(…) Se il territorio è rete esistono territori-rete aperti, che rischiano la concorrenza dei free rider (che ne sfruttano la capacità di generare conoscenza senza restituire altrettanto) e territori-rete densi che rischiano la chiusura. Nel quadro della globalizzazione i territori competono sulla base della loro unicità, ma la precondizione è la connessione. Si formano, con ogni probabilità, diverse missioni – implicite o esplicite – nei diversi territori. E le relazioni che intrattengono con il resto del mondo sono fondate su quelle missioni, mentre i risultati che ottengono sono fondati sulla loro capacità di collegarsi, attrarre risorse, coltivare risorse, esportare. È chiaro che i territori con una missione di hub sono decisivi per una geografia molto ampia e i rischi che corrono si trasmettono ad altri territori che dipendono da loro per la connessione al resto del mondo. (…) Continua a leggere sul sito di Luca De Biase
Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Potrà anche essere effimero e legato alle circostanze, ma sabato scorso in Germania la metà del fabbisogno di energia è stato soddisfatto dalle fonti rinnovabili. Venerdì era già stato raggiunto il 30% del fabbisogno secondo i dati della European Energy Exchange mentre sabato è stato immesso in rete un valore pari a 22 GWh di elettricità, un primato assoluto mai raggiunto in nessun altro Paese. E anche nella landa teutonica non sono mancate le polemiche sul costo data la generosa incentivazione pubblica che, secondo alcune stime, aumenta di 2 centesimi al KWh la spesa energetica. LA risposta, in breve, è stata secca: l’aumento della produzione attraverso il fotovoltaico ha drasticamente abbassato il picco di prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Borsa durante le ore diurne, senza contare le forti ricadute occupazionali ottenute in Germania e gli indubitabili vantaggi ambientali.
Il miglior messaggio della giornata mi è arrivato da Gianluca Susta, europarlamentare, che mi informava che era passata, con larghissima maggioranza, al Parlamento Europeo la risoluzione per l’istituzione di una tassa per le transazioni finanziarie. In sostanza attraverso un’imposizione dello 0,1% per azioni e titoli e dello 0,01% per i derivati si stima la possibilità di raccogliere circa 55 miliardi di € da destinare ad azioni di crescita economica, alla creazione di nuovi posti di lavoro, alla lotta contro i cambiamenti climatici ed altro ancora. Il concetto guida che sottoscrivo è la necessità di far pagare, certamente solo in parte, il costo della crisi a chi fondamentalmente l’ha provocata attraverso meccanismi speculativi, ignorando la necessità di investimenti sull’economia reale rappresentata dal lavoro e dalle attività di produzione. Un aspetto meno conosciuto è la coraggiosa possibilità di procedere con quella che è conosciuta come Tobin Tax, anche in assenza dell’unanimità tra i 27 paesi dell’Unione ma consentendo ad un minimo di 9 paesi di sperimentarla. Allo stesso tempo il Parlamento europeo sollecita comunque i Governi all’adozione del provvedimento proprio per evitare effetti distorsivi sui mercati interni e incoraggiare un accordo più ampio a livello mondiale. Vedremo, a questo punto, la capacità dei Governi europei di raccogliere questa sfida attraverso nuovi strumenti che trovano il consenso di sempre maggiori aree della pubblica opinione a livello continentale.
Bisognerà valutarla nel suo testo finale, ma l’addio al ticket sanitario a favore di una franchigia potrebbe risultare interessante soprattutto per chi usfruisce dei servizi sanitari. Il sistema prevederebbe di abolire esenzioni e ticket così come li abbiamo conosciuti per far posto ad un altro tipo di compartecipazione che prevede ogni anno una spesa massima individuata a seconda del reddito e non più della patologia. Poniamo come esempio quello di due cittadini che guadagnano rispettivamente 40mila e 120mila euro all’anno. La quota i compartecipazione stabilita si aggirerebbe al 3 per mille sul reddito. Il primo pagherebbe in un anno, se fruisce di qualsiasi prestazione che costa di più, 30 euro mentre il secondo fino a 300 euro. Le successive prestazioni oltre quel valore non si pagano. Il sistema sarebbe poi ulteriormente corretto modulando la quota in funzione al numero dei componenti della famiglia e alla presenza di anziani e disabili, oltre alla possibiità di scalare anche le spese verso al sanità privata per evitare la fuga dei redditi più alti verso le strutture non pubbliche e lasciando inveriati i costi di quelle pubbliche. Il sistema effettivamente contiene elementi di equità e omogeneità, tenendo conto del dato attuale dove alla fine un italiano su due non paga ticket e l’esenzione del pagamento per patologia avvantaggia non poco chi ha redditi alti. Semplificando forse in maniera eccessiva si potrebbe dire “pagare meno per pagare tutti”! Tenendo infatti fermo il sistema attuale del ticket che viene pagato ogni volta da chi non è esente, chi ha bisogno di sanità può arrivare a sborsare tra i 500 e i 1000 € l’anno, sistema che non permette certamente un ulteriore aggravio dei ticket così come stabilito, tra l’altro, dalla legge a partire dal 2014. Non da ultimo bisogna sottolineare un certo guadagno in trasparenza dove oggi esistono zone davvero oscure nel capire chi paga e cosa paga. Le prese di posizione contrarie sono certamente da tenere in considerazione e da ascoltare attentamente, anche se sembrano gravate da ideologismo e poco efficienti ed efficaci sia dal punto di vista della pubblica amministrazione, sia dal punto di vista di cosa e quanto pagano i cittadini: lasciando le cose come sono la perdita di equità e l’aggravio per i cittadini sono garantiti.
Un bella provocazione di Dario di Vico pubblicata sul Corriere della Sera del 6 maggio 2012
“(…) La deriva psicologica che sta investendo la parte più debole dei ceti produttivi, dei pensionati e dei disoccupati necessita, qui e subito, di un’azione di contrasto. Senza dividersi tra filo e anti Monti. Bisogna mandare agli uomini soli e dimenticati un messaggio di speranza. “ Ce la puoi fare e noi siamo qui per aiutarti”. Rinunciamo pure ad uno o due dei nostri tanticonvegni autoreferenziali e dedichiamo lo stesso tempo all’ascolto della società fragile. Non sarebbe una cattiva idea che ciò avvenisse persino nella forma di una giornata nazionale di mobilitazione e solidarietà che schierasse nei luoghi del dissagio le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese, il volontariato e il mondo del non profit, la cooperazione, gli psicologi, la Chiesa. Qua e là nei territori iniziative di questo tipo si sono già tenute o sono in preparazione. L’importante è che queste assemblee non si trasformino in tournée oratorie di sindaci, assessori, segretari di qualcosa, esperti improvvisati tutt pronti a sfoggiare una dotta citazione di Emile Durkheim. Piuttosto facciamo parlare chi finora è stato zitto, diamo il microfono agli invisibili. Per troppo tempo abbiamo confuso la coesione sociale con il tavolo della concertazione e poi abbiamo scoperto che non erano la stessa cosa.”
In tempi di prove elettorali è passato in sordina l’incontro alla Fondazione Italiani Europei tra il premio Nobel Joseph Stigliz ed il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti organizzato da Massimo D’alema. Ma le bordate di Stigliz dovrebbero certamente entrare nel dibattito politico italiano ed europeo con maggior forza adesso che spira in Europa un vento, se non contrario, certamente proveniente da altre direzioni. Perchè il Nobel continua ostinatamente a ripetere che la politica di austerity europea non funziona e non funzionerà nemmeno in futuro, anzi ci condurrà a crisi più profonde. Perchè anche dal punto di vista dei rientri del debito pubblico non sta dando i risultati sperati, cioè l’agognato pareggio. Ed allora la proposta di politica fiscale espansiva senza maggiore deficit pubblico: aumenti della tassazione, certamente, ma i cui proventi devono essere destinati a pagare spesa pubblica e non debito. Oppure tagli agli sprechi che non devono comunque generare maggiore austerità ma maggiore domanda. Perchè poi, alla fine, senza toccare il deficit, il Pil sale facendo scendere anche i rapporti deficit e debito su Pil. Ed anche tasse e spesa pubblica che devono ridurre le diseguaglianze che in questa fase economica distruggono la crescita. Monti non ha opposto molto. Ma l’aspetto che mi è piaciuto maggiormente del bombardamento di marca Stigliz è quello su un aspetto dello “spreco” che dovremmo meglio mettere a fuoco: quello delle risorse naturali, materiale ed umane, che avevamo in passato e che non stiamo più utilizzando causa crisi. Sarebbe per Stigliz l’austerità che tiene vivi questi sprechi. E tutti i giovani che oggi non lavorano e che lo troveranno tra molti anni a salari più compressi perchè avranno disimparato a fare e avranno perso l’orgoglio e la voglia di emergere. Ecco gli sprechi che davvero anche noi vorremmo tagliare.
Un Oscar Giannino in grande forma discute e commenta favorevolmente il voto contrario di Nicola Rossi, Presidente dell’Istituto Bruno Leoni e vicino a Italia Futura, alla riforma del lavoro di Monti, dimostrando la necessità di tagli di spesa, l’inadeguatezza del sussidio alla disoccupazione e altre cosette al grido di “meno spese per meno tasse”
Ho appena appreso con soddisfazione che domani il senatore Nicola Rossi, presidente dell’Istituto Bruno Leoni, annuncerà motivando in un’intervista al Sole il suo no alla riforma del mercato del lavoro. Per come essa ha preso forma definitiva ieri, io non la voterei. Resta tutto il giro di vite alla flessibilità in entrata, mentre il giudice con la sua piena discrezionalità domina in ogni forma di licenziamento. Il finanziamento al sussidio universale di disoccupazione resta largamente inadeguato a renderlo appunto universale. I contributi salgono, invece di scendere per il lavoro e per l’impresa. In più, sui aggiunge come pessima trovata dell’ultimora la nuova sberla di due euro di tassa aggiuntiva per ogni passeggero aereo, e di dieci punti in più per i proprietari di casa che non affittino a cedolare secca: nuove sberle fiscali per prendere dove si può, uno schifo ve-ro! Non credo che ne verrà più occupazione, e spero di sbagliarmi perché Dio solo sa se ce ne sarebbe bisogno. I toni di Monti anche stamane mi sembrano sempre più enfaticamente simili a quelli berlusconiani. Questo in sintesi il mio giudizio. (Continua qui)
La politica, se vuole essere politica, ha bisogno di confrontarsi sempre con dati certi. L’occasione ci viene data dalla pubblicazione del “paper” di Giovanni D’alessio per la serie “Questioni di Economia e Finanza” della Banca d’Italia (Qui in formato pdf)
Il lavoro, dopo aver illustrato l’andamento della ricchezza complessiva delle famiglie in Italia dal 1965 al 2010, esamina come i livelli di disuguaglianza della ricchezza si siano evoluti nel corso del tempo. Secondo la ricostruzione effettuata, la disuguaglianza nella ricchezza avrebbe interrotto il suo trend decrescente all’inizio degli anni novanta, per poi risalire su livelli più elevati alla fine del secolo, mantenendosi poi stabile negli anni a seguire. Nel panorama internazionale, l’Italia non sembra caratterizzata da una disuguaglianza particolarmente elevata della ricchezza (a differenza di quanto invece si riscontra per il reddito). Il lavoro fornisce inoltre evidenza di come la distribuzione della ricchezza si sia modificata nel corso del tempo a favore delle famiglie composte da anziani e a sfavore di quelle composte da giovani. Il capitolo esamina infine il tema dell’origine della ricchezza (risparmio, doni ed eredità, e variazioni di valore dei beni posseduti); le evidenze disponibili sono discusse anche in relazione alle opinioni rilevate presso i cittadini con specifiche indagini statistiche.
Un libro davvero fondamentale “Terremoti Finanziari” di Raghuram G. Rajan – ed. Einaudi – per capire cosa sta succedendo, quali sono le fratture, le “faglie” ancora nascoste che è necessario comprendere per non ricadere, qual è il ruolo dei governi, perchè è fondamentale investire nella formazione e nella costruzione di un cittadino forte e sano, al di là di ideologie che non riescono più a farci leggere la realtà.
” (…) Dobbiamo anche riconoscere che una buona economia non può essere separata da una buona politica – e questa, forse, è la ragione per cui un tempo la teoria economica era nota come economia politica. L’errore degli economisti è stato credere che, una volta sviluppato un forte telaio di istituzioni all’interno di un Paese, le influenze politiche al suo interno si sarebbero stemperate e il Paese si sarebbe emancipato per sempre da una condizione “in via di sviluppo”. Ma dovremmo ora ammettere che istituzioni quali i regolamentatori hanno influenza soltanto finché la politica è ragionevolmente ben bilanciata. L’esistenza di squilibri profondi, come per esempio la disuguaglianza, può provocare ondate politiche in grado di superare i vincoli di qualsiasi istituzione. E, se comincia ad applicare politiche squilibrate, un Paese può tornare a condizioni in via di sviluppo indipendentemente dal grado di progresso delle sue istituzioni (…)”