprio oggi, quando sentiamo “revisionare” la nostra storia patria in occasione di un nuovo 8 settembre. Basterebbe leggere “La casa in collina” o “La luna e i falò” per capire di più come è girato il mondo una sessantina d’anni orsono e per trovare qualche risposta valida, garbata e misurata. Per capire che certe operazioni, come quelle ad esempio alla Giampaolo Pansa, non sono davvero l’unico e vero orizzonte che abbiamo per capire cosa sia davvero avvenuto e perché. Il sangue dei vinti l’aveva già raccontato Cesare Pavese. Con parole però vere. 

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Un invito alla discussione per il Sindaco Chiamparino: la forma dell’acqua non si adatta alla città metropolitana.





Ho appena terminato di ascoltare, su Videogruppo, gli interventi di Sergio Chiamparino e Letizia Moratti alla Festa Democratica di Milano del 4.9.08. Discussione interessante che ha avuto chiaramente uno dei suoi picchi quando si è trattato il tema dell’istituzione delle città metropolitane. Premetto che il Sindaco di Torino è, a mio modesto avviso, un buon Sindaco. Personalmente l’ho anche votato e lo rivoterei ancora. Anche se non sempre sono d’accordo con ciò che pensa. Ma, per parlarci chiaro, credo che sia uno dei pochi leader presenti sul nostro territorio e possieda un’esperienza amministrativa a cui pochi sul nostro territorio possono affiancarsi.
Due passaggi, però, mi sono sembrati francamente fuori misura e poco generosi nei confronti di altri amministratori che con la stessa passione governano i problemi trovando soluzioni, a volte certamente sbagliando.
I due punti poco eleganti riguardano in sostanza la questione dell’acqua, argomento su cui personalmente mi confronto da diversi anni e dove posso accampare una, pur minima, esperienza amministrativa.
Le affermazioni, quasi testualmente, recitano così: 1) Enti intermedi come le autorità d’ambito (es. quella dell’acqua n.d.r) vanno aboliti perché in essi “la mediazione istituzionale prevale sugli interessi dei cittadini”, 2) nella gestione dell’acqua è necessario restituire risorse alla grande città che potrebbe valorizzare meglio.
Credo che durante un dibattito politico, ognuno di noi è trascinato, nella foga del discorso, a recitare affermazioni che necessiterebbero di maggiore approfondimento e che vengono lanciate in forma di sintesi un po’ troppo stringata. Spero sia questo il caso anche per il Sindaco che, malgrado l’ampio consenso che gli abbiamo accordato, è in fondo un essere umano come noi. Non credo infatti che l’attuale gestione dell’acqua nella nostra Provincia si sia distinta per una mediazione tra politici istituzionali che è prevalsa sugli interessi dei cittadini. Senza contare che nessuna decisione è stata presa in assenza del Comune di Torino che rappresenta il secondo “azionista” della Autorità d’ambito con il 15% di peso del totale, secondo solo alla Provincia di Torino (25%) e ben al di sopra di tutti gli altri Comuni che oscillano per peso di voto ognuno con quote di circa l’1%. Per chi poi volesse prendersi lo sfizio di vedere i risultati delle votazioni nella Conferenza d’ambito (vero e proprio parlamentino per le decisioni sull’acqua), può essere utile rimarcare che le decisioni, almeno da circa 4 anni a questa parte, sono praticamente prese tutte all’unanimità. Ma ciò che preme sottolineare è l’estrema correttezza da tutti riconosciuta delle politiche intraprese, che hanno portato ad una delle tariffe più basse in Italia e Europa (dove è compresa anche la depurazione che nel nostro territorio viene fatta correttamente a differenza della Milano della sua collega Moratti che scarica le acque inquinate direttamente nei fiumi), differenziata per i diversi bisogni sociali e con un saldo positivo posto tutto a disposizione per gli investimenti. Oltre a ciò con una qualità del bene riconosciuta come ottima. Mi è quantomeno difficile capire dove siano stati prevaricati gli interessi dei cittadini a favore delle mediazioni politiche visti i risultati. Inoltre la scelta di superare le più di 300 gestioni autonome precedenti, ha permesso, mediante una corretta economia di scala, di rafforzare il gestore unico SMAT facendolo rafforzare sia sul piano tecnologico che su quello della solidità aziendale, senza lasciare morti e feriti riguardo alle aziende più piccole precedentemente presenti, che hanno potuto contribuire mediante la loro conoscenza del territorio a superare le diverse problematiche presenti. Un’azienda del nostro territorio, che si è e deve ancora rafforzarsi soprattutto crescendo sul vasto territorio piemontese, perché il suo interesse precipuo, le sue radici sono qui e deve essere protetta da fusioni o inglobamenti che ne porterebbero la testa pensante e gli interessi economici fuori, con il rischio di perdita per la comunità.
È inoltre necessario che la natura stessa della gestione dell’acqua, obbliga a prendere decisioni non parcellizzate e troppo localistiche: l’acqua va pensata come sistema idrico integrato, ma soprattutto come bacino idrico ottimale. Noi abbiamo in questo senso una fortuna geografica:il bacino idrico ottimale corrisponde sostanzialmente ai confini della nostra Provincia (avendo infatti solo pochi comuni della Provincia al di fuori del sistema e che sono alimentati da altri bacini geografici). In sostanza abbiamo un corpo unico per cui sarebbe inutile e dannoso lasciare l’intestino (la città di Torino) senza il fegato, la spina vertebrale ecc. L’abbiamo già provato in passato ed il sistema funzionava male. Sul fatto poi della ridistribuzione delle risorse il problema è certamente più complesso, ma esiste un punto sempre richiamato dalle leggi successive alla più importante, la Legge Galli, che in sostanza determina che le risorse, i soldi ricavati dall’acqua debbano ritornare per opere riguardanti l’acqua stessa, perché è un bene comune, è scarsa, il prezzo per il suo  accesso non può essere determinato dalle fluttuazioni delle quotazioni in borsa. L’acqua è un bene essenziale che  possiede caratteristiche proprie e deve essere protetto, garantendo fonti sicure di sussistenza economica che sono, nel nostro caso, ricavate tutte dall’acqua stessa. Quindi più che “utilizzarle meglio“, non vorrei che si pensasse semplicemente di “utilizzarle diversamente“.
Si potrebbe ancora disquisire a lungo, ma spero di aver dato qualche primo elemento di riflessione soprattutto economica, oltre che politica e tecnica, al Sindaco per comprendere perché non sono d’accordo con lui su questi punti. L’auspicio sarebbe quindi quello di aprire una discussione serena su questi temi senza infingimenti idelogici. Credo possa essere  utile per lui acquisire tutti gli elementi di conoscenza, ed anche per noi conoscere più approfonditamente le sue opinioni ed accedere ai suggerimenti che la sua esperienza amministrativa potrà suggerirci per meglio operare.

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Città metropolitane: proposta Saitta. Il Governo esclude Bari e Venezia

 Grandi manovre sul tema delle città metropolitane.
Oggi il Presidente della Provincia di Torino,
Antonio Saitta, ha illustrato in una conferenza stampa il documento “Il governo d’area vasta nella Provincia di Torino“ (click per scaricare il documento), contributo destinato a dimostrare la specificità della Provincia di Torino sia dal punto di vista territoriale che per quantità e qualità delle funzioni esercitate. Il documento (quanto prima verrà messo in rete) ripercorre le modalità politiche e gestionali esercitate dalla Provincia (trasporti, acqua, rifiuti ecc.)  dimostrando come la sparizione delle Province ed il passaggio alla città metropolitana non porterebbe che ad un aumento dei costi di circa 90 milioni di € all’anno con ricadute negative anche a livello di facilitazione amministrativa. Il documento presenta anche una “ concreta proposta per migliorare ulteriormente le politiche di area vasta a Torino e nei comuni circostanti, con l’obbiettivo di rendere più organica e cogente la concertazione sulla pianificazione territoriale e sulla programmazione delle opere e degli investimenti di interesse metropolitano” il tutto senza aggiunta di costi mediante la revisione della semplice legislazione regionale.

Dal  Sole24ore invece apprendiamo che il nuovo codice delle autonomie locali, la “bozza Calderoli”, fa scendere a 7 le aree indicate per la costituzione delle città metropolitane rispetto alle 9 previste dal testo unico degli Enti Locali del 2000. Verrebbero infatti confermate Torino, Genova, Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli e “perse” Bari e Venezia, con immancabile protesta delle amministrazioni escluse.

Interessante è anche il rilievo della situazione milanese con alcune ricadute anche per Torino. Il Presidente della Provincia di Milano Penati (PD) ed il Sindaco di Milano Moratti (PdL) sono infatti concordi sull’introduzione della città metropolitana e pronti a sfidarsi per il governo dell’area. A raffreddare la battaglia sembra pensarci il Ministro Fitto che prevede il completamento del nuovo testo di riordino non prima della prossima primavera. Fatto non trascurabile perché le aree metropolitane dovrebbero subentrare alle Province man mano che queste andranno a naturale scadenza. A Milano quindi, come a Torino, nel 2014. La discussione quindi accesa dal Sindaco di Torino Sergio Chiamparino, sembra trovare un traguardo naturale non a breve scadenza e comunque in tempi successivi al rinnovo della Provincia di Torino ed alle stesse elezioni per il Comune di Torino. 

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La forma dell’acqua: buone politiche di Sinistra





C’è un punto in tutto il dibattito a sinistra, scarso a dire il vero, che trovo utile riprendere. Alfiero Grandi, in un editoriale interessante, rimarca una questione che ormai è diventata un ritornello tanto viene ripetuta e poco praticata: “(…) resta il fatto che la sinistra complessivamente non si occupa, o almeno non a sufficienza e in modo credibile, dei problemi veri che attanagliano le persone reali. Il problema di fondo della sinistra (tutta) a mio avviso è che deve dare risposte qui ed ora ai problemi che mettono in ansia le persone in carne ed ossa. Partire dai problemi e non dalla sopravvivenza dei gruppi dirigenti mi sembra l’ottica con cui affrontare la situazione”. Come unire, quindi, questa necessità con la discussione politica apertasi, ad esempio, sulla prossima tornata elettorale amministrativa locale?
L’ansia provata dalle persone “in carne ed ossa” ha sicuramente diversi motivi, ma credo sia immediatamente riconoscibile la priorità economica: la questione della quarta (ormai terza) settimana è rimasta in piedi intatta rispetto alle elezioni dell’aprile scorso. Ma come si può rispondere a livello di amministrazioni locali al problema? Non è un problema che può trovare risoluzione solamente a livello di politica nazionale?
Certamente no. Esistono anche una cultura di governo locale, delle azioni strutturali concrete che possono alleviare in maniera non episodica il carico sociale economico che le famiglie devono sostenere. Strutturale diciamo, non attraverso strumenti episodici come il taglio dell’ICI che sta mettendo in ginocchio i Comuni, che saranno costretti a riprendersi in altro modo le quote  che il Governo Berlusconi non sta restituendo se non vorranno comprimere i servizi.
Porto un esempio concreto: la politica che una Provincia con i suoi Comuni può svolgere nella gestione di un bene essenziale come l’acqua e del suo ciclo integrato (cioè prenderla, distribuirla ed infine depurarla).
L’acqua che arriva nelle nostre case e che viene successivamente scaricata e depurata, almeno per quelle della Provincia di Torino, ha dei costi che certamente possono definirsi come “sociali”. In primo luogo perché bassi, sia rispetto ai livelli europei, sia rispetto a quelli della maggior parte delle realtà italiane. Eppure è riconosciuta di buona qualità ed il suo utilizzo e la sua successiva depurazione non arriva a costare ad una famiglia media nemmeno 20 €. E non è cosa semplice andare a prenderla, farla scorrere in migliaia di km di tubi, controllarla, riprenderla e pulirla prima di rilasciarla. Oltre al fatto che vengono applicate tariffe diversificate a favore di quelle famiglie che soffrono di svantaggi economici. Non solo. Attraverso il nostro sistema dell’acqua, vengono riconosciute a zone svantaggiate (come ad esempio quelle di montagna che spesso contribuiscono più di altre a rendere disponibile il bene) dei ritorni finanziari ai Comuni per opere connesse che possono riguardare anche altri settori. Una piccolissima quota è anche utilizzabile per progetti di respiro e cooperazione internazionale. E molto altro ancora che non cito ora ma che ho già approfondito in altra sede (e che sono disponibile a far conoscere a quanti interessati). Ma come si ottiene “politicamente” questo risultato? Come può la politica fare tutto ciò? È una questione di scelte che devono essere fatte a monte, proposte che possono essere accettate o meno al momento del voto. Perché innanzitutto si deve considerare questo bene come “pubblico”, cioè deve essere messo al riparo, perché bene essenziale, dalle fluttuazioni del mercato libero. Come si può fare?  Facendolo ad esempio gestire ad una azienda pubblica e scindendo il suo governo mediante uno strumento decisionale democratico: una assemblea di sindaci, presidenti di comunità montane e di Provincia che decidono insieme le linee da seguire e da far sviluppare, appunto, ad un gestore che è di loro proprietà. Questo meccanismo, che diversi vorrebbero abolire si chiama Autorità d’ambito dell’acqua. A meno che si voglia scegliere di pagare, come molti fanno ora, circa 500 volte di più uno stesso litro di acqua. Magari anche con minori controlli. E questi sindaci, presidenti di Provincia e comunità montane considerano naturale non farsi corrispondere alcuno stipendio per questa funzione, perché è naturale che è un ruolo che viene già pagato dai cittadini. Non solo: per dare un supporto tecnico al governo di un sistema che serve circa 2 milioni e mezzo di cittadini, basta una struttura tecnica di circa 10 persone, che allevia un lavoro prima sulle spalle dei tecnici comunali. È chiaro che il sistema deve essere di dimensioni adeguate per arrivare alle cosiddette economie di scala e praticare politiche di area vasta per contemperare le diverse esigenze dei diversi Comuni di dimensioni diverse (e chi può farlo se non una delle erroneamente deprecate Province che si vorrebbero abolire?). Ripeto che tutto questo non può che nascere da una decisione politica a monte che decide di gestire in un certo modo i beni pubblici, che stia attenta a fare gli interessi dei cittadini abolendo gli sprechi, che conservi un sistema democratico ed ampio di scelta in alternativa ai chiusi consigli di amministrazione dove i cittadini non possono rappresentare i propri interessi. Queste sono le politiche che la Sinistra sta già attuando dove governa, come ad esempio in Provincia di Torino. Questo è il frutto di non sottrarsi alla prova del governo locale, come certa sinistra è sempre più tentata di fare. E pur con le dovute e significative differenze, questi modelli di gestione possono essere riproposti anche in altri settori influenzati dalle scelte politiche amministrative: l’energia, la qualità dell’aria, la difesa del suolo, la scuola e via discorrendo. Questo credo sia un esempio di come difendere il cittadino in “carne ed ossa” tentando di dare sollievo alle sue giuste ansie e problemi, un banco di prova politico concreto ed efficace. Senza cadere nell’errore che, come Sinistra, non abbia più un senso partecipare ai governi locali e lasciando ad altri la possibilità di scorrerie gravi e forse irreparabili.

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Sinistra: il grande sonno della politica a Torino

Quello che dispiace di questa ripresa settembrina della politica torinese è il completo “mutismo” della Sinistra. Infatti semplicemente non esiste. Esistono chiaramente dei “pour parler” sotterranei tra diverse persone “impegnate” politicamente, ma nulla di cui veramente preoccuparsi. Eppure questo Settembre dovrebbe essere il mese del ferro e del fuoco dopo il termine dei vari congressi di Partito, l’avvicinarsi della scadenza elettorale amministrativa di primavera 2009 con la costruzione dei programmi e delle alleanze e fatti politici di rilievo come il prossimo confronto che il Sindaco di Torino aprirà con il suo documento “politico-programmatico” all’interno della maggioranza del Comune di Torino. Eppure il nulla. Se è vero che le decisioni vanno prese collegialmente, è anche vero che all’orizzonte non sembrano profilarsi personalità che possano “coagulare” le armate devastate dal voto di aprile indicando quali strade sia possibile percorrere e come. E tutto ciò è disarmante, soprattutto nel momento in cui, pur tra mille beghe, il PD comunque indica con giusto tempismo il candidato Presidente per la Provincia di Torino, l’uscente Antonio Saitta, che sarà, per forza, l’unico esponente su cui ricostruire l’alleanza che ha governato finora. Quale alleanza? Si dirà, in maniera politicamente corretta, che le coalizioni si costruiscono sui programmi e che quindi è quella la sede dove ci si confronterà e si trarranno le conclusioni. Vero e falso allo stesso tempo, perché in buona sostanza gli inviti al tavolo esprimeranno già le tendenze in atto. Non solo. Se come è avvenuto per la designazione – che io condivido avendoci lavorato assieme ed apprezzandone le modalità di lavoro – si assisterà alla proposizione da parte del partito di maggioranza relativa di un programma, si avrà nuovamente, di fatto, la scrittura dell’agenda politica da parte di altri che non saranno la Sinistra. E qui il problema si fa serio, perché proprio di questo abbiamo necessità: iniziare a confrontarci tra le forze che vogliono concorrere a vincere il prossimo mandato amministrativo e che si riconoscono nella costruzione della Sinistra. Ovvero delimitare subito i temi e le soluzioni da discutere, le priorità di governo, i modi per risolvere le questioni poste dal nostro stesso elettorato. Una commissione “Attali” per la Sinistra che individui le linee d’azione e soluzioni concrete, attinenti in maniera stringente alle competenze degli Enti per cui si corre senza facili concessioni alla demagogia. Prima ancora di tutto, è questo il compito che personalmente mi pongo ed a cui lavorerò nel mio Partito e con tutti coloro che pensano alla possibilità di incidere anche con l’azione amministrativa per una migliore vita delle persone del nostro territorio. Il tempo, adesso, è davvero terminato…

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FARC – Rifondazione: per chi ci avete preso?

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Sicuramente contorta questa storia delle Farc e Rifondazione comunista. Soprattutto se il soccorso è venuto già il 5 agosto da Casini – perché la notizia non è nuova e il primo scoop risale al 4 agosto! – che pare sapesse di tutta la storia. Quello che mi lascia di stucco sono, però,  alcuni aspetti  della questione. Soprattutto questa difesa di Mantovani che continua a dichiarare che tutta Rifondazione sapeva. Tutta chi? Gli iscritti? Io vivrò pure sulle nuvole, ma sono iscritto a quel Partito e non ne sapevo nulla. E con me diversi compagni a cui oggi ho domandato lumi. Non sapevo che Ramon Mantovani fosse un inviato del Governo – nelle sue diverse versioni Berlusconi e Prodi – con il mandato di trattare la liberazione di 700 civili imprigionati più la Betancourt in catene dal 2002. Non sapevo che il mio Partito avesse rafforzato questo mandato, decidendo, attraverso due autorevoli esponenti, quale linea politica mantenere nei riguardi delle FARC. Non sapevo, inoltre, che i soldi di Rifondazione Comunista sono stati impiegati per pagare cure svizzere al rappresentante delle FARC in Europa, proprio nel momento in cui le stesse offrivano una simpatica villeggiatura tropicale alla Betancourt ed altri.
C’è un problema di lealtà, a questo punto, di chi sapeva tutte queste cose nei confronti dei militanti del Partito della Rifondazione Comunista, non solo di linea politica, ma di decisioni gravi che, la si giri o la si rivolti come si vuole, costituiscono una connivenza concreta ( di risorse, per intenderci) verso qualcuno che usa strumenti di lotta politica che noi, militanti di Rifondazione abbiamo aborrito. Una cosa è favorire un processo, un’altra è finanziare le FARC, non tanto perchè l’ONU o altre  organizzazioni mondali le abbiamo messe sul libro nero, quanto perché contemporaneamente riducevano per anni in prigionia persone, una o mille non fa differenza. Sempre che non arriviamo all’assurdo, almeno per me, che finanziare i narcosFarc attraverso la triangolazione di responsabili di un partito comunista italiano sia un ineludibile passaggio del processo di distenzione internazionale.
Questa è mancanza di lealtà, soprattutto da parte dei dirigenti che sapevano. Perché molti di noi, per poco che sia servito, si impegnavano anche nelle istituzioni a cui sono stati chiamati a far parte, per continuare a tenere viva la questione dei prigionieri con tutti imezzi, mentre altri, con mandati a noi sconosciuti, facevano altro. Che differenza intercorre tra Ramon Mantovani e l’altro coso, (con responsabilità all’interno di Rifondazione) e i finanziamenti sovietici al PCI o quelli americani alla DC ? Quale presunta diversa moralità possono dimostrare, possiamo dimostrare rispetto a quelle vicende? E lasciamo stare il complottismo, il fatto che “loro” sono molto cattivi e noi no, noi possiamo fare tutto ciò perché abbiamo ragione. O ancora il fatto che il giornalista non si sia accorto che Ramon e Consolo non erano nomi di battaglia, ma facilmente riconducibili in chiaro a due persone. Tutto qui? Ma per chi ci state prendendo? Pensate che non sentiamo anche noi puzza di contorsione internazionale, di connivenze anche di qualche governo, di manovre orchestrate ad arte? Ma tutto questo giustifica il fatto in sé? Diminuisce la gravità del fatto in se stesso, oltre a gettare non qualche schizzo di fango, ma interi TIR di letame addosso al nostro Partito?
Se pensate di aver a che fare con qualche frescone a cui chiedere tempo e soldi nel nome di un’idea pulita, forse state sbagliando indirizzo.

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