Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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A scuola di crisi economica

Per dire come dovrebbero funzionare le cose faccio un piccolo esempio. Negli Usa, dallo scorso dicembe, i ministri dell’educazione e del tesoro hanno lanciato un progetto di educazione finanziaria nelle scuole, così come avvenuto anche in Gran Bretagna. Il motivo è semplicemente dato dal fatto che la recente crisi economica ha messo a nudo il fatto che la popolazione non possiede le nozioni base su come si gestiscono i mutui, i contratti di acquisto di una casa o le proprie scelte pensionistiche. L’idea è che l’abc su questi argomenti va conosciuto prima e non dopo l’aver fatto questo tipo di scelte. Una carta di credito mal gestita, i mutui subprime e altro ancora appartengono a decisioni che sono prese in prima persona dalle singole persone, ma che a lungo andare possono coinvolgere interi capitoli di debito pubblico indirettamente, ma anche direttamente.   Per non parlare delle semplici risorse di una famiglia: fenomeni che possono non apparire per periodi di tempo anche medio-lunghi, ma che quando esplodono non sono rincorribili. Certamente rimane la consapevolezza che tutto ciò può non essere sufficiente, ma sicuramente è meglio che niente. Senza fare tante parole e stracciarsi le vesti, bisognerebbe ispirarsi a questo tipo di pragmatismo utile e farne tesoro anche noi.

Terza Forza in Gran Bretagna: i Liberal Democratici sfidano la vecchia politica

Dopo Europe Ecologie, una novità politica europea potrebbe venirci dalle elezioni inglesi di maggio attraverso i LibDem, i Liberal Democratici. Con un linguaggio secco e chiaro, la missione che si prefiggono è recuperare voti nel bacino di delusi sempre più ampio dalle politiche dei laburisti e conservatori, certamente più grande del tradizionale corpo elettorle liberale. Merito, equità, spesa responsabile e libertà civili sarebbero, secondo al buona interpretazione fornita da Frontpage, le quattro gambe della proposta della storica terza forza britannica. Certamente con maggiori punti in comune con i laburisti, il partito del giovane e brillante Clegg si candida comunque non solo ad essere l’ago della bilancia o comunque la forza che potrebbe essere necessaria per formare un nuovo governo, ma a sparigliare l’imbolsita politica di sua Maestà che non sembra riuscire ad appassionare più di tanto le giovani generazioni inglesi e comunque teme l’onda astensionistica che ha tenuto banco recentemente in Francia e in Italia. Proposte chiare, certamente. I Liberal Democratici infatti sembrano essere ad esempio l’unica forza che veramente sta rappresentando l’area dei diritti civili su cui anche i “progressive” laburisti zoppicano. L’economia viene certamente presa molto sul serio, ancor più dei leader conservatori, prendendo di petto, ad esempio, il debito pubblico. Con ricette che in altre lande sconfinerebbero nella tradizione rossissima del taglio dei benefit ai ricchi e della tassazione dei loro castelli.
Antidogmatici per formazione, rilanciano la necessità di dare maggiori opportunità ai giovani mediante l’istruzione, tutelare meglio le famiglie con una “No-tax” fino a un certo reddito. Ma veramente il linguaggio fresco, la determinazione, l’antidogmatismo, il tentativo di dare una nuova credibilità alla politica, le soluzioni spiegate chiaramente potranno fare la differenza in queste elezioni. Da tenere d’occhio quindi, sperando che i riflettori dell’analisi politica possano veramente chiarirci queste forze che si affacciano con rinnovata audacia nel panorama politico: Europe Ecologie e LibDem. Magari una ventata di aria fresca nel chiuso delle contorsioni italiane che non ci affascinano più.

Jacques Delors. Il respiro dell’Europa e gli omini verdi nostrani

Un fiorire di analisi, dati, commenti e qualche ricetta ci ha sommerso dopo le recenti elezioni regionali. Ricambi generazionali, di segretari di partito, bagni – pelosetti – di umiltà, indicazioni sul dove e come “stare con la gente”: non c’è che dire ne abbiamo sentite di ogni sfumatura. Forse l’ha però azzeccata Sergio Chiamparino quando dice che sì, bisogna stare tra la gente, ma sapendo anche cosa dire. E questa osservazione mi colpiva  quando, tornando in treno da Roma, mi godevo la lettura di un bel libro che consiglio vivamente edito da Rubbettino: “Jacques Delors: Memorie”, fortunosamente trovato nella libreria vicino a Montecitorio. Perchè per rispondere al federalismo arraffazzonato degli omini verdi, basterebbe conoscere e puntare veramente sull’Europa, sempre più vissuta come luogo lontano ed estraneo, ma in verità vera fucina di nuove idee e campo su cui ci stiamo giocando senza accorgercene il nostro futuro. “La competizione che stimola, la cooperazione che rafforza, la solidarietà che unisce” è il credo di Delors, e basterebbe quasi per creare un programma politico. Basterebbe davvero conoscere dove nascono e vengono discusse le idee che ci governeranno nei prossimi anni, e che non saranno certamente le false crociate contro fantomatici immigrati che otterrebbero cure mediche nei pronto soccorsi prima degli “Taliani”. Pensiamo davvero che i nuovi governatori risolveranno i nostri problemi di lavoro facendo denunciare gli immigrati al Pronto Soccorso o magari attirando i fondi europei nelle proprie terre con seri progetti ambientali, industriali internazionali? Il problema sono le ronde padane o i fondi FESR dell’Unione Europea? Il problema è propagandare la visione dei film posticci su Barbarossa o studiarsi meglio il trattato di Lisbona? E il nostro tramite con l’Europa e con il mondo è davvero Borghezio? Il nostro problema è rinnovare anagraficamente la classe politica o iniziare a guardare il merito delle persone, dare la guida del nostro futuro a persone competenti?

Nel leggere le memorie di Delors si sente un respiro diverso, una costruzione di idee, di leggi come pure di uomini che mirano all’eccellenza e costruiscono la propria personalità politica sull’eccellenza, senza dimenticare le risposte vere ai bisogni delle persone comuni.  Studiate, studiate, studiate diceva Gramsci, perchè avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza. La vostra intelligenza, non la vostra ruffianeria o la vostra capacità di inseguire gli umori. Perchè, dopo averli denunciati, i problemi vanno risolti. E si risolvono non con la semplice gioventù, ma studiando. Come appunto fece Delors

Labour Party Manifesto. Immagine di copertina

New Labour. Sistema sanitario nazionale

http://www.youtube.com/watch?v=zRZWQXbi9zo&feature=player_embedded

«Lavori in corso», Apriamo il cantiere della sinistra

Dal Sito de “L’Unità”: Lavori in corso di Concita De Gregorio

Da dove cominciamo, Nadia Urbinati, a parlare del risultato elettorale e dello stato della sinistra in Italia? Dal Partito democratico? Dal cantiere dei lavori fatti e da fare, dall’analisi degli errori e dalle fondamenta di una nuova proposta? Cominciamo dal successo di Vendola, da Grillo?
«Cominciamo dall’Emilia».

Risponde così Nadia Urbinati: c’è bisogno di una discussione larga, ampia, franca e senza paura. Un dibattito come quello che si è sviluppato in questi giorni anche sulle colonne del nostro giornale e soprattutto nel web, migliaia di lettori ci hanno scritto per raccontarci quel che vedono, quel che sperano, quello in cui credono e in cui non credono più. Apriamo davvero il cantiere delle idee, dice la docente della Columbia, appassionata studiosa di politica. Però facciamolo a partire dalla realtà: lasciamo che l’insegnamento ci venga dai fatti.

Dunque l’Emilia, dove da poco è tornata a vivere. «Perchè in queste settimane, da quando sono rientrata in Italia, ho visto nei miei paesi qualcosa che non avevo visto mai. L’Emilia sarà la prossima regione a diventare leghista se non ci sarà un cambio radicale e profondo. In larga parte lo è già. Vedo i militanti della Lega girare per le piazze dei paesi con le roulotte e i camioncini, fermarsi a fare comizi di fronte a sei persone. Senza telecamere, senza microfoni. Senza media al seguito. Li sento scandire parole d’ordine semplici che fanno presa. Vedo le persone a me vicine cambiare. L’Emilia oggi è la frontiera più avanzata, o più arretrata. È Little Big Horne. La Lega ha capito molto bene che è questa la sfida più grande. La rivincita. Il vecchio desiderio democristiano. Quel che non si è tinto di bianco oggi si sta tingendo di verde. I leghisti hanno la capacità di farlo. Hanno militanti che credono, non che dubitano e discutono. Fanno turni, lavorano in modo sistematico, casa per casa. Il modello americano è questo: casa per casa. Non bastano le cene elettorali, quelle sono ad un altro livello. Nelle piazze dell’Emilia profonda il Pd non c’è. A Ferrara ho visto le navette che portano al centro commerciale. Nei paesi sono tutti chiusi dentro le case, con le loro parabole per vedere la tv. E’ il Midwest: è qui che si vince o si perde». (altro…)

Dopo la vittoria elettorale il trionfo culturale. Una bella riflessione di Michele Mezza

Una bella riflessione di Michele Mezza dopo le ultime elezioni

E’ davvero incredibile con quale atteggiamento grave e pensoso, si dicano banalità. Oggi su repubblica Giovanni Valentini, con il tono di rivelare tutti i segreti di Fatima contemporaneamente, ci spiega, all’alba del 2010, che internet non è un mezzo ma è un sistema relazionale che rende la politica più efficacie. E lo fa, richiamandosi all’incursione di Berlusconi su Facebook.

Il dato drammatico è che questa banalità non appare in nessun frammento delle discussioni nel PD. In quel profluvio di dischiarazioni e balletti retorici di dirigenti in cerca di luce accanto al cadavere,nessuno in queste ore ha avuto l’idea di richiamare questo dato: gli unici fenomeni che emergono dal voto sono-Lega e Grillo- i due soggetti che si modellano su un network: territoriale la Lega, virtuale Grillo.Non è un problema di stile o moda: si tratta di un’idea nuova del mondo, e sopratutto una lucidissima strategia rispetto alla propria base sociale. Network significa sistema relazionale orizzontale, e non organizzazione gerarchia verticale. Il primo è oggi l’unico linguaggio politica praticabile, il secondo è un retaggio del ’900 senza interlocutori vivi.

Ora il fatto che nel dibattito a sinistra ancora non sia presente questa riflessione mi convince che siamo ancora lontani dal fondo del pozzo.Oggi siamo a learning by doing, ossia all’imparare praticando. Se non si sta nel fieme non ci si bagna.E non si colgono i fenomeni innovativi.

La mancanza di una lettura dei processi sociali ci impedirà ancora di trasformarci e di essere adeguati al modernoi.
Senza rete non si coglie il senso comune. Senza senso comune non si capisce dove andare e sopratutto con chi andare.E’ esattamente quello che sta accadendo da anni: pigliamo schiaffi in una stanza buia e l’unica cosa che facciamo e cambiare la faccia che viene colpita.

Mi rendo conto che la crociata sul TG1 sia più elettrizzante. Peccato che ci porta esattamente in una direzione opposta: centralità della TV di massa, importanza simbolica dei volti e dei messaggi delle news televisive, pooliticizzazione di ruoli professionali.Nel merito è una battaglia tecnicamente sbagliata: dopo tre decenni forse un conduttore può anche cambiare. Non è la prima volta. Altri direttori, in maniera più accorta, hanno modificato gerarchie e valori redazionali e nessuno si è stracciato le vesti. E’ inoltre sbagliato politicamente: la Rai diventa sempre la sostituzione della politica: il TG1 è il governo da abbattere, l’audience di Santoro è il consenso conquistato. Poi ci svegliamo e scopriamo che siamo su scherzi a parte.

La comunciazione oggi è sistema di produzione, e dunque va interpretato come uno spazio dove figure professionali e linguaggi crewano bisogni e conflitti materiali. Non come un’edicola dove vendere il proprio messaggio.

La scelta della rete, Obama insegna, non è una scelta tecnica, è politica allo stato puro: vuoldire scegliere come interesse prioritario la competitività degli individui, e non la protezione di masse inesistenti.

Trovo illuminante anche la vicenda della pillola RU 486. I governatori leghisti sono partiti lancia in resta, mettendo sul tavolo la propria sovranità sul territorio. Poi, grazie ad una reale immersione nel territorio, hanno percepito che la propria base sociale non è sintonizzata sulla ruffianata fatta al Vaticano e ora si fa marcia indietro. Non è una battuta a vuoto, è una straordinaria capacità di rappresentare, in real time, il mondo che si organizza.

43° Rapporto Censis: l’italia in apnea

censis_280x200Viviamo in apnea, ma siamo sempre gli stessi. Leader prigionieri dell’opinionismo, tornano gli interessi agiti «in presa diretta». I processi di trasformazione che preparano il dopo: la dura ristrutturazione del terziario e il silenzioso sfarinamento del lungo ciclo dell’individualismo
Roma, 4 dicembre 2009 – La società italiana è una società testardamente replicante. Quel «non saremo più come prima» che un anno fa dominava la psicologia collettiva è mutato in un «siamo sempre gli stessi». Abbiamo resistito alla crisi riproponendo il tradizionale modello adattativo-reattivo: non abbiamo esasperato il primato della finanza sull’economia reale, le banche hanno mantenuto un forte aggancio al territorio, il sistema economico è caratterizzato da una diffusissima e molecolare presenza di piccole aziende, il mercato del lavoro è elastico (si pensi al sommerso) e protetto (si pensi al lavoro fisso e agli ammortizzatori sociali), le famiglie sono patrimonializzate. La crisi ha finito per rallentare il processo di uscita dal puro adattamento intravisto lo scorso anno, quando all’orizzonte si presentava quasi una «seconda metamorfosi», dopo quella degli anni fra il ’45 e il ’75. Sono però in corso alcuni processi di trasformazione.
La dura ristrutturazione del settore terziario. È la prima nella storia dell’Italia moderna. Lungo i tanti rivoli del confuso mondo terziario sono confluiti nel tempo servizi alle imprese sovradimensionati rispetto alle esigenze, «qualcosisti» del terziario avanzato, precari della Pubblica Amministrazione alla ricerca del posto fisso, assunzioni nella scuola per risolvere la troppo drammatizzata disoccupazione intellettuale. Il rallentamento dello sviluppo, dei consumi, delle disponibilità di spesa ha oggi ridotto quelle «cavalcate espansive». Nel terziario si affermano meccanismi di selezione e razionalizzazione, con «una concentrazione qualitativa della domanda che mette fuori gioco una parte consistente di una offerta da sempre abituata ad una falsa facilità del mercato». E nel pulviscolo di piccole e piccolissime imprese operanti nel commercio, nel turismo, nell’artigianato di servizio già si conta un rilevante numero di «vittime».
Il protagonismo del mondo delle imprese. È poi in atto un ulteriore passo in avanti nel riconoscere al sistema d’impresa un ruolo di traino e leadership complessiva della società. Il segmento più dinamico dell’imprenditoria italiana ha saputo combinare le strategie di presenza sui mercati mondiali (delocalizzazione, logistica, concentrazione sul momento distributivo, catene commerciali monobrand, privilegio del mercato del lusso e di alta qualità) con strategie innovative (velocizzazione dei tempi, capacità di giocare «fra le linee», cioè cercando spazi e varchi non usuali, attitudine ad operare anche in termini di scambi reali, talvolta assimilabili al baratto). Si rafforzano molti big player, molte medie imprese e anche una quota di piccoli imprenditori.
Il ritorno agli interessi agiti «in presa diretta» rispetto al primato dell’opinione. Gli interessi si coagulano sempre meno nella loro rappresentazione all’interno del mondo dell’opinione, cercano piuttosto una agibilità diretta nella dinamica socioeconomica. Il mondo della rappresentanza ha perso la sua carica identitaria (di classe, di gruppo sociale, di movimento) e «ritorna in piena nudità e senza pudori la seconda gamba, quella degli interessi reali». Non solo tra i big player, ma anche nelle grandi filiere (si pensi alle vicende energetiche e nucleari), nelle intese internazionali, nei territori (non a caso la cultura leghista fa «sindacato del territorio»). E irrompono anche interessi «privatistici» nel pericoloso mix fra politica e affari in delicati settori pubblici, dalle infrastrutture alla sanità.
«Viviamo in un mare tumultuoso di opinioni». Tuttavia, le componenti sociopolitiche, partitiche o giornalistiche, anche quando non cedono al degradarsi verso il gossip, restano prigioniere nell’esasperazione di un diffuso antagonismo (talvolta a forte tasso di personalizzazione) che non permette loro di uscire dal recinto dell’opinionismo. Nell’«antagonismo vissuto colpo su colpo», i soggetti politici perdono il ruolo di ricerca, sintesi interpretativa e proposta che solo può legittimarne la leadership. Non abbiamo nessuno spazio di autorità condivisa, e non bastano a restituire allo Stato autorità e fiducia isolati episodi di un buon governo del fare. «La corrosione esercitata dal primato dell’opinione ha comportato un grande deficit di interpretazione sistemica, di capacità e volontà di definire una direzione di marcia su cui orientare gli interessi in gioco».
Tre cicli al tramonto. Le tre grandi culture cui si è abbeverato lo sviluppo italiano degli ultimi centocinquanta anni sono sempre meno spendibili come fattori di mobilitazione sociale e politica. La prima è la cultura risorgimentale, quella che ha fatto storicamente l’Italia e gli italiani, per cui il futuro del Paese era legato alla centralità dello Stato come grande soggetto facitore di regole omogenee sottoposte a costante controllo e rispetto. La seconda è la cultura riformista nata nel secondo dopoguerra, per cui le classi dirigenti modificano le strutture pubbliche in risposta ai bisogni sociali. «Ma oggi chi ha bisogno di garanzie per la sua vita anziana non crede che il suo problema verrà risolto dalla riforma pensionistica, chi ambisce a dare ai figli livelli formativi competitivi non crede che servirà la riforma della scuola e dell’università, chi avverte la drammaticità della propria posizione occupazionale non crede nella riforma del mercato del lavoro, chi avverte la inefficienza degli apparati burocratici non crede che sarà una riforma della Pubblica Amministrazione a ridare agevolezza al rapporto fra cittadini e Stato». Infine, dagli anni ’70 in poi si è affermato il terzo ciclo, quello del protagonismo individuale, con la crescita esponenziale del lavoro autonomo e della piccola e piccolissima impresa, del soggettivismo nei comportamenti, della personalizzazione del potere politico, della ideologia della competizione e del mercato. Ma anche il primato della soggettività è destinato a sfarinarsi silenziosamente. «L’individualismo vitale è sempre meno capace di risolvere i problemi della complessità che lo trascende, il soggettivismo etico mostra la corda rispetto all’esigenza di valori condivisi, la spietatezza competitiva e la carica di egoismo che derivano dal primato della soggettività hanno creato squilibri e disuguaglianze sociali che pesano sulla coesione collettiva».
Cosa verrà dopo? «Nella psicologia collettiva c’è nel profondo un dolente mix di stanchezza e vergogna per i tanti fenomeni di degrado valoriale, o almeno comportamentale, che caratterizzano la vita del Paese. E c’è di conseguenza la speranza di uscirne, con una propensione a pensare al dopo, a una società capace di migliorarsi». Ma le discussioni in corso «guardano indietro», sono cioè condizionate dalla inerziale permanenza dei tre cicli precedenti, oppure «fuggono in avanti, rincorrendo una fantasmatica ipotesi di nuova ontologia», individuata talvolta nel fondamentalismo dei valori e della loro radice religiosa, talvolta nel fondamentalismo della scienza.
Per leggere il rapporto click qui e successiva registrazione sul sito del Censis

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chi sono

Io, Dorino
 
provengo da una famiglia operaia e sono nato nel 1963, sposato con Cristina e papà di Pietro, arrivato nel 1999.
  Entro a contatto con la politica organizzata partecipando al movimento del ’77 e ottengo la maturità classica al Liceo “Massimo d’Azeglio” di Torino.
  Obiettore di coscienza presso la Comunità Montana “Valle Ossola” a Domodossola, mi laureo in Medicina e Chirurgia ed inizio la professione medica facendomi le ossa presso il Servizio per le Tossicodipendenze  di Domodossola e come medico di famiglia a Torino.
  Lavoro quindi per circa due anni presso la Rianimazione dell’Ospedale “Maria Vittoria” di Torino, per poi approdare finalmente alla mia specialità, diventando Assistente di Urologia presso lo stesso Ospedale.
  L’esperienza ospedaliera mi permette di maturare un diverso aspetto della politica, intrecciando l’impegno professionale con la scelta dell’attività sindacale, fino a ricoprire ruoli di responsabile aziendale nella CGIL Medici e quindi nell’Anaao-Assomed. Vengo quindi eletto dai colleghi medici nel Consiglio dei Sanitari, fiducia riconfermatami anche dopo il mio trasferimento nel 2000 presso l’ASL 5 (Chieri-Carmagnola-Moncalieri) dove divento Responsabile della Struttura Semplice di Andrologia e Dirigente Medico di Urologia.
  Sono quindi chiamato dall’Ordine dei Medici della Provincia di Torino a far parte della Commissione ordinistica “Qualità ed appropriatezza delle cure”.
 
Oltre a pubblicazioni scientifiche nelle materie di competenza professionale, ho man mano focalizzato il mio impegno politico approfondendo i legami tra salute ed ambiente oltre ai diversi aspetti delle diseguaglianze sociali nella salute, pubblicando diversi contributi e il volume “Diseguaglianze di salute a Torino, una storia poco conosciuta” edito da Medicina Democratica.
  Nel luglio 2004 sono stato chiamato dal Presidente Antonio Saitta a ricoprire  la responsabilità di Assessore della Provincia di Torino con delega alle Risorse Idriche, Qualità dell’Aria, Energia, Difesa del Suolo ed inquinamento elettromagnetico.
  Malgrado tutto continuo a tifare per il Cagliari e, a volte, a pensare ed a parlare in sardo con chi posso.

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