Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Senza farlo apposta, proprio nel momento in cui segnalavo l’attivazione anche in Italia di nuove forme di “Citizen journalism” come Spot.Us i blogger ospitati su La Stampa web ricevevano l’avviso che lo spazio del blog dei lettori non sarà più disponibile dalla fine dell’anno in corso. L’esperimento de La Stampa si era rivelato molto interessante, ma verosimilmente i costi di gestione hanno avuto partita vinta. Senza dubbio viene segnato un punto a sfavore sulla possibilità che hanno le testate più rappresentative del nostro Paese di vincere la battaglia dell’informazione sulle nuove piattaforme digitali, a favore, questa volta, delle reti indipendenti.
Come riportato in “Lavoce.info” da Riccardo Puglisi, Fiat si scorpora in due società, ma stranamente quella che dovrebbe raccogliere solo le attività del settore auto, mantiene al suo interno le partecipazioni del settore editoriale. Non poco, visto che oltre il pezzo di RCS-Corriere della Sera, Fiat Auto imbarca tutta la proprietà de “La Stampa” di Torino, una tra le prime testate nazionali. I commenti sembrano univoci nell’individuare il mantenimento del pacchetto all’interno del settore auto come strategico per influenzare l’opinione pubblica riguardo a tutto ciò che ruota intorno al mercato automobilistico e non solo. Insomma, una caduta di stile…
Sentito l’altro giorno alla radio, riprendo il sito di Spot.Us, esperienza americana di giornalismo “dal basso” attraverso cui è possibile finanziare direttamente inchieste. Da seguire…
Spot.Us Italia vuole riproporre una delle più importanti esperienze americane degli ultimi anni nel campo del giornalismo.
Il progetto originale Spot.US nasce infatti nel novembre 2008 a San Francisco da un’idea del giornalista David Cohn con lo scopo di offrire a tutti i cittadini uno strumento di partecipazione alla costruzione dell’agenda informativa e politica del territorio. (altro…)
Che per ricercare qualcosa di innovativo nelle forme politiche sia necessario guardare fuori dal nostro Paese, non è necessario ricordarlo. Ma va sottolineato quello che sta succedendo in Gran Bretagna dove è stato lanciato il “Digital Debate” in vista delle prossime elezioni. Si tratta di un vero e proprio dibattito in rete sostenuto congiuntamente da Google e Facebook attraverso cui si instaura un rapporto interattivo tra i candidati e i navigatori virtuali che possono porre le loro domande con fondata speranza di avere una risposta. Anzi, le migliori sono state effettivamente poste nel dibattito di questa sera tra Clegg, Brown e Cameron. A completare l’esperimento di politica virtuale, c’è anche la possibilità di votare le risposte date dai leader per qualche giorno. Al momento Clegg è in vantaggio di diverse lunghezze su Cameron. Brown insegue in coda in splendida solitudine.
“Niente bonus ai direttori delle banche, per incoraggiarli a guardare al lungo termine; istituire un tetto di 2.500 sterline ai bonus pagati cash; divieto assoluto a distribuire bonus per quelle banche che hanno registrato delle perdite. “E’ una ricetta dura ma è il modo giusto di procedere”. Non ci crederete, ma queste parole non le ha dette il New Labour, ma il liberaldemocratico Clegg proprio questa sera nell’ultimo confronto pre-elettorale in Gran Bretagna. A momenti uno diventa liberale…
E’ pur vero che bisogna ragionare con pacatezza. Che bisogna essere razionali e dire le cose giuste, anche se difficili da spiegare. Ma guardando Annozero questa sera sono ormai dell’idea che con questi qui come opposizione non ne usciamo…
La migliore l’ho sentita via radio in macchina da un economista che, con fulminea semplicità, ha focalizzato il problema della nostra imprenditoria prendendo come spunto il caso della Bialetti di Crusinallo. Il senso è questo: gli sforzi e l’intelligenza dei nostri industriali non dovrebbero essere impiegati per capire come meglio delocalizzare ad esempio una fabbrica di caffettiere in Cina, ma capire come vendere caffettiere ad un miliardo di cinesi…
Come salvare il pianeta: viaggio nei meccanismi del Parlamento americano con un’intervista ad Al Gore. Current TV
La discussione sull’acqua pubblica mi sembra un po’ monca e paradossale. Mi spigo meglio. In Provincia di Torino l’idea di acqua pubblica come bene comune è stata difesa in questi anni da un organo che si chiama Autorità d’Ambito (ATO), che deliberava democraticamente attraverso una conferenza formata da amministratori pubblici, che imponeva costi e opere tenendo come fine supremo il fatto che l’acqua è di tutti ed è un bisogno essenziale. La stessa Autorità d’Ambito ha sempre vigilato e operato fattivamente per fare in modo che tutto queto restasse pubblico, come pubblica è anche la società che gestisce, per conto dell’ATO, l’acqua sul nostro territorio. Senza ricordare come siano state deliberate tariffe che tenevano conto della composizione famigliare, della ricchezza stessa delle famiglie, siano state consolidati aiuti internazionali ed altre cosette del genere, oggi l’Autorità d’ambito sembra destinata a sparire attraverso una legge approvata dalla destra di questo Paese. Ciò che mi fa specie non è tanto la legge “destrorsa” ma il comportamento sinistrorso nelle sedi di competenza. La legge, almeno fin quando ho seguito la sua evoluzione, permetteva anche la possibilità di scelta, affidata alle Regioni, di mantenere in piedi questo tipo di organizzazone del servizio. Ora, se ad esempio in un Consiglio Provinciale (poniamo quello di Torino) si facesse una giusta, corretta ma decisa battaglia per mantenere l’Autorità d’Ambito Torinese dell’acqua con le stesse caratteristiche attuali, si raggiungerebbe un risultato concreto, solido e politicamente rilevante al posto di enunciazioni di principio fatte con ordini del giorno o mozioni che lasciano il tempo che trovano. Poche parole e mobilitazioni di maniera, quindi e, per chi avesse davvero a cuore la questione dell’acqua, più fatti concreti.