Una buona lettura da fare in estate, quando forse si sbollentano alcuni “astratti furori” invernali, è l’ultimo saggio di Biorn Lomborg (già autore dell’Ambientalista scettico) che si intitola “Stiamo Freschi” edito da Mondadori.

Devo ammettere che Lomborg mi piace, malgrado le sue tesi siano da maneggiare con cura e perizia. Ma chiunque si occupi in maniera seria di questioni ambientali, non può prescindere dai dati che presenta (è uno statistico), oltre all’utile esercizio di passare al suo vaglio le proprie idee. Una sorta di avvocato del diavolo.

Lomborg non contesta, come molti pensano, l’esistenza di un cambiamento climatico. Quello che mette in discussione è la priorità data a soluzioni come la riduzione delle emissioni di CO2. Così inizia a snocciolare dati con a dimostrazione che le costosissime azioni previste dal Protocollo di Kyoto in realtà non reggono ad una sorta di analisi costi-benefici, non portano a benefici tangibili, soprattutto se confrontate con altre priorità ed altri strumenti. Per fare un esempio è interessante confrontare Kyoto con la proposta di far destinare ad ogni Stato almeno lo 0.05% del proprio Prodotto Interno Lordo a favore della ricerca scientifico-tecnologica rivolta a nuove fonti combustibili meno costose e soprattutto più accessibili.

Non solo. L’effetto di impiegare risorse numericamente ingenti sulla spesa sociale, tipo alleviare la povertà, combattere l’aids, prevenire la malaria o fornire infrastrutture per l’accesso all’acqua, provocherebbe una specie di “effetto di trascinamento” colmando il divario sociale, economico e tecnologico che produrrebbe effetti senz’altro più sensibili anche sul versante ambientale. In sostanza il richiamo di Lomborg sottolinea la necessità di operare scelte scientificamente ponderate rispetto a slanci emotivi. Le contraddizioni segnalate sono infatti molteplici e non ultima è quella che il concentrarsi su obbiettivi a lungo termine possa ingenerare un effetto di smarcamento degli attuali decisori politici che lascerebbero a quelli futuri il compito di impegnare queste risorse, spostando quindi “più in là” l’onere di ottenere anche il consenso politico sulla spesa di risorse certamente non infinite. Con una piccola parte dei costi necessari ad abbattere le emissioni di biossido di carbonio, potremmo invece intervenire in modo risolutivo su problemi che toccano da vicino la grande maggioranza degli abitanti del pianeta – fame, povertà, malaria, AIDS, mancanza di acqua potabile e fognature – salvando milioni di vite nel giro di pochi anni.

L’autore comunque non appoggia certamente un governo “economico”, ma continua a privilegiare la decisione politica rispetto a quella economica, considerazione da non sottovalutare nell’attuale panorama generale di ruolo e funzione delle governante a livello locale ed internazionale. Ma rimane comunque il fatto che l’efficacia e l’efficienza delle politiche non possa essere superato da un semplice richiamo emotivo, ma che, nel rendere conto alle future generazioni delle priorità e delle scelte compiute ci consentano di dire che “non abbiamo fatto solo qualcosa che ci faceva sentire bene, ma qualcosa che faceva davvero bene”. Al mondo.