In tutti programmi elettorali (da destra a sinistra) una delle poche cose condivise appare essere l’apertura “sette giorni su sette per 24 ore” degli studi di medicina generale. Ma siamo sicuri che sia la risposta giusta per i nuovi bisogni di salute?
Una bella analisi di Roberto Polillo da leggere su quotidianosanità.it
Nei programmi elettorali di tutti i partiti politici (dalla destra alla sinistra, dal livello nazionale a quello regionale) un elemento comune è la proposta di istituire ambulatori dei medici di medicina generale con apertura h 24 e sette giorni su sette. E tale proposta viene enfatizzata come una panacea risolutrice dei nostri problemi assistenziali. Di fatto e a ben vedere si chiede semplicemente di rendere esecutivo (e in un certo modo più stringente) quanto già previsto nella legge N° 189/2012 del Ministro Balduzzi che tale materia ha tentato di disciplinare. Certo i limiti della legge sono evidenti a partire dalla mancanza di risorse dedicate, ma è innegabile che una volta istituito il ruolo unico del personale (6 mesi) e realizzate le AFP e le UCCP (il cui processo di costituzione è stato già avviato da diverse regioni tra cui la Toscana) l’h 24 potrà diventare una realtà presente sul territorio.
Il problema che si pone però non è tanto relativo alla possibilità di concreta realizzazione di tali strutture ( già previste peraltro dal vigente ACN per la medicina generale) quanto alla reale utilità che queste potranno avere nel sistema urgenza- emergenza e nel ridurre l’accesso (improprio) al pronto soccorso e nel miglioramento dei livelli di assistenza in senso lato.
Una serie di considerazioni che ora farò mi portano a ritenere che l’apertura H 24 sia inutile, un dispendio di energie e un errore di interpretazione degli attuali dati epidemiologici. Concordo invece con quanto ha fatto la regione Toscana che ha deciso, laddove possibile, di limitare il servizio di continuità assistenziale alla mezzanotte e utilizzare le ore liberate per implementare l’assistenza domiciliare, la presenza dei medici nelle strutture intermedie e l’attuazione dei programmi di medicina di iniziativa tipici del chronic care model. Procedo per punti
1. L’avvenuta transizione epidemiologica con il passaggio dalle malattie prevalentemente acute alle croniche ha spostato il baricentro dell’assistenza dall’ospedale al territorio. I dati epidemiologici ci dicono che in media otto anziani su dieci (80%) soffrono di una o più patologie croniche caratterizzate da diversi stadi di gravità. Altrettanto grave il problema della comorbilità, ed infatti si stima che gli anziani con almeno 3 malattie croniche siano circa il 9% degli ultrasessantacinquenni. Di fatto già oggi i 4/5 delle prestazioni sanitarie sono richieste per il trattamento della cronicità ed i 2/3 dei ricoveri sono ad esse attribuibili;
2. L’analisi del profilo di salute della nostra popolazione evidenzia aumenti di prevalenza delle seguenti patologie
• diabete – con pazienti in trattamento cronico con farmaci antidiabetici, un quinto dei quali trattato con insulina;
• ipertensione – con pazienti in cura quasi sempre con trattamenti combinati di farmaci antipertensivi ;
• infarti miocardici acuti (IMA);
• ictus cerebrali;
•scompenso cardiaco con alta prevalenza negli anziani ultrasessantacinquenni ;
• broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) anche essa con forte prevalenza nei pazienti con più di 65 anni
• demenza, aterosclerosi non autosufficienza e perdita della autonomia.
Alcuni studi predittivi stimano inoltre che nel 2020 circa il 60% della popolazione sarà affetto da patologie croniche. Mi sembra del tutto evidente che per tali patologie aprire gli studi dei MMG per 24 ore sia del tutto inutile. Ed il motivo è che una apertura protratta alle ore notturne non aggiungerebbe nulla nella gestione di tali patologie che richiedono invece una programmazione degli interventi di promozione della salute e di prevenzione secondaria e terziaria delle complicanze. Per tali condizioni cliniche dunque il setting assistenziale appropriato non è quello della alta estensività di cura ( tipico della emergenza ) ma quello della estensività e della forte integrazione socio-sanitaria e come tale programmabile nelle ordinarie ore di attività degli studi.
3. Il trattamento delle urgenze- emergenze richiede un setting ad alta intensità e specializzazione clinico- strumentale . Un banale dolore precordiale può essere l’epifenomeno di patologie di organi ed apparati diversi: dal miocardio alla giunzione gastroesofagea; dalla parete della aorta al piccolo circolo. Spesso, e nei casi tendenzialmente più gravi, la diagnosi viene raggiunta solo dopo esami strumentali anche di tipo invasivo. Una lieve alterazione dell’ECG può essere la spia di un infarto miocardio all’esordio che impone l’effettuazione in urgenza di una coronarografia per effettuare una ricanalizzazione della coronaria chiusa con apposito stent. Un intervento che può modificare la prognosi in modo clamoroso e portare ad una vera restituito ad integrum.
4. La gestione del paziente in condizioni di acuzie cliniche richiede una specializzazione e un tipo di professionalità da parte degli operatori che può essere acquisita e mantenuta solo in un contesto ospedaliero in cui sia presente un DEA. Affidare tale compito a MMG provvisti semmai di un Ellettrrocardiografo o di qualche altro apparecchio è un azzardo clinico che espone il professionista e il paziente a rischi che sono più inaccettabili allo stato attuale. Senza contare il contenzioso legale che ne potrebbe derivare in caso di danni subiti dal paziente anche nei semplici termini di un ritardo nella corretta diagnosi.
5. I medici che lavorano nel territorio hanno un ruolo fondamentale nella gestione di quella nuova epidemia che è rappresentata dalle malattie croniche. Il modello assistenziale più evoluto è quello dell’extended chronic model e per la realizzazione delle iniziative a questo inerente sono richieste professionalità , passione e capacità organizzative che nulla hanno a che fare con il trattamento delle urgenze–emergenze.
6. Il servizio di continuità assistenziale potrebbe essere limitato alle ore 24 mentre dalle ore 24 alle ore 8 questo potrebbe essere garantito con meno costi e con più efficacia dal 118 e dalla rete dei DEA e Pronto soccorsi
In conclusione ritengo e spero di avere correttamente argomentato che l’adozione del modello H24 per la medicina generale non è la risposta adeguata per rispondere alla odierna patocenosi caratterizzata, come detto, dalla forte prevalenza delle cronicità e delle co-morbilità e una marcata riduzione delle patologia ad andamento acuto.
Roberto Polillo
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