Roma, martedì 30 novembre 2010 – Centinaia di ricercatori se ne vanno ogni anno dal nostro Paese, costretti a emigrare altrove per trovare laboratori che sostengano i loro studi e ne premino il merito, la loro fuga significa per il sistema paese perdita di ricchezza non solo scientifica ma anche economica e uno studio effettuato dall’ICom (Istituto per la Competitività), presentato oggi in esclusiva in occasione dell’evento organizzato dalla Fondazione Lilly in Senato, ha quantificato quanti soldi sono fuggiti via con i cervelli italiani: dal 1989 ad oggi l’Italia si è lasciata sfuggire circa 4 miliardi di euro, cedendoli ai paesi che hanno accolto i nostri talenti, primi tra tutti Gli Stati Uniti, seguiti poi da Francia e Svizzera nella classifica dei primi 20 cervelli italiani all’estero. Lo studio ha effettuato una valutazione economica della fuga dei top scientist: ha preso in esame gli ultimi 20 anni, durante i quali sono stati depositati 155 domande di brevetto di cui l’inventore principale è nella lista dei top 20 italiani all’estero mentre 301 è il numero totale di brevetti a cui i nostri hanno contribuito come membri del team di ricercai. Il valore attuale dei brevetti diretti dai top 20 italiani fuggiti all’estero è di 861 milioni di euro netti e su 20 anni il dato si attesta a 2 miliardi di euro netti. Se si considerano invece tutti brevetti (inventore principale o membro del team) , arriviamo ad un valore di 1,7 miliardi euro e a 3,9 miliardi di euro nell’arco degli ultimi 20 anniii, cifra che può essere paragonata all’ultima manovrina correttiva dei conti pubblici annunciata dal Governo qualche mese fa. (continua a leggere sul sito della Fondazione Cariplo)
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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C’è anche l’italia in veste di nodo di scambi energetici al centro del mediterraneo tra europa e africa settentrionale, ci sono le condutture di anidride carbonica dalle grandi centrale elettriche fino ai giacimenti in cui seppellirla, ci sono i grandi metanodotti dall’asia centrale, ci sono le linee di alta tensione dalle centrali solari del sahara fino ai mercati europei di consumo nel documento con cui la commissione europea ha presentato le sue priorità per il settore delle infrastrutture energetiche nei prossimi due decenni definendo la mappa dei corridoi per il trasporto verso l’unione di petrolio, elettricità e gas (…)
Ci saremmo aspettati qualcosina di più dal dibattito che si è accesso sulle parole di Marchionne. Tolti gli ampi lamenti che fanno parte del gioco politico, le parole dell’AD Fiat, tutte e non solo quelle riprese ad arte, potevano servire per una volta a guardare meglio la realtà. Ad esempio sul perchè 7 auto su 10 vendute in Italia sono marche straniere. Bisognerebbe quindi dire qualcosa sulla mancanza di innovazione. Ma davvero 7 auto su 10 sono straniere? Ma cos’è oggi Fiat se non un grande gruppo internazionale che ha certamente radici in Italia, ma di fatto non è più italiana? Se inoltre siamo a livello di paesi in via sviluppo per ciò che riguarda la produttività ci sarà anche qualche ragione nelle parole di Marchionne. E d’altronde è anche chiaro che non esiste oggi nel nostro Paese nessun embrione di politica industriale: che cosa sta facendo il Governo sulla politica dei trasporti, della mobilità sostenibile, sul sistema di tassazione? Così come siamo sicuri che puntare sull’industria dell’automobile sia ancora il maggior obbiettivo che un paese come il nostro deve perseguire? Esistono ancora così tante persone in Europa che devono comperarsi un’automobile? Oppure il sistema è prossimo alla saturazione e la capacità produttiva della stessa Fiat è sovradimensionata? E la stessa Fiat si sente oggi garantita nell’accettare il rischio di produrre nuovi modelli con il sistema di relazioni industriali e sindacali attuali? Lo stesso accesso al credito in Italia è scivolato dal 79° all’84° posto a livello mondiale. Possiamo dire tutto quello che vogliamo, anche con ragione, ma comunque sollevare il coperchio e dire anche ciò che non ci piace sentire, non deve essere oggi sentito come un reato di lesa maestà. Marchionne probabilmente ha detto una grande verità: il re è nudo.
Sono sempre più chiare le elaborazioni economiche sull’impatto del commercio internazionale delle tecnologie per fonti di energia rinnovabile nei bilanci delle nazioni. Roberto Romano su Economia e Politica arriva perfino a candidare il settore delle clean energy technologies come motore della distruzione creativa schumpeteriana dove una fuoriuscita dalla depressione economica si prevede “solo quando un “grappolo” d’innovazioni riesce a formarsi e si traduce in nuove opportunità di crescita, investimento e profitto, con una crescita del sapere tecnologico”. In sostanza già ora il mercato delle tecnologie “verdi” sta condizionando le strategie di sviluppo internazionali con variazioni delle specializzazioni fin qui conosciute nelle diverse aree. Il nostro problema è che, tra i Paesi europei, l’Italia è quella che, mettiamola così, fa fatica a mantenere competitività nella produzione e commercializzazione nelle tecnologie per fonti rinnovabili. Sempre Romano ci segnala che esiste circa un calo del 30% per l’Italia nella quota di esportazione di queste tecnologie e cresce la quota di importazione di queste tecnologie a causa, soprattutto, dei fallimentari livelli di investimento in ricerca & sviluppo nel settore. Il rischio per il futuro è paradossale sostituendo la “dipendenza” odierna dalle fonti fossili di cui il nostro Paese è sguarnito, a quella ben più pericolosa della dipendenza tecnologica legata alle fonti rinnovabili. Incentivare quindi il consumo di energie pulita, ma insieme sviluppare anche un sistema in grado di produrla non dipendente dall’estero. Eccola vera sfida del nostro sistema-paese.
Riprendo dal sito di Luca De Biase un interessante articolo sulla Legge Fondamentale della Scienza e della Tecnologia scritta dal governo giapponese nel 1995 e, come riporta De Biase: è fatta di 19 articoli ed è scritta in 4 pagine; è motivata dalla convinzione che lo sviluppo discende dalla ricerca; tra i suoi principi la ricerca è per lo sviluppo sostenibile dell’umanità; prevede la necessità di un impegno bilanciato per le scienze naturali e umanistiche; lo Stato si impegna a promuovere la scienza; il Governo fornisce un resoconto annuale al Parlmento sui risuktati ottenuti in quadro che invita al miglioramento continuo. Di seguito una veloce traduzione dalla versione inglese non ufficiale presente sul sito del governo giapponese. (altro…)
L’anno prossimo l’Unione europea stanzierà 6,4 miliardi di euro per finanziare alcuni progetti nell’ambito della ricerca e dell’innovazione. Secondo l’irlandese Márie Geoghegan-Quinn, commissaria europea alla ricerca, all’innovazione e alla scienza, si tratta di un passo indispensabile. Investire nell’innovazione è “l’unico modo intelligente di uscire dalla crisi”, ha dichiarato Geoghegan-Quinn. I finanziamenti saranno alimentati dal programma europeo per la ricerca, che dispone di un fondo di cinquanta miliardi di euro per il quinquennio 2007-2013. Alfred Kleinknecht, professore di economia e innovazione all’università tecnica di Delft, ha fatto una ricerca sui risultati ottenuti grazie a questi fondi negli anni precedenti.
Se non lo sapevate, l’italiano è stato escluso dalle lingue autorizzate per la registrazione di un brevetto europeo. Per ragioni di costi verranno vagliate solo e domande in francese, inglese e tedesco. La faccenda non è ancora definitiva, ma merita di essere appuntata.
Devo ammettere che non ho compreso precisamente la notizia comparsa su IlSole24ORE web, secondo cui sarebbe stato “un buon colpo” quello ottenuto dall’ENI di fronte al Presidente Obama. In sostanza in un incontro del Presidente USA con la Direttrice del Massachusets Institute of Technology (Mit) il miglior progetto presentato sarebbe stato il “Solar Frontiers Research Program”, piano per lo sviluppo di tecnologie solari avanzate, finanziato appunto dall’ENI. Ora è chiaro che la ricerca non ha confini, che lo scambio e l’investimento di intelligenze non deve avere restrizioni, che le nostre Aziende devono giocare un ruolo di primo piano nel panorama mondiale ed altre cose di questo genere, ma mi chiedo quanti finanziamenti l’ENI eroghi alle Università/Politecnici italiani. Anche perchè è notoria la ritrosia estera nell’investire in Italia e non solo nella ricerca e basterebbe ricordare la liquidazione del settore ricerca Glaxo recentemente avvenuto in Veneto. In un momento di difficoltà economiche, che per la ricerca è drammatico e si risolve nella cosiddetta “fuga di cervelli” verso l’estero, sarebbe forse meglio ottimizzare le risorse nel nostro Paese.