Margherita Hack ha profondamente ragione. Lo dico come antinuclearista da sempre. La sostanza del suo discorso è che questo nucleare è troppo pericoloso, inapplicabile,costoso e poco democratico. Ma tutto ciò non deve assolutamente bloccare la ricerca scientifica, anche quella nucleare. Perchè se un domani la fusione fredda, il nucleare al torio o altri sviluppi simili raggiungeranno la possibilità di produzione di energia in maniera sicura e senza scorie, non vedo perchè non dovremmo sfruttarla. Questa è l’insidia che è necessario sottolineare e su cui bisognerà comunque lavorare dopo, con o senza la vittoria del referendum. Questo non è un referendum contro la scienza e le sue applicazioni, sia chiaro a tutti. Perchè proprio la ricerca scientifica sarà l’unica possibilità dataci per affrontare il futuro. Refrendum SI, dunque e soprattutto per migliorare la ricerca. Perchè questo è un referendum, tolta la tara, per la riaffermazione dei beni pubblici, beni comuni a cui nessuno, negli ultimi anni sembrava più credere.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Venendo invece al merito delle ricette green per l’uscita dalla crisi del debito il tema è quello della “crescita”, di cui i Paesi indebitati hanno disperato bisogno. La sfida è quindi offrire ricette credibili di crescita sostenibile. Il filo conduttore non può che partire dalla filiera dell’energia. Produrre la propria energia vuol dire creare posti di lavoro che non si perdono a causa dalla concorrenza estera. Quindi produrre le macchine e i servizi che servono a fare energia, e i beni e i servizi che permettono il risparmio energetico. L’Italia produce macchine di qualità, ha una grande tradizione ingegneristica. Dagli infissi isolanti agli inverter, dalle pale eoliche alle auto elettriche, all’agricoltura di qualità, abbiamo le capacita tecnologiche per autoprodurre la nostra crescita (stavolta sostenibile) e con essa l’uscita dall’incubo del debito. Cosa produrre, come produrlo e come misurarlo. Lungi dal rappresentare la summa dei no, l’ecologismo politico oggi e’ chiamato alla sfida della concretezza, alla materializzazione della trasformazione. L’elaborazione di strategie proprie ci servirà a non trovarci davanti alla porta chiusa dell’austerità, nel decennio che viene (…)
Luca Bonaccorsi
Leggi il testo integrale qui su Terra online
A Milano non si parla più di Ecopass. Mentre a Londra l’esperienza continua a crescere, esigenze elettorali varie impongono, diciamo così, cautela sull’argomento. La testata on line “L’Inkiesta” ha fatto due conti sull’esperienza con alcuni dati da tenere presente se si volesse disquisire sull’esperienza milanese. Malgrado i limiti e l’applicazione contorta, non si possono rimarcare alcuni dati positivi come un calo del traffico complessivo di quasi il 13% e un abbattimento delle Pm10 del 30%. Si potrebbe parlare a lungo delle parti più controverse, ma su una credo sia necessario soffermarsi. Se ad esempio si applicasse la semplice norma che i ricavi dell’applicazione del provvedimento fossero destinati ad incentivare il trasporto pubblico ed il suo uso – nuovi mezzi, abbattimento dei costi degli abbonamenti annuali al servizio pubblico – credo che i cittadini delle grandi città accoglierebbero con maggior favore l’introduzione di provvedimenti di questo tipo. A Londra, ad esempio, ampie fasce di popolazione sono esentate dal costo del biglietto per l’uso del trasporto pubblico che viene finanziato proprio dalla “congestion charging” (a Londra, più correttamente, è un provvedimento anti-congestione). Fare “ambiente” non significa piantare più fioriere, ma seguire alcune leggi economiche con intelligenza.
Mi spiego. Se una politica vuole essere efficiente il suo risultato deve prevedere benefici superiori ai costi totali. A loro volta se questi costi e benefici fossero distribuiti in parti eguali, tutti ne trarrebbero un vantaggio e dunque verrebbe accettata. Nella realtà è difficile che si verifichi ciò e sembra che per la matrice ambientale questo risulti quasi impossibile.
Risulta esperienza comune che i miglioramenti dell’ambiente recano benefici a moltissime persone, mentre i costi, obbiettivamente subito visibili, ricadono per lo più su un gruppo ristretto, ad esempio sulle imprese come anche su alcuni tipi di consumatori.
Il problema centrale è quindi di natura distributiva. Teniamo conto che la natura del problema può ingenerare danni o esternalità supplementari, come avviene in altri campi come quello ad esempio sanitario. Potrebbe semplicemente verificarsi il caso mistero che forze economiche organizzate possano esercitare azioni di lobbing “investendo” risorse in quantità direttamente proporzionale ai costi che si vorrebbero evitare. Ciò può provocare almeno due fattori negativi: il blocco di politiche ambientali maggiormente rispondenti al criterio dell’efficienza e la sottrazione di risorse ad attività in grado di aumentare il benessere sociale.
Sia chiaro che la corretta rappresentazione degli interessi in campo è legittima e positiva. Il problema rimane il corretto governo di tutti gli interessi e la costruzione di criteri di valutazione dell’interesse generale, che per inciso a livello secco di economia è il cosiddetto benessere sociale.
Ancora una volta risulta difficile lasciare alle sole forze del mercato la risoluzione del problema. Solamente lo sviluppo dell’azione pubblica, e non il suo ridimensionamento, può comporre tali problemi di natura distributiva.
(via QualEnergia e PiemontEuropa Ecologia) Il quarto conto energia per il fotovoltaico è stato firmato venerdì e in questi giorni gli operatori del FV italiano e gli investitori stranieri stanno sezionando le circa 40 pagine del decreto (disponibile qui) per capire come funzioneranno le novità introdotte e che conseguenze avranno sul mercato. Qualenergia.it lo ha chiesto a Davide Chiaroni dell’Energy Strategy Group del Politecnico di Milano, uno degli autori del Solar Energy Report, uno degli studi più recenti e importanti su mercato e filiera del solare in Italia (Qualenergia.it, Fotovoltaico, una filiera nazionale in crescita).
Professor Chiaroni, iniziamo con un giudizio sintetico su questo quarto conto energia …
La direzione generale è quella di favorire gli impianti di piccole dimensioni o quelli su tetto sotto al megawatt. L’obiettivo del governo era evidentemente limitare la proliferazione di grandi centrali. Si privilegia dunque la distribuzione di impianti di taglie piccole e medie e le soluzioni industriali basate sull’autoconsumo.
La riduzione delle tariffe stabilita continuerà a garantire una buona redditività, anche in relazione all’andamento dei costi?
Mentre per le taglie più piccole la profittabilità resta buona, come ci si aspettava, i più colpiti sono gli impianti grandi. Già nel terzo conto energia la redditività di queste taglie era stata abbastanza ridimensionata, costringendo ad abbassare i costi per far sì che l’investimento restasse profittevole. Da dicembre 2011, secondo i nostri calcoli, perché i grandi impianti a terra restino redditizi si dovrà scendere al di sotto dei 1.800 euro a kW installato.
Ce la si può fare? (altro…)
L’uccellino di Twitter pare abbia svolazzato incontrollato alle assise di Confindustria, unico rappresentante dell’informazione a riuscire a varcare le porte rigorosamente chiuse dell’incontro annuale degli imprenditori (leggi su Lettera 43). Non starò a commentare la potenza dei social network che tutti possono comprendere. Le notizie da rimarcare sono invece gli impegni – più o meno formali – che gli imprenditori vorrebbero prendersi tra cui quello dell’ambiente con maggiore attenzione ai costi dell’energia e lo sviluppo sostenibile come cultura, oltre le quote giovani nelle imprese, un piano nazionale per le lingue e battersi per numeri fissi a mandati politici. (altro…)
Non capisco come continuiamo a volere uno sviluppo senza ricerca. Abbiamo assistito praticamente inermi alle diverse trasformazioni degli ultimi dieci anni pensando di continuare a produrre beni a bassa tecnologia basso contenuto di conoscenza illudendoci anche che il traino di industrie, che pure hanno reso grande la nostra città, durassero all’infinito. Non abbiamo detto e fatto nulla quando altre aree europee hanno iniziato a modificare la propria specializzazione produttiva adeguandola agli avanzamenti scientifici. Ed oltre alla tipologia di produzione dobbiamo essere coscienti che continuare a cercare di ridurre il costo del lavoro invece di puntare all’aumento della qualità dei prodotti ci porterà in un vicolo davvero cieco senza uscita. Ma una città cosa può fare per invertire la rotta? (altro…)
L’economia verde passa anche attraverso il sostegno alle fasce di popolazione svantaggiate sia dal punto di visto economico sia rispetto ai danni subiti o alle esposizioni nocive ambientali. Questo è il pensiero che ha animato l’EPA (Ente di Protezione Ambientale degli Usa) che ha lanciato un bando rivolto alle popolazioni meno abbienti che sostiene iniziative imprenditoriali che creano lavori verdi. I progetti approvati avranno in dotazione 100.000 $ ognuno e sarà indirizzato alle Tribal Nations dell’Arkansas, Louisiana, New Mexico, Oklaoma e Texas. Lo spirito di questo progetto potrebbe essere ripresa, in scala chiaramente inferiore, anche a livello comunale per contribuire da una parte alla nascita di nuove imprenditorialità oltre a spostare sui settori della Green Economy/jobs le poche risorse a disposizione che non devono essere diluite su produzioni decotte e senza futuro. Questa sarà uno dei primi progetti che come PiemontEuropa Ecologia mi impegnerò a presentare quando entreremo nella Sala Rossa del Comune di Torino.
Guardando il bellissimo lavoro di due giovani fotografi, Yves Marchand e Romain Meffre, su Detroit, da torinese sono stato percorso da un brivido. Detroit è stata la culla della produzione automobilistica americana, capitale industriale a livello mondiale e sogno per una popolazione che negli anni ’50 diventò la quarta città americana. In circa cinquat’anni ha perso metà della popolazione ed oggi si presenta in molte sue parti come un fantasma, in decomposizione, straordinariamente mummificata. In pratica ciò che la portò allo splendore è oggi causa della sua incredibile decadenza: l’industria automobilistica. Il brivido, per chi vive in una città che è stata invece la culla dell’industria automobilistica italiana ed europea, che ha vissuto importanti fenomeni migratori vedendo la propria popolazione triplicare in pochi anni e poi gradualmente contrarsi è d’obbligo. (altro…)