C’è un punto in tutto il dibattito a sinistra, scarso a dire il vero, che trovo utile riprendere. Alfiero Grandi, in un editoriale interessante, rimarca una questione che ormai è diventata un ritornello tanto viene ripetuta e poco praticata: “(…) resta il fatto che la sinistra complessivamente non si occupa, o almeno non a sufficienza e in modo credibile, dei problemi veri che attanagliano le persone reali. Il problema di fondo della sinistra (tutta) a mio avviso è che deve dare risposte qui ed ora ai problemi che mettono in ansia le persone in carne ed ossa. Partire dai problemi e non dalla sopravvivenza dei gruppi dirigenti mi sembra l’ottica con cui affrontare la situazione”. Come unire, quindi, questa necessità con la discussione politica apertasi, ad esempio, sulla prossima tornata elettorale amministrativa locale?
L’ansia provata dalle persone “in carne ed ossa” ha sicuramente diversi motivi, ma credo sia immediatamente riconoscibile la priorità economica: la questione della quarta (ormai terza) settimana è rimasta in piedi intatta rispetto alle elezioni dell’aprile scorso. Ma come si può rispondere a livello di amministrazioni locali al problema? Non è un problema che può trovare risoluzione solamente a livello di politica nazionale?
Certamente no. Esistono anche una cultura di governo locale, delle azioni strutturali concrete che possono alleviare in maniera non episodica il carico sociale economico che le famiglie devono sostenere. Strutturale diciamo, non attraverso strumenti episodici come il taglio dell’ICI che sta mettendo in ginocchio i Comuni, che saranno costretti a riprendersi in altro modo le quote  che il Governo Berlusconi non sta restituendo se non vorranno comprimere i servizi.
Porto un esempio concreto: la politica che una Provincia con i suoi Comuni può svolgere nella gestione di un bene essenziale come l’acqua e del suo ciclo integrato (cioè prenderla, distribuirla ed infine depurarla).
L’acqua che arriva nelle nostre case e che viene successivamente scaricata e depurata, almeno per quelle della Provincia di Torino, ha dei costi che certamente possono definirsi come “sociali”. In primo luogo perché bassi, sia rispetto ai livelli europei, sia rispetto a quelli della maggior parte delle realtà italiane. Eppure è riconosciuta di buona qualità ed il suo utilizzo e la sua successiva depurazione non arriva a costare ad una famiglia media nemmeno 20 €. E non è cosa semplice andare a prenderla, farla scorrere in migliaia di km di tubi, controllarla, riprenderla e pulirla prima di rilasciarla. Oltre al fatto che vengono applicate tariffe diversificate a favore di quelle famiglie che soffrono di svantaggi economici. Non solo. Attraverso il nostro sistema dell’acqua, vengono riconosciute a zone svantaggiate (come ad esempio quelle di montagna che spesso contribuiscono più di altre a rendere disponibile il bene) dei ritorni finanziari ai Comuni per opere connesse che possono riguardare anche altri settori. Una piccolissima quota è anche utilizzabile per progetti di respiro e cooperazione internazionale. E molto altro ancora che non cito ora ma che ho già approfondito in altra sede (e che sono disponibile a far conoscere a quanti interessati). Ma come si ottiene “politicamente” questo risultato? Come può la politica fare tutto ciò? È una questione di scelte che devono essere fatte a monte, proposte che possono essere accettate o meno al momento del voto. Perché innanzitutto si deve considerare questo bene come “pubblico”, cioè deve essere messo al riparo, perché bene essenziale, dalle fluttuazioni del mercato libero. Come si può fare?  Facendolo ad esempio gestire ad una azienda pubblica e scindendo il suo governo mediante uno strumento decisionale democratico: una assemblea di sindaci, presidenti di comunità montane e di Provincia che decidono insieme le linee da seguire e da far sviluppare, appunto, ad un gestore che è di loro proprietà. Questo meccanismo, che diversi vorrebbero abolire si chiama Autorità d’ambito dell’acqua. A meno che si voglia scegliere di pagare, come molti fanno ora, circa 500 volte di più uno stesso litro di acqua. Magari anche con minori controlli. E questi sindaci, presidenti di Provincia e comunità montane considerano naturale non farsi corrispondere alcuno stipendio per questa funzione, perché è naturale che è un ruolo che viene già pagato dai cittadini. Non solo: per dare un supporto tecnico al governo di un sistema che serve circa 2 milioni e mezzo di cittadini, basta una struttura tecnica di circa 10 persone, che allevia un lavoro prima sulle spalle dei tecnici comunali. È chiaro che il sistema deve essere di dimensioni adeguate per arrivare alle cosiddette economie di scala e praticare politiche di area vasta per contemperare le diverse esigenze dei diversi Comuni di dimensioni diverse (e chi può farlo se non una delle erroneamente deprecate Province che si vorrebbero abolire?). Ripeto che tutto questo non può che nascere da una decisione politica a monte che decide di gestire in un certo modo i beni pubblici, che stia attenta a fare gli interessi dei cittadini abolendo gli sprechi, che conservi un sistema democratico ed ampio di scelta in alternativa ai chiusi consigli di amministrazione dove i cittadini non possono rappresentare i propri interessi. Queste sono le politiche che la Sinistra sta già attuando dove governa, come ad esempio in Provincia di Torino. Questo è il frutto di non sottrarsi alla prova del governo locale, come certa sinistra è sempre più tentata di fare. E pur con le dovute e significative differenze, questi modelli di gestione possono essere riproposti anche in altri settori influenzati dalle scelte politiche amministrative: l’energia, la qualità dell’aria, la difesa del suolo, la scuola e via discorrendo. Questo credo sia un esempio di come difendere il cittadino in “carne ed ossa” tentando di dare sollievo alle sue giuste ansie e problemi, un banco di prova politico concreto ed efficace. Senza cadere nell’errore che, come Sinistra, non abbia più un senso partecipare ai governi locali e lasciando ad altri la possibilità di scorrerie gravi e forse irreparabili.