Dorino Piras
La Salute, l'Ambiente, il Lavoro
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Continuano le difficoltà sul fronte dell’Unione Europea riguardo la suddivisione dei finanziamenti che i Paesi cosiddetti sviluppati riconoscerebbero a quelli in via di sviluppo per le azioni di adattamento contro i cambiamenti climatici. L’odierna riunione dei Ministri Europei delle Finanze, non ha infatti raggiunto un consenso valido rimandando le decisioni ad una riunione dei capi di Stato e di Governo che si terrà il 29 e 30 ottobre. I Paesi europei rimangono quindi divisi su quanto e come ripartire questo “peso”, stimato intorno ai 100 miliardi di Euro all’anno a partire dal 2020 (tra i 2 e i 15 miliardi di Euro all’anno)
350.org è una campagna internazionale dedicata alla realizzazione di un movimento per unire il mondo attorno alle soluzioni per la crisi climatica – le soluzioni richieste dalla giustizia. La nostra missione è quella di ispirare il mondo ad affrontare la sfida della crisi climatica – per creare un nuovo senso di urgenza e di possibilità.
Siamo concentrati sul numero 350 – come parti per milione, che è il livello individuato dagli scienziati come limite superiore di sicurezza per la CO2 nell’atmosfera. Ma 350 è più di un numero – è il simbolo di dove dobbiamo dirigerci come pianeta.
Per affrontare i cambiamenti climatici, dobbiamo muoverci rapidamente, e dobbiamo agire all’unisono – e l’anno 2009 sarà un anno assolutamente cruciale. Il prossimo dicembre i leader mondiali si riuniranno a Copenaghen, in Danimarca, per scrivere un nuovo trattato globale sulla riduzione delle emissioni. Il problema è che, il trattato che si trova ora sul tavolo non combacia con la gravità della crisi climatica – non supera il test di 350.
Al fine di unire il pubblico, i media ed i nostri leader politici dietro all’obbiettivo di 350, stiamo sfruttando la potenza di internet per coordinare una giornata di azione planetaria il 24 ottobre 2009. Speriamo di avere delle azioni in centinaia di luoghi icona intorno al mondo – dal Taj Mahal alla Grande barriera corallina alla vostra comunità – ed un messaggio chiaro per i leader mondiali: le soluzioni per il cambiamento climatico devono essere imparziali, devono essere basate sulla scienza e devono soddisfare le dimensioni della crisi.
Se un movimento di base riuscisse a far si che i nostri leader siano informati della più recente scienza del clima, possiamo iniziare la trasformazione globale di cui abbiamo disperatamente bisogno.
Siamo concentrati sul numero 350 – come parti per milione, che è il livello individuato dagli scienziati come limite superiore di sicurezza per la CO2 nell’atmosfera. Ma 350 è più di un numero – è il simbolo di dove dobbiamo dirigerci come pianeta.
Per affrontare i cambiamenti climatici, dobbiamo muoverci rapidamente, e dobbiamo agire all’unisono – e l’anno 2009 sarà un anno assolutamente cruciale. Il prossimo dicembre i leader mondiali si riuniranno a Copenaghen, in Danimarca, per scrivere un nuovo trattato globale sulla riduzione delle emissioni. Il problema è che, il trattato che si trova ora sul tavolo non combacia con la gravità della crisi climatica – non supera il test di 350.
Al fine di unire il pubblico, i media ed i nostri leader politici dietro all’obbiettivo di 350, stiamo sfruttando la potenza di internet per coordinare una giornata di azione planetaria il 24 ottobre 2009. Speriamo di avere delle azioni in centinaia di luoghi icona intorno al mondo – dal Taj Mahal alla Grande barriera corallina alla vostra comunità – ed un messaggio chiaro per i leader mondiali: le soluzioni per il cambiamento climatico devono essere imparziali, devono essere basate sulla scienza e devono soddisfare le dimensioni della crisi.
Se un movimento di base riuscisse a far si che i nostri leader siano informati della più recente scienza del clima, possiamo iniziare la trasformazione globale di cui abbiamo disperatamente bisogno.
Amiamo profondamente l’Italia e abbiamo a cuore il futuro del nostro pianeta. Riteniamo necessario impegnarci per dare una risposta ai gravi problemi ambientali e sociali che investono il nostro Paese. Il futuro di chi verrà dopo di noi deve essere al centro dell’azione della politica del nuovo secolo. Rispondere al degrado dell’ambiente, del paesaggio e ai gravi problemi sociali. La lotta ai cambiamenti climatici, alla distruzione degli ecosistemi e alla povertà, tutti connessi tra loro, devono essere una priorità nell’azione di ogni governo. Le ideologie e i partiti del Novecento sono inadeguati a rispondere alle nuove questioni che si pongono. La questione ambientale è una chiave di lettura per una nuova visione dell’economia e della società. La nozione fondamentale di interesse generale ha lasciato il posto alla difesa e all’affermazione degli interessi individuali, familiari, corporativi o di clan.
La stessa esistenza di una sola Italia è in pericolo, spaccata in due, minacciando di rompersi in più pezzi. La riforma federalista dello Stato non si accompagna a una visione chiara dei rapporti tra potere centrale e locale, né al modello di sviluppo della società, dei servizi minimi da garantire sul piano sociale, ambientale ed economico. Ma si riduce a una costellazione di mediocri localismi, sempre più piccoli, egoistici e autarchici, senza alcuna pulsione né proiezione verso l’Europa più avanzata.
L’ambiente paga pesantemente questo sfaldamento selvaggio della struttura statale, poiché le scelte territoriali in sede locale rispondono facilmente a logiche di scambio piuttosto che a esigenze di garanzia per i cittadini. In campo urbanistico, ambientale e paesaggistico, il disastro si tocca con mano. La “privatizzazione” del pubblico sta diventando la logica del “padrone a casa mia”, anche quando è un bene comune. Più i poteri decisionali sono a livello locale e si è condizionati nelle decisioni anche tecniche dagli interessi municipali di gruppi economici o privati, più viene indebolita e devitalizzata l’azione degli organismi di tutela. L’ambiente è sempre più dissestato e inquinato, il paesaggio continuamente imbruttito da cemento e asfalto, l’agricoltura di qualità e il turismo in pericolo.
L’attuale modello di sviluppo economico che ha generato nel pianeta povertà, squilibri e guerre va riformato. Come del resto il modo di misurare il Pil attraverso indicatori che valutino lo sviluppo in termini di benessere sociale e ambientale. Dobbiamo puntare sulla qualità per tutelare la salute dei cittadini. La decisione del governo di tornare all’atomo è sbagliata. Il futuro energetico del mondo non può essere l’attuale nucleare, con il problema delle scorie radioattive e della sicurezza. E nemmeno il carbone, con il suo forte impatto ambientale e sanitario provocato da emissioni di CO2 e polveri sottili. La nuova politica energetica deve basarsi sulle rinnovabili, sul risparmio e l’efficienza, puntando su ricerca e innovazione tecnologica, per costruire la nuova era della green economy.
Dobbiamo fermare il consumo del territorio, affrontare l’emergenza sanitaria dello smog, investendo sul trasporto pubblico su ferro. Valorizzare la bioedilizia, prevenire il dissesto idrogeologico, realizzare sistemi di gestione dei rifiuti sostenibili. Ci sentiamo impegnati nella tutela degli animali, nel superamento della vivisezione e contro la liberalizzazione della caccia. L’acqua, in una seria politica ecologica e dei diritti, è un bene comune. Va tutelata la biodiversità, l’agricoltura biologica e quella libera da Ogm per garantire le tradizioni tipiche ed enogastronomiche. Il patrimonio archeologico, artistico, paesaggistico e culturale potrà essere opportunità di nuova occupazione.
Osserviamo con preoccupazione la scomparsa di un’autonoma presenza ecologista in Italia, in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Vogliamo contribuire affinché anche nel nostro Paese nasca un forte e credibile movimento ecologista, un non partito, una rete ecologista territoriale, tematica, libera, diversa e aperta, in grado di parlare a tutti gli italiani, trasversalmente e senza confini ideologici. Guardiamo con attenzione all’appello “Il coraggio di osare”, lanciato da molti ambientalisti e riteniamo importante che gli ecologisti trovino un’unità per trasformare in realtà la speranza di milioni di cittadini per un’Italia migliore. Lo scenario temporale di questo progetto politico deve essere ampio. Bisogna lavorare per il domani, dando il meglio di noi in questa grande sfida.
La stessa esistenza di una sola Italia è in pericolo, spaccata in due, minacciando di rompersi in più pezzi. La riforma federalista dello Stato non si accompagna a una visione chiara dei rapporti tra potere centrale e locale, né al modello di sviluppo della società, dei servizi minimi da garantire sul piano sociale, ambientale ed economico. Ma si riduce a una costellazione di mediocri localismi, sempre più piccoli, egoistici e autarchici, senza alcuna pulsione né proiezione verso l’Europa più avanzata.
L’ambiente paga pesantemente questo sfaldamento selvaggio della struttura statale, poiché le scelte territoriali in sede locale rispondono facilmente a logiche di scambio piuttosto che a esigenze di garanzia per i cittadini. In campo urbanistico, ambientale e paesaggistico, il disastro si tocca con mano. La “privatizzazione” del pubblico sta diventando la logica del “padrone a casa mia”, anche quando è un bene comune. Più i poteri decisionali sono a livello locale e si è condizionati nelle decisioni anche tecniche dagli interessi municipali di gruppi economici o privati, più viene indebolita e devitalizzata l’azione degli organismi di tutela. L’ambiente è sempre più dissestato e inquinato, il paesaggio continuamente imbruttito da cemento e asfalto, l’agricoltura di qualità e il turismo in pericolo.
L’attuale modello di sviluppo economico che ha generato nel pianeta povertà, squilibri e guerre va riformato. Come del resto il modo di misurare il Pil attraverso indicatori che valutino lo sviluppo in termini di benessere sociale e ambientale. Dobbiamo puntare sulla qualità per tutelare la salute dei cittadini. La decisione del governo di tornare all’atomo è sbagliata. Il futuro energetico del mondo non può essere l’attuale nucleare, con il problema delle scorie radioattive e della sicurezza. E nemmeno il carbone, con il suo forte impatto ambientale e sanitario provocato da emissioni di CO2 e polveri sottili. La nuova politica energetica deve basarsi sulle rinnovabili, sul risparmio e l’efficienza, puntando su ricerca e innovazione tecnologica, per costruire la nuova era della green economy.
Dobbiamo fermare il consumo del territorio, affrontare l’emergenza sanitaria dello smog, investendo sul trasporto pubblico su ferro. Valorizzare la bioedilizia, prevenire il dissesto idrogeologico, realizzare sistemi di gestione dei rifiuti sostenibili. Ci sentiamo impegnati nella tutela degli animali, nel superamento della vivisezione e contro la liberalizzazione della caccia. L’acqua, in una seria politica ecologica e dei diritti, è un bene comune. Va tutelata la biodiversità, l’agricoltura biologica e quella libera da Ogm per garantire le tradizioni tipiche ed enogastronomiche. Il patrimonio archeologico, artistico, paesaggistico e culturale potrà essere opportunità di nuova occupazione.
Osserviamo con preoccupazione la scomparsa di un’autonoma presenza ecologista in Italia, in controtendenza rispetto al resto d’Europa. Vogliamo contribuire affinché anche nel nostro Paese nasca un forte e credibile movimento ecologista, un non partito, una rete ecologista territoriale, tematica, libera, diversa e aperta, in grado di parlare a tutti gli italiani, trasversalmente e senza confini ideologici. Guardiamo con attenzione all’appello “Il coraggio di osare”, lanciato da molti ambientalisti e riteniamo importante che gli ecologisti trovino un’unità per trasformare in realtà la speranza di milioni di cittadini per un’Italia migliore. Lo scenario temporale di questo progetto politico deve essere ampio. Bisogna lavorare per il domani, dando il meglio di noi in questa grande sfida.
La Commissione Europea in data 28 settembre ha bocciato il piano per il risanamento della qualità dell’aria italiano, avviando la procedura d’infrazione se i limiti non saranno rispettati nel 2011. Nel nord Italia, solo la Valle d’Aosta riesce ad ottenere una deroga. Uno dei cardini della bocciatura del piano italiano sarebbe non tanto la mancata predisposizone deipiani provinciali e regionali, quando la mancanza di un piano nazionale in mancanza del quale i piani locali non riuscirebbero a raggungere l’efficacia. Il piano nazionale, infatti, è ancora in stesura a livello ministeriale e il Ministro Prestigiacomo non sembra aver dissipato i dubbi dell’Unione Europea sul quadro generale di azioni da porre in campo. La politica delle deroghe, dei tentativi di dilazione, delle giustificazioni sulle condizioni climatiche non sembra quindi intenerire la Commissione Europea che alza stavolta il cartellino rosso. Il testo della missiva europea sul sito www.legambiente.org
Mentre l’Italia è distratta da altre faccende è in corso, in Europa, un’importante discussione che non trova pressochè riscontro nei nostri organi d’informazione. Per contrastare il cambiamento climatico, infatti, si sta facendo sempre più strada l’idea di ricorrere ad una cosiddetta “Carbon Tax” che ha trovato l’attenzione dei ventisette Ministri delle Finanze europei all’ultimo vertice di Goteborg tenutosi il 2 ottobre scorso. Il modello prende ispirazione dall’esempio svedese, paese che attualmente presiede l’Unione Europea e che, attraverso il proprio Ministro delle Finanze Anders Borg, lo rilancia affermando che è “un’ottima risorsa ed un modello molto efficace per ridure le emissioni di CO2”. La discussione sulla tassa del carbonio si è fatta molto viva recentemente in Francia, quando lo stesso Presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato la propria volontà di intraprendere questa strada. Chiaramente introdurre una norma del genere in tempi di crisi finanziaria non è semplice. Questo tipo di azione, però, possiede diversi aspetti positivi che stanno sempre più guadagnando il consenso degli esperti del settore sia di estrazione economica che di provenienza ambientalistica. Oltre l’efficacia, infatti, agli occhi dei promotori questo tipo di tassazione rappresenterebbe il miglior modo di ripartire in maniera equa il peso delle risorse necessarie per affrontare la lotta al riscaldamento globale. Ma a queli conclusioni sono giunti i “27”? Innanzitutto esiste il problema dei Paesi ancora indietro nello sviluppo industriale, che non sono disponibili a lasciare un vantaggio economico ai Paesi maggiormente sviluppati, per cui i vertici della politica economica europea si sono resi disponibili a riequilibrare le differenze che tale tassazione, almeno inizialmente, apporterebbe ai paesi maggiormente sviluppati, mettendo a disposizione una cifra variabile tra i 2 e i 15 miliardi di euro, a condizione però che si raggiunga un accordo forte alla conferenza di Copenhagen sui cambiamenti climatici del prossimo dicembre. La discussione europea sul meccanismo della tassa, mette in gioco comunque tutti i settori di attività, compresi quelli del trasporto e dell’agricoltura attualmente non compresi nel meccanismo dello scambio di quote d’emissione di CO2. L’idea in discussione è quella di una tassazione che si appoggerebbe prevalentemente sulla revisione del quadro comunitario concernente la fiscalità sull’energia. Le maggiori riserve sembrano al momento provenire dall’Austria e dalla Gran Bretagna, anche se la discussione è in campo e non sembra impossibile che la stessa Commissione possa fare una concreta proposta già nel corso del 2010.
Il Governo Belga ha deciso di prolungare di almeno dieci anni la vita di tre centrali nucleari come è stato ripreso dalla testata francese “Le Monde”. Le centrali, due nelle Findre e una in Vallonia, avrebbero dovuto terminare il loro ciclo nel 2015. Il Belgio possiede sette centrali nucleari che coprono circa il 54% dell’energia elettrica prodotta nel Paese. Di particolare è da segnalare che la decisione è stata accompagnata da uno studio di esperti belgi e stranieri che hanno concluso come la chiusura di questi reattori avrebbero posto in pericolo la sicurezza di approvvigionamento e la competitività delle imprese belghe, oltre al fatto che la chiusura delle centrali non sarebbe stata compensata dalla diminuzione dei consumi e dall’aumento previsto dell’energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Il quadro è certamente molto più complesso e trova almeno due aspetti da sottolineare. Ilprimo è il fatto che è cambiata la compagine governativa che vedeva forze verdi e socialiste (peraltro ancora influenti nei governi locali vallone e delle Fiandre) garanti di una diversa politica energetica da quella che l’attuale Governo sta intraprendendo. Dall’altro è da sottolineare la partita che i vertici del gruppo francese di Electrabel e di GDF Suez stanno giocando in quel Paese. Non è infatti da dimenticare la minaccia concretizzatasi nel gennaio scorso quando, a fronte del quadro di esitazione politica del governo, la stessa società produttrice di energia, aveva ventilato la cessazione di ulteriori investimenti a fronte della chiusura delle stesse centrali. Il tutto comunque condito dalla foglia di fico rappresentata dalla considerazione che l’abbandono del nucleare avrebbe comportato un aumento delle emissioni di CO2, argomento ripreso dal Governo belga. Il quale comunque vorrebbe giungere a nuove condizioni di esercizio, motivando che l’investimento per la costruzione delle centrali è stato ammortizzato, i costi di produzione sono bassi mentre le tariffe dei consumatori non hanno subito diminuzioni. Per complicare ancora di più il quadro, Le Monde rimarca anche un altro fattore significativo, come la contestazione di Elecrabel davanti alla Corte Costituzionale sull’obbligo di pagamento per il 2008 ed il 2009, di tasse al Governo belga di 250 milioni di Euro.
Come leggere la partita che si sta giocando anche in questi giorni sul cambiamento climatico? In realtà il dato più appariscente è che la politica e l’economia stanno andando su strade diverse. E la politica è sempre più lenta con rimarchevoli difficoltà nella lettura della realtà. Un esempio a sostegno di questa tesi la si può ritrovare nei fatti e nelle dichiarazioni di responsabili di grandi aziende e, con diverso tenore, politici. Paul Dickinson, ad esempio, è a capo del “Carbon Disclosure Project” ed ha rivelato che il 52% delle principali imprese americane ha già adottato importanti misure per la riduzione dell’emissione e produzione dei gas-serra, rilevando anche che le gandi aziende sarebbero già capaci e disponibili ad intraprendere altre misure in merito. Perfino Wal-Mart, attraverso il suo Direttore Greg Timble fa sapere che la più grande catena di distribuzione mondiale americana è energeticamente sempre più efficiente. Sulle motivazioni di tale rincorsa a modelli più efficienti, si può sempre far affidamento sulle dichiarazioni che ci arrivano dai responsabili della Nike e della Levi-Strauss (sì, quella dei blue jeans) coem riportato dal sito de “Il sole24ore”: se non si interviene – ha detto Figel della Nike – tutto diventerà più costoso, più arduo e rischioso; mentre per Anna Walker di Levi-Strauss “il 95% dei nostri prodotti è basato sul cotone e la scarsità d’acqua potrebbe diventare un dramma”. I politici sembrano invece giocare una sfida in punta di fioretto dove, sostanzialmente, si muoveranno se si muoveranno quelli di altri Paesi. Inutile spiegare che la stessa economia non ritiene più possibile aspettare tempi migliori, mentre i politici non riescono a comprendere che la caccia al consenso, sia delle popolazioni che dei responsabili economici delle aziende, non si gioca più sull’immobilismo e sulle cattive abitudini ecologiche. Paradossalmente questo passaggio sembra sia stato perfino recepito dai governanti della potenza economica considerata come la più inquinante, la Cina, che attraverso il suo Presidente, Hu Jintao, sta lanciando chiari segnali sulla possibilità che la Repubblica Popolare decida un importante azione sulla riduzione della produzione di gas-serra. Per finire, chi avesse ancora molti dubbi sulle ripercussioni delle attività produttive rispetto all’inquinamento, può sempre considerare il dato sul calo record delle emissioni globali di CO2 del 2,6% fornito quest’anno dall’Agenzia Internazione dell’Energia, da ascriversi alla negativa congiuntura economica.
La prestigiosa Royal Society britannica ha pubblicato un proprio rapporto sul geoenineering, la possibilità di intervenire tecnologicamente su scala planetaria, contro il cambiamento climatico. La novità sta nel fatto che soluzioni considerate fino a poco tempo fa poco plausibili o ardite, sono state ristudiate e rivalutate, proponendosi all’attenzione degli scienziati e dei politici di tutto il mondo. Cattura della CO2, fertilizzazione dei mari, specchi riflettenti orbitanti attorno alla terra potrebbero rappresentare strade non più così fantasiose. Qui il link al rapporto (in inglese)
Occhio al World Water Week che si è aperto a Stoccolma e che girerà intorno al tema “Rispondere alle sfide globali: accesso all’acqua per il bene comune (responding to global changes: accessing water for the common good). Il WWW è organizzato per consentire scambi di idee, opinioni ed esperienze riguardanti il tema dell’acqua e coinvolge politici, esperti del settore, scienziati di diversi settori, tentando di uscire fuori dalla retorica ampiamente presente sul panorama internazionale, ma fornendo soluzioni reali non solo alla crisi idrica globale, ma alla gestione delle acque a 360 gradi. Soprattutto quest’anno l’obbiettivo comne degli organizzatori sembra essere quello di superare il problema dell’accertamento e dell’allarme delle problematiche idriche, a favore di fatti concreti e azioni tempestive e realistiche. Per seguire meglio l’incontro vai al sito del World water week 2009
(su ansa.it) Ricercatori USA avrebbero testato un liquido antinquinamento, la monoetanolamina, che riuscirebbe ad assorbire CO2, biossido di zolfo ed altri gas nocivi in associazione con acqua. La sostanza, secondo i ricercatori, potrebbe essere impiegata per ridurre le emissioni soprattutto delle centrali elettriche e industriali. Di non poco conto è il fatto che può essere impiegata a temperatura ambiente, ha un fabbisogno energetico inferiore agli altri sistemi e permetterebbe il rilascio successivo degli inquinanti, permettendone lo smaltimento con le consuete modalità.