Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Sanità ed Istruzione come volani antirecessivi

Avere una forza lavoro ben pagata, con un più alto livello di benessere fisico ed un maggior livello di istruzione, rende i lavoratori più produttivi e il paese più ricco. Insomma, mentre i responsabili della politica economica europea si concentrano esclusivamente sui tagli alla spesa pubblica, ignorando gli effetti depressivi che questi in generale hanno sulla domanda aggregata, l’esperienza cinese degli ultimi decenni ci insegna che è particolarmente importante sostenere il settore dell’istruzione e della sanità (…).

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Intesa Fiat-sindacati per la produzione della Panda a Pomigliano

Roma, 9 lug. – (Adnkronos/Labitalia) – La Fiat e le organizzazioni sindacali Fim-Cisl, Uil-Uilm e Fismic, al termine di un incontro tenutosi oggi a Torino, hanno convenuto di dare attuazione all’accordo raggiunto il 15 giugno scorso per la produzione della futura Panda a Pomigliano d’Arco. Lo comunica, in una nota, la casa automobilistica torinese.
Alla riunione erano presenti, tra gli altri, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti, e l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne. L’Ugl, firmataria anch’essa dell’accordo del 15 giugno, non ha partecipato all’incontro di oggi, ma aveva già incontrato l’azienda in precedenza.
Tutti i firmatari dell’accordo, come si legge nella nota, “considerando che la grande maggioranza dei lavoratori ha dato il proprio assenso con il referendum, hanno convenuto sulla necessità di dare continuità produttiva allo stabilimento e a tutto il sistema della componentistica locale, offrendo così prospettive future ai dipendenti dell’impianto di Pomigliano”
“L’azienda e le organizzazioni sindacali che hanno firmato l’accordo – si legge ancora nella nota – si impegneranno per la sua applicazione con modalità che possano assicurare tutte le condizioni di governabilità dello stabilimento”.
“L’esecuzione di questo accordo nei tempi e nei termini concordati – conclude il comunicato della Fiat – è la condizione necessaria per la continuità dell’impegno della Fiat nella realizzazione del progetto ‘Fabbrica Italia’”.
“Il governo saluta con grande soddisfazione la decisione delle parti firmatarie dell’accordo, relativo a nuovi investimenti per la produzione di vetture Panda a Pomigliano, di procedere all’attuazione dell’accordo stesso”, ha commentato il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi.
“Si tratta di una decisone altamente significativa -continua- per l’interesse nazionale e per quello in particolare del Mezzogiorno non solo perche’ rappresenta un consistente investimento destinato a garantire grandi volumi di lavoro ma anche perche’ esso e’ per la prima volta il frutto non di interventi pubblici ma dell’autonoma capacita’ delle parti sociali di creare condizioni tali da rendere conveniente lo stesso investimento”.
“L’accordo corrisponde pertanto a quell’idea di sussidiarieta’ in favore della duttile capacita’ delle parti sociali di adattarsi reciprocamente nelle diverse situazioni aziendali e territoriali che il governo e’ ulteriormente impegnato a promuovere attraverso l’ormai prossimo Piano triennale per il lavoro. Perdono tutti i profeti di sventura che ogni giorno hanno, come al solito, scommesso sul declino del Paese”, ha concluso Sacconi.
“E’ una svolta che senza enfasi si puo’ definire storica sia per le relazioni industriali sia per tutta l’economia italiana. Un segnale positivo di fiducia nei confronti del Mezzogiorno che ne ha tanto bisogno in questo momento, ma anche per tutto il sistema produttivo italiano”. Questo il commento del segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che ha partecipato oggi all’incontro a Torino tra Fiat e sindacati, sull’avvio operativo dell’accordo sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, sottoscritto il 15 giugno scorso.
“Nonostante tutti i profeti di sventura e le chiusure ideologiche e politiche di una minoranza rissosa -ha continuato Bonanni- la Fiat non si e’ tirata indietro confermando gli impegni per Pomigliano. E’ anche la migliore risposta a una politica che si divide e fa fatica a cogliere gli interessi nazionali. La Fiat dimostra invece -ha aggiunto- con senso di responsabilita’ che si puo’ investire bene nel nostro paese”.
“Anche sul piano internazionale e’ una iniezione di fiducia positiva per tutto il ‘made in Italy’. Spero che altre imprese -ha concluso il leader della Cisl- seguano l’esempio della Fiat di riportare le produzioni in Italia, sfidando chi pensa di poter risollevare le sorti del nostro paese solo con le chiacchere”.
“A seguito dell’incontro con i vertici della Fiat, svoltosi questa mattina al Lingotto a Torino, abbiamo convenuto che l’accordo siglato lo scorso mese di giugno sara’ applicato. Il progetto va avanti”. Cosi’ in una nota il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. “Grazie alla nostra intesa -ha concluso Angeletti- la Panda sara’ prodotta nello stabilimento di Pomigliano”.
“La Fiat ha scelto di procedere con le altre organizzazioni sindacali sulla base dell’accordo separato che contiene deroghe al contratto nazionale, alle leggi e violazioni costituzionali, che puo’ aprire la strada alla demolizione del contratto collettivo nazionale e un peggioramento delle condizioni di lavoro. Cio’ puo’ contribuire al progetto del governo di smantellamento dello Statuto dei lavoratori”. Cosi’ Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, e’ intervenuto, in una nota, sull’intesa tra Fiat e e sindacati Fim-Cisl, Uil-Uilm e Fismic per l’avvio operativo dell’accordo sul sito Fiat di Pomigliano d’Arco, siglato lo scorso 15 giugno, ma non dalla Fiom.
“Si e’ convenuto di dare seguito all’accordo del 15 giugno scorso riguardante il progetto ‘Futura Panda a Pomigliano’ decidendone l’avvio operativo. A tale scopo si attiveranno delle riunioni, in tempi brevi, per attuare il progetto”. Cosi’, in una nota unitaria, le segreterie nazionali di Cisl, Uil, Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fismic hanno commentato l’esito dell’incontro svoltosi oggi a Torino tra la Fiat, le segreterie nazionali dei sindacati di categoria, e i segretari generali di Cisl, Raffaele Bonanni, e Uil, Luigi Angeletti, sul futuro dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Per la Fiat era presente l’amministratore delegato, Sergio Marchionne.
“In questo modo -si legge ancora nella nota dei sindacati- si raccoglie anche il grande consenso dei lavoratori ottenuto nel referendum del 22 giugno. L’avvio dei piani operativi su Pomigliano consentira’ anche lo sblocco del piano complessivo della Fiat sugli altri stabilimenti italiani, finalizzato all’incremento delle produzioni e alla stabilizzazione dell’occupazione, denominato ‘Fabbrica Italia’. Le organizzazioni sindacali -conclude la nota- esprimono grande soddisfazione e si ritengono impegnate nel massimo sforzo in questa grande opportunita’ per i lavoratori italiani della Fiat e del Paese”.
“Siamo riusciti a ottenere lo sblocco dell’investimento della Panda per Pomigliano. Marchionne ci ha detto che l’investimento e’ sbloccato gia’ da ieri. E’ un impegno reciproco per portare la Panda a Pomigliano, un impegno molto forte di Fiat, che da’ il via anche agli investimenti sugli altri stabilimenti”, ha detto all’ADNKRONOS Rocco Palombella, segretario generale della Uilm, secondo cui si tratta di ”una giornata importante”
”Marchionne ha confessato durante l’incontro di essere stato molto combattuto in questi giorni, di aver valutato e aver detto: ‘Io mi sento italiano a tutti gli effetti, un non accordo sarebbe un disastro per Pomigliano e per l’Italia intera’. Vuole il coinvolgimento dei lavoratori -ha sottolineato Palombella- ha voluto sapere se eravamo d’accordo a condividere un’avventura del genere”.
”Il Gruppo Fiat ha dato seguito alla firma dell’accordo anche per rispetto dei lavoratori della fabbrica di Pomigliano. La decisione a cui si e’ arrivati oggi e’ importante inoltre per la salvaguardia dell’occupazione nell’intera regione. A questo punto sara’ ancora piu’ necessario un forte senso di responsabilita’ da parte di tutti affinche’ non si verifichino rallentamenti nell’attuazione del progetto di Pomigliano e di conseguenza quello di Fabbrica Italiana”, ha affermato il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella.

Il minimo comun denominatore possibile delle opposizioni.

A livello nazionale e locale, esiste una discussione sulla capacità delle opposizioni di unirsi e dare una prospettiva politica a tutti coloro che, con la propria “astensione” attiva, più che far vincere il centrodestra sembrano aver fatto perdere il centrosinistra. Nasce così un florilegio di temi su cui non sembra possa raggiungersi una vera sintesi, ma di cui la vera essenza è che poco interessano i cittadini che vorrebbero conquistare. Credo che il tema che continua ad interessare gli elettori del nostro Paese sia relativo alla perdita di potere economico, sia che si voglia leggere come perdita di posti di lavoro o di potere d’acquisto. Il resto rientra nella categoria “fuffa”. Su quali temi creare quindi una unità di forze politiche? Lasciando perdere la “fuffa” credo potrebbe essere apprezzato un cartello di forze politiche che si batta per politiche economiche di espansione – quelle che una volta si chiamavano keynesiane – rovesciando le screditate teorie economiche di depressione e di tagli delle destre; una nuova regolamentazione della finanza; una maggior capacità di controllo democratico sulla politica della banca centrale europea. Come alcuni ricordano, questo è quello che, al contrario, hanno fatto piccole e grandi banche, operatori ed agenzie finanziarie e via discorrendo, unendosi e lasciando indietro futili differenze contro la politica di regolamentazione che era stata tentata dall’amministrazione americana poco tempo fa: hanno vinto unendosi sotto l’egida della finanza, anche politicamente riuscendo a disgregare la sponda opposta. Bisognerebbe lasciare perdere le inutili discussioni sul nulla delle opposizioni e iniziare a ragionare di unità d’azione proprio su questi temi economici, che poi rappresentano gli attuali profondi bisogni di operai, disoccupati e professionisti, L’unione insomma tra merito e bisogno.

Lettera degli economisti

LA POLITICA RESTRITTIVA AGGRAVA LA CRISI, ALIMENTA LA SPECULAZIONE E PUO’ CONDURRE ALLA DEFLAGRAZIONE DELLA ZONA EURO. SERVE UNA SVOLTA DI POLITICA ECONOMICA PER SCONGIURARE
UNA CADUTA ULTERIORE DEI REDDITI E DELL’OCCUPAZIONE

 Ai membri del Governo e del Parlamento
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea
Ai rappresentanti delle forze politiche e delle parti sociali
Ai rappresentanti italiani presso le Istituzioni dell’Unione europea e del SEBC
E per opportuna conoscenza al Presidente della Repubblica

La gravissima crisi economica globale, e la connessa crisi della zona euro, non si risolveranno attraverso tagli ai salari, alle pensioni, allo Stato sociale, all’istruzione, alla ricerca, alla cultura e ai servizi pubblici essenziali, né attraverso un aumento diretto o indiretto dei carichi fiscali sul lavoro e sulle fasce sociali più deboli.

Piuttosto, si corre il serio pericolo che l’attuazione in Italia e in Europa delle cosiddette “politiche dei sacrifici” accentui ulteriormente il profilo della crisi, determinando una maggior velocità di crescita della disoccupazione, delle insolvenze e della mortalità delle imprese, e possa a un certo punto costringere alcuni Paesi membri a uscire dalla Unione monetaria europea.

Il punto fondamentale da comprendere è che l’attuale instabilità della Unione monetaria non rappresenta il mero frutto di trucchi contabili o di spese facili. Essa in realtà costituisce l’esito di un intreccio ben più profondo tra la crisi economica globale e una serie di squilibri in seno alla zona euro, che derivano principalmente dall’insostenibile profilo liberista del Trattato dell’Unione e dall’orientamento di politica economica restrittiva dei Paesi membri caratterizzati da un sistematico avanzo con l’estero.

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Finanziaria 2010: il Governo colpisce la produzione di energia rinnovabile

Il governo getta la maschera e colpisce, mediante la Finanziaria, le fonti di energia rinnovabile. Sono due gli articoli da tenere d’occhio il 15 che impone agli impianti idroelettrici di grande derivazione un nuovo canone e il 45 che cancella l’obbligo da parte del Gestore dei Servizi Elettrici (GSE) di ritirare i Kw in esubero prodotti. Lo smascheramento a favore della costruzione del nucleare e l’abbattimento della produzione delle rinnovabili è dato dal fatto che le misure citate non costituiscono nessun vantaggio per le casse dello Stato, ma al contrario rinunciano ad eventuali gettiti fiscali. L’associazione dei produttori di energia da fonti rinnovabili (APER) segnala inoltre la “forte turbativa che tali provvedimenti creano negli istituti di credito, con conseguente perdita di credibilità del Sistema Paese nei confronti del mondo finanziario”. Inutile inoltre ricordare il colpo inferto allo sviluppo dei Green Jobs, i lavori verdi, che sicuramente perderanno terreno e allontaneranno il nostro Paese dalle possibili 300.000 nuove unità lavorative che si potrebbero immettere sul mercato del lavoro.


Tasse ecologiche in Francia

piantina piccolaFa sicuramente un certo effetto, almeno al lettore italiano, che nell’edizione di sabato 9 gennaio, Le Monde dedichi due pagine centrali al dibattito in corso in Francia sulla tassazione delle emissioni di carbonio come strumento per far fronte al riscaldamento climatico. Articoli di ottima qualità dove si confrontano Chantal Jouanno, segretaria di stato   per l’ecologia; Michel Rocard, Presidente della commissione d’esperti sulla contribuzione clim-energia e già Primo Ministro; Segolene Royale, Presidente della Regione Poitou-Charentes, già ministro dell’ecologia e sfidante di Sarkozy alle ultime presidenziali francesi, Yves Martin, Menbro della commissione di esperti sulla contribuzione clima-energia ed altri. Se la discussione non è nuova in Francia, che ha comunque preso sul serio il problema e giustamente dibatte non su argomenti astratti ma su uno dei pochi strumenti veramente efficaci quale quello d’intervenire attraverso strumenti economici per tentare di limitare le emissioni climalteranti, il motivo di questo ritorno di discussione è dato dalla decadenza del provvedimento voluto dal Presidente Sarkozy che appunto varava un sistema di tassazione in questo senso. Il decadimento del provvedimento è stato dichiarato dall’equivalente della nostra Corte costituzionale e porterà alla necessità di riproposizione della legge da parte del Governo francese entro il 20 gennaio prossimo venturo. Invitando quindi coloro possono leggere i testi su Le Monde di sabato 9 alle pgg 20 e 21 – con la promessa di tentare a breve una traduzione per chi non potesse procurarsi gli articoli – è simpatico segnalare la ragione per cui la Corte Costituzionale ha bocciato il provvedimento. Il “Conseil” francese, infatti, non si è pronunciato sullìopportunità di introdurre la tassazione ecologica, ma ha semplicemente ricordato che la legge votata dal Parlamento non è conforme alla Costituzione francese perchè prevede troppi esoneri, rendendo di fatto lo strumento nettamente meno efficace rispetto alla proposta iniziale del “rapporto Rocard”, come ricordato nell’articolo iniziale. Il corto-circuito personale corre alle iniziative che anche localmente si è tentato di introdurre nella nostra realtà torinese e piemontese con strumenti sicuramente meno pesanti rispetto all’introduzione di nuove tassazioni e dove la critica più forte era quella di non prevedere sufficienti esoneri delle diverse categorie. Anche se la lettura del provvedimento mi portava personalmente a credere che le esenzioni fossero sicuramente troppe. Credo sia necessario imparare questa lezione di governo amministrativo, che per forza di cose appare diametralmente opposta alla logica dell’aiutino ormai prevalente nel nostro Paese a diversi livelli e che esula dal condividere o meno lo spirito delle norme proposte per cui deve valere il pur aspro confronto politico, senza annacquare in estenuanti compromessi che uccidono le norme stesse. Si discuta, ci si confronti, si corregga dove è necessario, ma una volta deciso si agisca, facendo in modo che il giusto compromesso non diventi un espediente politico.

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Carbon Tax: i Ministri delle Finanze europei discutono sul cambiamento climatico

fumiMentre l’Italia è distratta da altre faccende è in corso, in Europa, un’importante discussione che non trova pressochè riscontro nei nostri organi d’informazione. Per contrastare il cambiamento climatico, infatti, si sta facendo sempre più strada l’idea di ricorrere ad una cosiddetta “Carbon Tax” che ha trovato l’attenzione dei ventisette  Ministri delle Finanze europei all’ultimo vertice di Goteborg tenutosi il 2 ottobre scorso. Il modello prende ispirazione dall’esempio svedese, paese che attualmente presiede l’Unione Europea e che, attraverso il proprio Ministro delle Finanze Anders Borg, lo rilancia affermando che è “un’ottima risorsa ed un modello molto efficace per ridure le emissioni di CO2”. La discussione sulla tassa del carbonio si è fatta molto viva recentemente in Francia, quando lo stesso Presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato la propria volontà di intraprendere questa strada. Chiaramente introdurre una norma del genere in tempi di crisi finanziaria non è semplice. Questo tipo di azione, però, possiede diversi aspetti positivi che stanno sempre più guadagnando il consenso degli esperti del settore sia di estrazione economica che di provenienza ambientalistica. Oltre l’efficacia, infatti, agli occhi dei promotori questo tipo di tassazione rappresenterebbe il miglior modo di ripartire in maniera equa il peso delle risorse necessarie per affrontare la lotta al riscaldamento globale. Ma a queli conclusioni sono giunti i “27”? Innanzitutto esiste il problema dei Paesi ancora indietro nello sviluppo industriale, che non sono disponibili a lasciare un vantaggio economico ai Paesi maggiormente sviluppati, per cui i vertici della politica economica europea si sono resi disponibili a riequilibrare le differenze che tale tassazione, almeno inizialmente, apporterebbe ai paesi maggiormente sviluppati, mettendo a disposizione una cifra variabile tra i 2 e i 15 miliardi di euro, a condizione però che si raggiunga un accordo forte alla conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici del prossimo dicembre. La discussione europea sul meccanismo della tassa, mette in gioco comunque tutti i settori di attività, compresi quelli del trasporto e dell’agricoltura attualmente non compresi nel meccanismo dello scambio di quote d’emissione di CO2. L’idea in discussione è quella di una tassazione che si appoggerebbe prevalentemente sulla revisione del quadro comunitario concernente la fiscalità sull’energia. Le maggiori riserve sembrano al momento provenire dall’Austria e dalla Gran Bretagna, anche se la discussione è in campo e non sembra impossibile che la stessa Commissione possa fare una concreta proposta già nel corso del 2010.

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Ambiente e costi dell’industria

Estremamente interessanti alcuni dati citati da Rolando Polli nel suo articolo comparso su Nova del 20 novembre ’08 riguardanti il rapporto tra industria e costi ambientali. A partire da scenari abbastanza noti. Per raggiungere gli obbiettivi europei su risparmio energetico e incremento delle rinnovabili, il Governo italiano stima un impegno di 18 miliardi € l’anno (1,14% del Pil), mentre secondo l’Unione europea (UE) ne basterebbero 10. Il terzo incomodo sarebbe rappresentato dalla Mc Kinsey (dato non pubblicato) che stima una curva dei costi di abbattimento della CO2, che include anche i benefici oltre i costi, di circa 4 miliardi l’anno.
Ancora interessante è considerare altri lati del problema, per capire se l’ambiente ha rappresentato un effettivo freno nello sviluppo. Nel periodo 2000-2007 l’Italia infatti ha registrato la crescita economica più bassa tra i paesi industrializzati: 1,1%. Sembra difficile imputare questa bassa crescita ad esempio a tentativi di raggiungimento di abbattimento della CO2. Infatti di fronte alla richiesta UE di ridurre i gas serra del 6,5% rispetto al 1990, l’Italia ha lasciato che le emissioni aumentassero invece del 12,5%. Anche perché rimane sprorzionato il confronto con altri 3 Paesi che sicuramente sono cresciuti più del nostro, ma che hanno raggiunto risultati impensabili:Germania diminuzione del 18,7% (richiesta 21%); Gran Bretagna diminuzione del 15,7% e Francia, per certi versi più simile a noi, diminuzione del 1,9%. Non sembra quindi che raggiungere obbiettivi di diminuzione della CO2 porti a bassa crescita. Anche perché questi Paesi hanno considerato l’industria “verde” come opportunità. Come chiamare infatti i 259 mila dipendenti nel settore delle rinnovabili in Germania nel 2006 oppure gli 89 mila spagnoli del 2007?
E non stiamo parlando di produzioni marginali, di nicchia, ma di veri e propri colossi. La produttrice di turbine eoliche danese Vestas capitalizza, con la borsa ai minimi odierni, 5,9 miliardi € ed impiega 17 mila persone; La spagnola Gamesa dà lavoro a 7 mila dipendenti e vale 3 miliardi €; le tedesche Enercon, Nordex e Repower impiegano 11 mila persone. Q-cells e Solarworld (Germania) producono celle solari e danno lavoro a 3 mila dipendenti e valgono 6 miliardi €, mentre la Rec (Norvegia) che tratta wafers di silicio vale 4 milirdi € ed impiega 2.200 dipendenti. Non addentriamoci in Cina e Giappone. In Italia possiamo dire che per trovare qualcosa di significativo dobbiamo rivolgerci ad Actelios, Greenvision o Erg renew che valgono tra 1 100 ed i 170 milioni (non miliardi!).
In sostanza la recessione, il basso sviluppo, la crisi finanziaria mordono dapperttutto, ma facendo le debite proporzioni rimane poco comprensibile perché i diversi Paesi abbiano modalità di approccio diverse e, conseguentemente, risultati assai diversi. Una cosa però non possiamo non dire: il costo per raggiungere certi risultati ambientali non rappresenta il freno a mano dello sviluppo del nostro e degli altri Paesi.

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Principi (animati) di economia

Dal blog di Greg Mankiw…
 

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Acqua: quando la politica è ignorante

Sul sole 24 ore del 6 novembre è comparsa una lettera del Presidente della Commissione Bilancio del Senato, On. Enrico Morando, che tra le altre cose, segnala in un passaggio, come positiva la soppressione delle Autorità d’Ambito (ATO) del servizio idrico. Colpisce la scarsa conoscenza del problema del sistema idrico e un furore fuori luogo che oltre a cancellare le positività di molte esperienze in merito, fa compiere un errore marchiano alla politica. Porto un esempio concreto che è quello dell’ATO 3 torinese. Dal punto di vista dei costi i componenti della Conferenza deliberante non percepiscono nessun tipo di compenso né gettoni di presenza, ma solo un rimborso benzina per chi viene da fuori città. Gli uffici dell’ATO – che governano il sistema idrico di circa 2,3 milioni di persone – composti da una decina di persone comportano un costo vivo al cittadino di circa 2 Euro su una media di circa 200 euro all’anno di tariffa per famiglia. Questo costo in realtà sostituisce quello degli uffici tecnici dei 306 Comuni dell’ATO3 che non hanno più bisogno – o in maniera irrilevante – di occuparsi di acquedotto, fognatura e depurazione. Ma la cosa più importante è che questi costi derivano dalla tariffa che i cittadini pagano per il servizio idrico e non dalla fiscalità dello Stato. In sostanza non sono pagati dalle tasse dei cittadini, ma dall’uso di un servizio. Non è quindi esatto il concetto riportato da Morando che lo Stato con l’abolizione delle ATO – almeno nel caso torinese – risparmierebbe importanti risorse, semplicemente perché già oggi non le spende! Tantomeno sarebbero disponibili per Province e Comuni . Al contrario facendo rientrare le competenze degli uffici in quelli ad esempio delle Province o dei Comuni, questi dovrebbero assorbire le strutture tecniche che oggi si occupano del problema. Comunque il fatto che gli uffici degli Enti, questi sì pagati dalle tasse dei cittadini, riprendano la gestione aggrava il bilancio dello Stato. Nel caso fosse riportato l’introito della gestione agli Enti, questa sicuramente non può configurarsi come la soluzione più efficiente proprio perché tassa occulta che servirebbe a pagare anche funzioni diverse da quelle del sistema idrico che gli uffici dovrebbero svolgere in contemporanea, tradendo il principio della Legge Galli che i soldi derivanti dall’acqua devono ritornare all’acqua e non essere usati per altre funzioni, rischio non teorico come sappiamo bene. Con ciò si deve ammettere che non in tutti gli ATO si ottiene un’efficienza perfetta, ma un discorso è riformare lo strumento al meglio, altro caso è l’abolizione tout court. E’ il classico esempio del bambino e dell’acqua sporca. Attenzione quindi a parlare con cognizione di causa ed alle semplificazioni. Tralasciando poi altri aspetti ancora più importanti – es. la coerenza del sistema idrico con i confini amministrativi – l’invito rimane quello di approfondire il merito e lasciare il fumus persecutorio ai demagoghi.

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