Un vero moltiplicatore sulla resa delle risorse impegnate dal sistemo pubblico, su cui a mio avviso andrebbe approfondita la possibilità di interventi degli Enti Locali, soprattutto Province e Regioni.
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Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Raffrontando i dati ISTAT odierni rispetto a quelli del 1974, chi vive in Lombardia, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia avrebbe visto crescere la propria longevità del 15 % circa.
Soprattutto per ciò che riguarda i maschi. In attesa di analizzare meglio i dati Istat, questo guadagno delle regioni del nord sarebbe figlio di versi fattori.
In primo luogo l’opera di comunicazione sul settore della prevenzione avrebbe trovato nei sistemi sanitari di alcune regioni maggiore rispondenza con migliori risultati.
Il tasso di occupazione maggiore, la tendenza più diffusa all’attività fisica, la maggiore capacità di fruizione di beni culturali farebbero il resto.
Il fatto poi che la crescita sia maggiormente sensibile per i maschi, si spiegherebbe con la maggior tendenza delle donne ad acquisire abitudini negative già presenti negli uomini quali ad esempio il fumo e l’esposizione allo stress.
Se le crisi possono rappresentare un momento di ripensamento sulla “vocazione” produttiva dei nostri territori, su quale scelta possono puntare le amministrazioni dei nostri territori? Per parlarci chiaro: Provincia, Regione e Comuni su cosa devono puntare per uscire “con la prua in avanti” dall’attuale devastazione economica?
La premessa al discorso è iniziare a guardare in che direzione si stano muovendo gli altri Paesi maggiormente sviluppati. Non per una semplice passione di tutto quello che è “estero”, ma perché le scelte in Europa e nel mondo condizioneranno anche i nostri mercati. Ebbene, risulta chiaro come una quota sempre più importante delle politiche innovative si stanno concentrando sulla questione “energetico-ambientale”. Le stesse fonti sul commercio mondiale stanno iniziando a sfornare cifre che parlano di una importante crescita dell’occupazione in attività che si rivolgono alla riduzione degli impatti ambientali ed alla produzione di energia alternativa alle fonti fossili. Con una caratteristica: vengono man mano privilegiate le tecnologie per la produzione a bassa emissione climalterante e con contenuti consumi energetici, mentre vengono progressivamente ridotte le tecnologie alla “fine del tubo” (end of pipe) cioè di abbattimento alla fine del processo produttivo. Tra le diverse motivazioni non sfugga la necessità, che i Paesi maggiormente sviluppati sentono sempre più, di arrivare ad una sicurezza sull’approvvigionamento delle fonti energetiche che l’attuale sistema certamente non garantisce. Il vero problema è che i Paesi che si sono incamminati su questa via, si sono posti una domanda diversa da quella che è in voga oggi in Italia: oltre alla “domanda di innovazione” tipica delle economie avanzate, il problema che tutti, eccetto noi, si sono posti è capire se questo settore poteva sviluppare una “offerta di innovazione”. In sostanza oltre al fatto di consumare tecnologie “verdi”, è utile mettersi in cammino anche per pensare a prodotti innovativi, produrli e quindi esportarli. Cosa che non è avvenuta in Italia. E i dati che il commercio internazionale ci fornisce sono impietosi: praticamente tutti i Paesi avanzati stanno iniziando ad esportare più tecnologie “verdi” di quelle che importano. Se Regno Unito, Stati Uniti e Francia sono ormai all’eccellenza con un rapporto tra beni di questo genere importati ed esportati a favore del secondo fattore, Giappone e Germania sono vicini al pareggio, mentre il nostro Paese arranca sia nel rapporto, fortemente sfavorevole, sia nelle quantità assolute, la metà circa rispetto a Germania e Giapppone e 1/3 – ¼ rispetto alle nazioni in testa.
Risulta chiaro come bisogna uscire dalla logica della semplice acquisizione di queste tecnologie. Ed allora dove è possibile “pensare” e produrre queste nuove tecnologie? Non ci vuole molto a capire che il nostro territorio, soprattutto quello della Provincia di Torino, sia un candidato naturale per queste politiche. Una storia tecnologica di eccellenza, un sistema di formazione tra i migliori del nostro Paese (Politecnico di Torino), la presenza di personale con conoscenze e capacità ancora fortemente nel territorio, un sistema di comunicazione che resta tra i più interessanti in Italia, la vicinanza geografica con il cuore dell’Europa e altro ancora, rappresentano preziose carte da giocare nel panorama italiano ed europeo. A patto che gli Enti Locali confermino l’attenzione su questi settori privilegiandoli e scommettendo con tutte le proprie forze su questa scelta politica. Se le risorse sono scarse bisogna allocarle, distribuirle soprattutto in questi settori senza dispersione, abbandonando scelte con bassa capacità di innovazione e contenuto di conoscenza. La stessa capacità amministrativa degli Enti, eccellenti rispetto al panorama nazionale, devono concentrarsi su queste materie ed impiegare tutte le risorse disponibili senza diversioni. Noi ci siamo già incamminati su questa strada sviluppando tutto il settore della Autorizzazioni Integrate Ambientali, con importanti risultati sia sulla tempistica delle autorizzazioni, sia sul contenuto tecnologico. Le nostre aziende sono rimaste sul mercato e ne sono uscite con strumenti di innovazione che le pongono all’avanguardia in Europa, più capaci di affrontare il mercato globale rispetto a quelle di altre aree italiane. Ma è necessario rafforzare ancora di più questa capacità e concentrarsi maggiormente per ottenere risultati ancora migliori sul fronte degli impatti ambientali e sull’innovazione di prodotto. Con l’avvertenza che l’attuale crisi sta dimostrando che questi due termini sono intrinsecamente legati e non più in contraddizione.
Un’ente come la Provincia di Torino ha per vocazione amministrativa la sua massima efficacia nel saper usare alcuni strumenti a disposizione la cui natura continua ad evolversi nel tempo e la cui scelta ha la stessa importanza della determinazione dell’obiettivo da raggiungere. In questo senso potremmo richiamare l’interpretazione delle norme amministrative in materia ambientale (ancora oggi abbastanza contraddittorie e non esaustive), il gioco delle imposte e sussidi (anche qui, paradossalmente, con un certo margine di interpretazione), strumenti di tipo informativo (basilari nel far coprire l’assimmetria tra le conoscenze in capo alle amministrazioni e quelle degli utenti), altri di tipo certificativo fino a quelli cosiddetti negoziali (accordi, intese tra diversi attori che intervengono nella società). Ma appunto nella scelta di questi strumenti occorre considerare non solo la loro efficienza, ma anche la loro efficacia nel raggiungere gli obiettivi. In base a quali parametri possiamo scegliere i diversi strumenti di regolazione ambientale? Questa, se vogliamo, diventa la vera questione politica in grado di dividere le forze politiche. Proverò ad elencare alcuni criteri che secondo la mia opinione devono essere considerati nella scelta e nell’uso degli strumenti che le politiche dell’ambiente devono soddisfare, ammettendo come giochi in questa mia personale scelta anche l’avvicinamento che giocoforza ho dovuto intraprendere in questi anni verso l’economia ambientale e soprattutto verso autori come Panella a cui rimando per ulteriori approfonimenti più tecnici.
Efficacia ambientale. Sembra banale, ma la prima qualità di uno strumento deve essere quello di raggiungere un dato obiettivo ambientale prefisso. La valutazione dell’efficiacia deve comuqnue prevedere tutti i momenti di applicazione dalla fase di determinazione a quella di gestione controllo. L’importanza di questo criterio è nascosto in un particolare di non poco conto, quale quello che il risultato non deve essere la semplice efficienza – cioè la migliore capacità di applicazione da parte delle strutture burocratiche – ma la sua efficacia esterna, ambientale appunto
Efficienza economica. Comunque bisogna stare molto anche all’efficienza. In questo caso l’efficienza economica significa che la scelta tra diverse opzioni dovrà esseere guidata dalla capacità di raggiungere un certo obiettivo con i minori costi possibili per la comunità. Soprattutto se si tiene in considerazione che quasi sempre esiste una netta divergenza tra quanto la teoria ci dice e quantol’applicazione concreta dellostrumento può portare.
Incentivi a ridurre le esternalità. Gli strumenti devono essere capaci di spingere i diversi soggetti a comportarsi in maniera compatibili con gli obiettivi stabiliti dall’ente pubblico regolatore. Tra i diversi strumenti, infatti, alcuni più di altri contengono elementi che incentivano i soggetti a perseguire in modo anche autonomo gli obiettivi da raggiungere.
Flessibilità. Non tutti saranno immediatamente d’accordo, ma per esperienza le politiche più efficaci sono quelle in grado di adattarsi con maggiore libertà ai soggetti soprattutto economici a cui sono rivolte. Per spiegarci meglio, prendiamo i due tipi principali di strumenti ambientali: quelli cosiddetti diretti e quelli indiretti.
Quelli diretti sono i classici chiamati “comando-controllo” che concedono pochi gradi di libertà e incidono immediatamente sul comportamento. In sostanza atttraverso vincoli, ordini, permessi, licenze ti dico cosa devi fare, e se non lo fai come io ti dico incorrerai in sanzioni pecuniarie, civili o penali.
Quelli indiretti sono i classici economici: imposte o sussidi. Ti tocco il portafoglio rendendoti poco profittevole una certa azione o al contrario ti incentivo nei comportamenti virtuosi. In sostanza questo tipo di strumento modifica il comportamento dei diversi soggetti lasciando una certa libertà di adottare una azione in base al calcolo di convenienza economica. Chiaramente questo sistema non vuole assolutamente togliere alcun limite di legge e creare un far west dove ognuno sceglie di fare cosa vuole, ma si applica principalmente nella capacità di incidere sulle scelte tra lediverse alternative tecnologiche da adottare oppure sul versante del consumo attraverso la modificazione delle convenienze in termini di costi e benefici privati.
Semplicità di applicazione. Il punto è più importante di quanto si pensi, perchè ogni politica rivolta a chiunque se non è di semplice e sensata applicabilità è inutile.
Integrazione con le politiche di altri settori. L’ambiente viene spesso considerato come un mondo a se stante a cui le altre politiche devono incinarsi. Credo che questa idea sia alla base del fondamentalismo ambientale che spesso negli anni passati abbiamo subito. Oggi invece la ricerca nello sviluppo delle politiche ambientali sta riprendendo il concetto da cui sono nate le istituzioni per la difesa dell’ambiente che devono potersi integrare con le politiche di altri settori quali quello dei trasporti, dell’energia, dell’agricoltura, industriale e via discorrendo, senza rinchiudersi in una splendida solitudine sterile.
Accettabilità economica. “La protezione dell’ambiente ha un costo al quale i soggetti economici sono sensibili e lo sono ancora di più se tale costo va ad aggiungersi ad altri costi dettati dal rispetto dei vincoli preesistenti. Questo costo varia sia in funzione degli obiettivi sia degli strumenti adottati. E’ la loro dimensione che è alla base della mancata definizione di obiettivi ottimali” (Panella, 2002).
Accettabilità politica. I diversi strumenti hanno un diverso grado di accettabilità politica da parte dei diversi soggetti. Ad esempio sembrerà curioso, ma l’opinione pubblica e le imprese ritengono maggiormente accettabili gli strumenti di tipo amministrativo rispetto a quelli di natura economica. Purtroppo però l’efficacia di questi strumenti sta mostrando la corda, oltre al fatto che l’analisi delle ragioni di accettabilità politica pur convergendo sullo stesso strumento, mostrano motivazioni per così dire opposta. Dal lato imprenditoriale infatti è innegabile che i rappresentanti di questi interessi hanno una maggiore capacità di influire sul processo di definizione delle norme amministrative a livello centrale in modo da adattarle meglio alle loro esigenze, oltre al fatto di essere convinti che le norme amministrative definiscono obiettivi da raggiungere in modo certo. Non ultimo il fatto che una ormai consolidata prassi politica rende le norme difficilmente modificabili in periodi brevi, permettendo quindi di non dover modificare la tecnologia produttiva o di limitazione dell’inquinamento. D’altro canto la stessa opinione pubblica ha la sensazione che la leva economica rappresenti un implicito acquisto del diritto ad inquinare. Lo stesso operatore pubblico gradisce meglio la norma amministrativa perchè ha un maggior coinvolgimento e consuetudine con queste, oltre al fatto che riesce a preservare un indubbio potere sul sistema; anche se è da registrare un cambiamento di interesse delloperatore pubblico dato dal semplice incameramento del gettito assicurato dalle tasse ambientali.
Dopo 29 anni il Partito Socialista di Zapatero, grazie ad una spettacolare avanzata, manda all’opposizione i nazionalisti baschi e si candida a formare un nuovo Governo con il Partito Popolare che, per contro, vincono nelle elezioni regionali della Galizia, una delle regioni più povere della Spagna e maggiormente colpite dalla crisi economica.
1.Interventi di coesione sociale: incremento dei fondi per le borse di studio; fondi per gli anziani destinati al pagamento delle utenze domestiche; fondi per studenti universitari sotto forma di contributo alle spese di trasporto, acquisto libri, tasse universitarie.
2.Intervento per dilazione del pagamento dei mutui per acquisto della prima casa previo accordo-quadro tra amministrazione locale ed istituto di credito.
3.Incentivi economici per imprese operanti nel commercio al minuto finalizzati a investimenti.
4.Variazione delle rette per nidi, materne, mense e trasporti scolastici ed esenzione dal pagamento per quanti hanno perso il lavoro lasciando la famiglia a reddito zero.
5.Fruizione allargata delle esenzioni sulle rette dei servizi educativi.
6.Accordi con istituti di credito per agevolare lo smobilizzo dei crediti vantati da fornitori di beni e servizi comunali attraverso anticipi su fatture.
7.Istituzione del ‘reddito di cittadinanza’ per chi ha perso il lavoro, vincolando l’indennità alla partecipazione a corsi di formazione
8.In attesa della entrata in vigore del punto 7), una tantum di 2000 Euro per quei lavoratori che hanno perso l’occupazione e che non possono contare sugli ammortizzatori sociali.
9.Fondo di garanzia per l’accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese destinato a investimenti e ripatrimonializzazioni.
10.Impiego di disoccupati in funzioni di natura civica: dal controllo delle strade alla vigilanza di parchi e giardini pubblici, scuole, monumenti, etc…
11.Mutui agevolati per giovani coppie destinati all’acquisto della prima casa.