(…) Il declino italiano si arresta ed inverte solo con un radicale big bang riformista. Ma perché si possa anche solo coltivare la speranza di tale big bang è necessario che la maggioranza degli italiani si rendano conto della situazione e delle sua cause antiche. Occorre, soprattutto, che coloro che lavorano e producono intendano ed accettino che non è possibile risalire la china senza cambiamenti drastici nel funzionamento dell’apparato dello stato, nella composizione e nel livello della spesa e della tassazione, nella protezione statale del monopolio (pubblico o privato, fa poca differenza) nei settori dei servizi, eccetera, eccetera: la solita litania, insomma. Fare questo richiede ed implica far saltare i rapporti di potere in essere nel nostro paese sin dal ventennio fascista. Richiede ed implica scompigliare la composizione delle elites italiane, ridefinendo le alleanze sociali che le originano e che esse perpetuano attraverso l’intervento statale. Richiede, quindi, mettere in discussione il potere ed i privilegi di questa classe politica e delle poche decine di migliaia di “burocrati” che con essa gestiscono il potere economico e politico in Italia.
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Questa volta è il Governo, attraverso il suo Ministro per l’Ambiente Corrado Clini, a difendere le energie rinnovabili contro gli attacchi dei difensori della produzione elettrica tradizionale. Un cambio di passo davvero straordinario se si pensa che solo un anno orsono il Governo presieduto da Silvio Berlusconi dichiarava a gran voce di voler investire decine di miliardi di euro per costruire almeno dieci centrali nucleari. Le parole di Corrado Clini sembrano in questo caso valere almeno il doppio, visto anche il suo profilo di tecnico ed esperto conoscitore della materia ambientale “dal di dentro”. E gli argomenti non sono certo banali, come d’altra parte il peso degli attacchi provenienti da Eni, Enel fino all’Autorità per l’Energia che mette in contrapposizione la riduzione della bolletta energetica ed il sostegno alle fonti rinnovabili. Innanzitutto per diminuire le bollette energetiche bisognerebbe semplicemente pulirle da diverse incrostazioni che si sono depositate nel tempo nella tariffe togliendo i contributi caricati a favore del famigerato Cip 6 (gli inceneritori per dirla semplice) che non c’entrano molto con la politica energetica, passando per quello che stiamo ancora pagando per il nucleare per finire con gli sconti concessi nel tempo alle aziende maggiormente energivore come le acciaierie; tutte cose che paghiamo ogni mese in bolletta e poco efficaci ricordando anche solo come sta finendo la vicenda Alcoa in Sardegna. E come spiegare poi all’Europa Comunitaria che ha licenziato precise norme e finanziamenti a riguardo che no, è meglio tornare indietro, che ci eravamo sbagliati. Per non parlare, in tempi di primato del mercato, delle tendenze in atto su scala internazionale che nel 2011 ha investito nelle fonti rinnovabili 260 miliardi di dollari: vogliamo davvero uscire da un mercato in espansione? Come anche sarebbe davvero suicida rinunciare ai benefici delle nostre casse pubbliche che stanno intascando importanti tagliandi sotto forma di maggiore gettito fiscale oltre alla crescita esponenziale di occupazione che rinfranca il nostro welfare asfittico. E poi vogliamo davvero continuare a martoriare la nostra bilancia commerciale che ormai ha superato i 60 miliardi di euro l’anno per l’acquisto di combustibili fossili, contro gli studi della stessa Bocconi che valutano in alcune decine di miliardi i vantaggi che le rinnovabili porteranno dal 2030? Già, perchè se era sfuggito a qualcuno già oggi l’energia pulita è arrivata a produrre il 26,6 % dei consumi elettrici complessivi italiani e il 14% dei consumi energetici finali. “Il sistema degli incentivi – sostiene Clini – dovrebbe essere collegato al vantaggio prodotto in termini di miglioramento della bilancia commerciale. Inoltre nello schema di riforma fiscale messo a punto dal Governo c’è una Carbon Tax, cioè un’imposta sulle emissioni di anidride carbonica, in un percorso che serve ad alleggerire il carico di tasse sul lavoro e che servirà a dare ossigeno all’economia”.
Forse, chi si lamenta delle rinnovabili sta patendo altri problemi che vorrebbe scaricare sul pubblico erario come il fatto che si stia passando da un sistema prima composto da poche grandi centrali ad uno molto articolato che alimenta le reti intelligenti e le “smart city”. O probabilmente, molto più prosaicamente, chi si alimenta paga errori di programmazione per i quali oggi esiste un eccesso di produzione di energia elettrica: sono state concesse troppe autorizzazioni per centrali convenzionali e la crisi ha amplificato una diminuzione della domanda già in atto da tempo grazie alle, ancora timide per la verità, politiche rivolte ad una maggiore efficienza energetica. Il mercato è saturo per raccontarla semplice. Siamo un po’ troppo verdi secondo i produttori tradizionali e la mossa conseguente è il tentativo di azzoppare l’innovazione delle rinnovabili tagliando incentivi in questo settore. Magari sarebbe molto più razionale rimodulare la costruzione di grandi centrali, chiudere quelle vecchie ed inquinanti o semplicemente scommettere veramente ed investire, sviluppare ed innovare in questo nuovo settore da parte dei vecchi dinosauri energetici.
Chiaro, pulito, sostenibile: grazie Ministro Clini.
Nell’indifferenza degli organi di informazione italiani, oggi si sono riuniti in un vertice a New Delhi i Paesi del cosiddetto BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ossie quelle cinque economie emergenti che rappresenteranno verosimilmente il futuro del nostro pianeta. Tra le altre cose si è parlato anche della creazione di una Banca internazionale – di fatto alternativa alla Banca Mondiale – dedicata al finanziamento di nuove infrastrutture nei Paesi in via di sviluppo. Il silenzio su questo incontro da parte degli analisti italiani, dovrebbe davvero farci riflettere sulla pochezza della politica di casa nostra sempre pronta a stigmatizzare le delocalizzazioni in quelle economie ma incapace di leggere, e di faci comprendere, cosa davvero stia succedendo in quelle parti del pianeta che si stanno attrezzando per emergere dal punto di vista economico, demografico e politico. La globalizzazione, sia quella buona che quella cattiva, deve essere davvero argomento di analisi politica più attenta, visto che già oggi le nostre imprese e il nostro lavoro si stanno confrontando con queste economie. E non stiamo certamente vincendo…
In Italia ne parla indirettamente il Rapporto di Legambiente sui Comuni Rinnovabili, mentre il Francia (come ripresa daEcoblog) ci pensa il Commissariat Général au Développement Durable (CGDD) che pubblica i suoi dati sulla Green Economy: L’economia rinnovabile avanza e non sente le perturbazioni della crisi economica globale in atto. Settori come la cura della qualità dell’aria, il riciclo delle acque, i rifiuti, la bonifica dei suoli, trainano l’economia francese, producono posti di lavoro nuovi di zecca, rinforzano le esportazioni. Numeri interessanti che dovrebbero essere meglio analizzati da chi coordina politiche nel settore pubblico, dalle Università che devono preparare i giovani a risolvere future emergenze e dalle aziende che hanno deciso di riconvertire le proprie attività verso nuovi mercati. Uscire dal ‘900 e dai suo paradigmi economici significa anche questo.
Per lungo tempo dimenticata, la parola crescita è tornata protagonista del dibattito politico italiano. Ripetuta come un mantra, pare che, dopo decenni di indifferenza, finalmente si riscopra una comune consapevolezza che l’unica via di uscita dalla crisi è quella che passa attraverso un virtuoso percorso di crescita della nostra economia. Purtroppo il sostantivo crescita non è però né un mantra né tantomeno una parola magica; non basta ripeterlo in tutte le salse e con le più svariate intonazioni per far si che magicamente la crescita compaia guarendo il Paese dai suoi mali.
Cantiere Italia 2013 ha tra i suoi obiettvi la creazione di un fronte per la crescita, tramite la certezza che questa non vada solo evocata, ma debba essere posta al centro della politica del Paese, progettata, scomposta nei suoi fattori costitutivi per essere successivamente stimolata tramite riforme di lungo termine che vadano ad eliminare i tanti ostacoli sul suo cammino. (Continua a leggere l’articolo di Massimo Brambilla)
Jim Yong Kim è stato scelto da Barack Obama come candidato per la Presidenza della Banca Mondiale. Riporto la nota perchè Yong Kim è internazionalmente conosciuto come uno dei più grandi esperti medici nella lotta di flagelli mondiali come l’Aids e la tubercolosi. La scelta è caduta su di lui tenendo conto delle caratteristiche che la Banca Mondiale ha indicato come importanti nel profilo dei candidati e cioè ” dovrà dimostrare di avere qualità di “leadership”, “esperienza nella gestione di grandi organizzazioni internazionali”, “imparzialità”, “ottime doti comunicative”, “familiarità con il settore pubblico”. Ed io faccio il tifo per lui…
Oscar Giannino è un intelligente liberista non sospetto di simpatie sinistreggianti. Intervenendo sull’attuale discussione intorno alle nuove norme sul mercato del lavoro, segna con matita rossa almeno due punti importanti che rappresentano a suo avviso errori nell’impostazione dell’esecutivo di Monti: la bassa correlazione tra minore flessibilità all’entrata e maggiore in uscita e il mancato abbattimento del cuneo fiscale, che ci dà più bassi salari al più alto costo complessivo. Qui l’intervento su Chicago-blog
Quanto costa non applicare le normative ambientali in Europa? La risposta è arrivata da una comunicazione dal Commissario Europeo per l’Ambiente Janez Potocnik che ha stimato in circa 50 miliardi di euro l’anno tra costi diretti e indiretti (ad esempio danni sanitari) il danno all’economia europea che i cittadini del vecchio continente sono costretti a ripianare. “La normativa UE – ha dichiarato il Commissario Europeo- non è un’invenzione di Bruxelles, ma è democraticamente adottata da tutti gli Stati membri e dal Parlamento, per il beneficio dei cittadini. L’ambiente è protetto da circa 200 atti normativi, che tuttavia troppo spesso non vengono correttamente applicati. Ciò non solo nuoce all’ambiente, ma mette a rischio la salute umana, causa incertezze per l’industria e compromette il mercato unico. Si tratta di costi che non possiamo permetterci in tempi di crisi”.
Il messaggio è che la prevenzione dei danni ambientali costerebbe molto meno rispetto a quanto sia necessario spendere per porre rimedio ai danni. Ad esempio l’applicazione integrale della legislazione UE per i rifiuti potrebbe creare 400.000 nuovi posti di lavoro con costi netti che ammonterebbero a 72 miliardi di euro in meno rispetto alla situazione attuale di mancata applicazione delle norme. La Commissione Europea sottolinea anche come il problema non abbia strumenti di risoluzione “interplanetari” ma competa semplicemente alle autorità nazionali come ai livelli amministrativi regionali e locali. Ed infine “una corretta applicazione implica un’azione di risposta efficace ai problemi ambientali effettivi o potenziali. Tra i suggerimenti per migliorare l’applicazione figurano ispezioni e sorveglianza più efficaci, criteri per il trattamento delle denunce dei cittadini da parte degli Stati membri, un accesso facilitato alla giustizia in materia ambientale, nonché il sostegno alle reti europee di professionisti dell’ambiente. In caso di problemi, i responsabili dell’applicazione delle norme dovrebbero assumere impegni più chiari, con scadenze e parametri di riferimento concreti che possano essere valutati pubblicamente”. Nulla di più, nulla di meno.