Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Tasse sull’energia

Greg Mankiw riprende nel suo blog (Greg Mankiw’s Blog: Several billion join the Pigou Club) una interessante relazione curata dalla BBC World sulla disponibilità della popolazione mondiale all’aumento degli introiti fiscali sull’energia con la contestuale riduzione di altre imposte o il finanziamento di altri programmi governativi sulle energie rinnovabili.
Interessante notare come la disponibilità cresca introducendo la clausola che i ricavi siano dedicati ad aumentare l’efficienza energetica e lo sviluppo di fonti di energia alternativa che non abbiano effetti sul cambiamento climatico e se, mantenendo lo stesso livello totale di pressione fiscale, vengono aumentate quelle sull’energia e diminuiti altri tipi di prelievo fiscale.
Come già segnalavamo nel post del doppio dividendo, questo tipo di ridistribuzione della tassazione oltre ad essere meno “distorsivo”, può avere effetti positivi sul costo del lavoro, sulla stabilizzazione dei lavoratori precari e sul mantenimento dei livelli di occupazione.

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Tassa sulla congestione o sull’inquinamento?

Tra le diverse notizie sulle limitazioni del traffico a Torino causa smog, mi sembra che la più importante continui a non aver catturato la giusta attenzione. Si tratta dell’introduzione, prevista per il prossimo anno, per la città di Torino del cosiddetto road pricing.
Personalmente in tempi non sospetti avevo già sostenuto questa norma, ma ritengo utile chiarire alcuni aspetti che non potranno certamente esaurirsi in questa breve nota, ma che tenterò anche successivamente di sviluppare.
Concentrandoci sul costo-beneficio di questa norma dovremmo più precisamente parlare di “congestion charge” rispetto alla “pollution charge”. Il problema vero anche dell’inquinamento è infatti il congestionamento del traffico, che è provocato anche dai mezzi con emissioni ridotte.
Infatti considerando i diversi fattori che producono inquinamento, il maggiore contributo sembra essere dato proprio dal numero dei mezzi circolanti, oltre al numero dei Km da essi percorsa.
Riprendendo un’analisi di Panella “Le strade costituiscono un esempio di bene per cui l’offerta non è adattabile alle esigenze poste dalla domanda e godono della caratteristica di fornire servizi che sono simultaneamente goduti da più utilizzatori senza provocare una diminuzione del benessere. Tuttavia, dopo un certo livello, esse sono caratterizzate da rivalità nel consumo e assumono la caratteristica di beni pubblici congestionati. Il tempo perso dalla collettività dovuto al congestionamento è un costo esterno: per le imprese diretto, mentre per le famiglie è un mancato beneficio che sarebbe potuto derivare destinando il tempo ad altre attività. Ogni nuovo consumatore non solo sopporta un costo crescente, ma fa aumentare il costo sopportato dai consumatori precedenti. L’equilibrio di mercato – cioè il flusso di traffico – ha luogo sulla base del costo privato ed è quindi eccessivo, per cui occorre far sopportare ai consumatori privati il costo sociale delle loro azioni”.
In sostanza il livello di traffico generato dal mercato non è ottimale: esso non consente alla collettività di trarre il massimo vantaggio. La congestione alimenta ed alimentata anche da un uso eccessivo del trasporto privato, che danneggia il trasporto pubblico – svolto con mezzi ingombranti – con calo della sua domanda ed aumento del costo per il TPL. Il problema dell’uso dei carburanti alternativi o dell’idrogeno non è infatti particolarmente efficiente nel ridurre l’inquinamento da congestione.
Arrivando per inciso anche al paradosso che la diminuzione dell’inquinamento non porta di per sé alla diminuzione della congestione mentre è vero il contrario: la diminuzione della congestione porta a riduzione dell’inquinamento.
Quindi attenzione anche a come si disegnerà il provvedimento: l’efficienza crollerà se non verrà esteso a tutte le auto, e non solo a quelle più inquinanti; i proventi dovranno essere investiti nel TPL che dovrà essere potenziato anche agendo con tariffe o forme di abbonamento sostenibili.

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Doppio dividendo e busta paga

L’ambiente può diminuire la distorsione causata dalle tasse sul sistema economico e sul benessere dei lavoratori oltre a favorire l’occupazione. Un percorso non semplice, un’idea non nuova, ma una direzione da intraprendere.
Seguiamo in questo caso il filo logico seguito da Giorgio Panella (Economia e politiche dell’Ambiente) al cui testo rimando. Il prelievo fiscale determina un cuscinetto fra ciò che le persone sono disposte a pagare e il prezzo che realmente dovrebbe essere pagato.
Si arriva quindi a ridurre, rinunciare a comprare beni o servizi. Oltre a questo effetto – chiamato effetto reddito – si hanno anche altre distorsioni nelle scelte provocate dalle alterazioni dei prezzi – effetto sostituzione -.
Non tutti i prelievi provocano queste distorsioni in quanto molti provocano solo un effetto reddito con diminuzione della capacità di comprare, senza influenzare il comportamento degli individui. Le tasse ambientali determinano invece degli effetti sostanzialmente positivi sul sistema economico: agiscono sulle distorsioni di mercato eliminandole e producono un gettito che può essere utilizzato per ridurre il peso dei prelievi distorsivi.
Sta in questo il motivo per cui si parla di doppio dividendo: il primo dividendo è dato dal miglioramento ambientale che consegue alla riduzione delle cosiddette esternalità (vedi post Nobel…) ed il secondo corrisponde alla riduzione delle distorsioni causate dalle tasse che vengono ridotte.
Questo sistema determina anche degli aggiustamenti negli altri mercati che comportano un miglioramento del benessere economico conseguente ad una ricollocazione delle risorse nell’intero sistema economico. Attraverso la sostituzione dei prelievi fiscali distorsivi con le tasse ambientali si ottiene un sistema fiscale più efficiente in grado di minimizzare i costi addizionali derivanti dalla tassazione.
Tutto ciò comunque è vincolato al fatto che il gettito delle tasse ambientali deve essere utilizzato per ridurre le imposte sui redditi da lavoro o gli oneri sociali per cui dalla loro sostituzione si otterrebbe un cosiddetto dividendo occupazionale.
L’idea di sostituire parzialmente le imposte dirette gravanti sul lavoro con quelle ambientali in modo da favorire l’occupazione e la protezione ambientale è contenuta persino sul Libro Bianco dell’Unione Europea su Crescita, competitività e occupazione.
Sicuramente non vanno trascurati problemi quali l’entità del gettito delle tasse ambientali che può anche essere funzionale al consumo del bene tassato, anche se tale tendenza normalmente si produce nel medio-lungo termine.
Chiaramente esistono anche altri fattori per cui possiamo dire che è necessario affrontare empiricamente l’applicazione del doppio dividendo. Credo si possa avanzare la possibilità di una discussione anche su questo tema.

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Economia dell’ambiente

L’ampio spazio che il tema dell’ambiente si è guadagnato anche nei media tradizionali non sembra convincerci del fatto che siamo vicini ad una soluzione del problema. Al contrario analisi discordanti e ricette varie forse complicano le nostre sensazioni e ci restituiscono al nostro precedente senso di incapacità, impotenza. Nella stessa comunicazione iniziano a manifestarsi falle pericolose che vanno dalle solite contrapposizioni tra esperti sui dati alla produzione di un’apatia diffusa come reazione al catastrofismo.
Chi si occupa d’ambiente registra, sempre più, una strana anomalia. Pur facendo la parte del leone in quasi tutte le nostre attività, l’economia o meglio gli economisti rappresentano la voce più flebile. Ciò potrebbe indurci in sospetto, visto che gli stessi spesso ammettono che l’ambiente rappresenta uno dei “fallimenti del mercato” dove il liberismo non trova spazio di manovra. Personalmente credo che la scarsa conoscenza del livello economico applicato all’ambiente sia invece una grave mancanza, una linea di sviluppo necessaria e mancante imprescindibile. E non sto solo parlando di “semplici” applicazioni come le analisi costo-beneficio, ma dell’economia più profonda. Per intenderci quella che ci fa riflettere sul come ripartire tra usi alternativi le risorse che una società possiede e che ci mostra le possibili cause che determinano l’attuale situazione di scarsa efficienza nel loro impiego.
Un’economia dell’ambiente che ci spiegherebbe perché proprio quella parte dell’industria che accusa la politica di non possedere una visione economico-aziendalistica, preferisca l’attuale sistema di “comando-controllo” con limiti di emissione e scarse sanzioni contro l’uso da parte dell’Amministrazione di veri e propri strumenti economici che le indurrebbe a cambiare approccio nella produzione dell’inquinamento. Che metta alla frusta ipotesi poco fattibili e fantasiose che non tengono conto dello stato attuale delle cose e che ci farebbero magari risvegliare in un mondo dove la mobilità è solo animale o in una eco-dittatura insostenibile.
Questa è solo una parte del problema, ma ne è un passaggio ineliminabile. Anche nel momento in cui abbozzassimo una forma di mondo a noi gradito, la traduzione di questo non può saltare l’economia. Le stesse politiche dovranno sempre più confrontarsi ed usare strumenti economici. L’economia ambientale è uno dei campi veri su cui si giocheranno anche nuove capacità amministrative. Questo è l’impegno che tenteremo di sviluppare in queste pagine.

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