Non so perchè dovrebbe appassionarci la “disfida” delle primarie a Torino. Se è pur vero che dovrebbe esserci grande possibilità di scelta tra cinque candidati, nessuno sa bene cosa questi candidati rappresentino in termini di politiche per la città. Ad esempio cosa succederebbe alla tariffa dell’acqua ed all’azienda che gestisce, la Smat; come verrebbero riparate le buche delle strade; quanti nuovi asili nido o servizi verrebbero messi a disposizione; quanti spalaneve verrebbero impiegati in caso di nevicata. Già, gli spalaneve. Sono quelli ad esempio per cui un sindaco di Chicago si è dovuto dimettere non perchè non sono usciti per le strade, ma perchè sono usciti con un qualche ritardo, come ci ricorda John Podesta nel suo libro sui progressisti americani. Saranno anche banalità secondo molti ma qualsiasi candidato alla carica di Sindaco di una grande città dovrebbe presentarsi con qualche idea ben chiara a proposito. Bisognerebbe forse passare dallo slogan secondo cui Torino è sempre in movimento con “a Torino le cose funzionano” proprio perchè abbiamo avuto un’amministrazione che le cose, bene o male, le ha fatte funzionare. Ma dopo aver ringraziato Chiamparino, il problema oggi sta tutto nelle nuove sfide che ci stanno davanti: i servizi alle famiglie ed alle persone, il lavoro ed i suoi tempi, una mobilità da XXI secolo, le connessioni a banda larga, le modalità di partecipazione dei cittadini alle grandi scelte, un sistema culturale attrezzato e globale, una scelta ambientale netta, la difesa corretta del suolo del nostro territorio e via discorrendo. Il problema oggi è forse capire se la nostra città ha qualcosa da dire in più e meglio al mondo globalizzato o se sia solo uno spicchio di mondo da amministrare meglio che si può. Basterebbe quindi questa semplice domanda ai candidati sindaco per capire dove orientare le nostre scelte. Che siano cinque o venticinque per me pari sono