Ieri parlavamo delle misure che il Governo francese intende mettere in pratica a favore dell’ambiente. Vorrei approfondirne una che è stata ripresa in questi giorni anche da alcuni media e di facile comprensione: la targhetta anti-inquinamento sui cibi. In sostanza una variante del più conosciuto eco-label, uno strumento che permette al consumatore di scegliere il prodotto che minimizza l’impatto complessivo sull’ambiente sia nella fase di produzione che in quella di consumo.
In questa targhetta o marchio possono essere indicati diversi parametri quali ad esempio i grammi di CO2 che vengono liberati in atmosfera per la sua produzione o smaltimento, il bilancio energetico la scelta no-OGM e via discorrendo.
In realtà questo è un vero e proprio strumento economico seppure indiretto per diversi motivi. Innanzitutto può costituire un vantaggio in termini di concorrenza, scatenando una concorrenza tesa ad anticipare i concorrenti nella ricerca di prodotti meno inquinanti. Può anche spingere le imprese a modificare i processi di produzione con costi che le imprese potranno comunque recuperare grazie alla popolarità stessa del marchio tra i cittadini che sposteranno i propri consumi verso questi prodotti. La modifica dei processi di produzione può rappresentare anche un’opportunità per le stesse aziende in quanto l’analisi dei ciclo di vita (life cycle assessment–LCA) consente di evitare sprechi nell’impiego di materie prime e di consumo energetico che rappresentano una negatività economica ed ambientale. Se si prendono ad esempio in considerazione gli imballaggi e la loro progettazione se ne può comprendere l’utilità.
Mi preme soprattutto però porre in evidenza un fattore fondamentale che è il ruolo centrale dei cittadini nel processo di controllo del sistema economico, allargando la funzione di preferenza del prodotto secondo schemi di mercato.
Se immaginiamo il ciclo di produzione e consumo vediamo che in realtà il semplice sistema di mercato come oggi in azione, non può controllare se vengono superate le capacità di carico dell’ambiente di rifiuti ed emissioni rilasciate durante le fasi di produzione e consumo. La stessa informazione si ferma alla semplice qualità merceologica del prodotto e al più alle relazioni costo-beneficio su prodotti di concorrenza. Se però il cittadino è messo in grado di valutare, controllare la correttezza “ambientale” del prodotto assume un ruolo attivo con maggiore capacità analitica nel decretare il successo e l’insuccesso del prodotto con la conseguente azione sui comportamenti dei produttori.
Il cittadino in sostanza sarebbe quasi in grado di sostituirsi all’ambiente stesso ed allo Stato nel verificare che il prodotto abbia una sostenibilità ambientale, non solo alla fine del ciclo di vita quanto decide come smaltirlo (raccolta differenziata), ma anche nelle fasi di utilizzo della materia prima e di produzione, degli stessi spostamenti e dei modi di vendita, nonché nel trattamento di acqua, aria.
Tutto ciò non deve chiaramente essere inteso come eliminazione dei controlli ed il processo potrebbe anche non funzionare in maniera perfettamente efficiente, ma sicuramente diverrebbe uno strumento politico in più che deve essere messo a disposizione di tutti noi.
In questa targhetta o marchio possono essere indicati diversi parametri quali ad esempio i grammi di CO2 che vengono liberati in atmosfera per la sua produzione o smaltimento, il bilancio energetico la scelta no-OGM e via discorrendo.
In realtà questo è un vero e proprio strumento economico seppure indiretto per diversi motivi. Innanzitutto può costituire un vantaggio in termini di concorrenza, scatenando una concorrenza tesa ad anticipare i concorrenti nella ricerca di prodotti meno inquinanti. Può anche spingere le imprese a modificare i processi di produzione con costi che le imprese potranno comunque recuperare grazie alla popolarità stessa del marchio tra i cittadini che sposteranno i propri consumi verso questi prodotti. La modifica dei processi di produzione può rappresentare anche un’opportunità per le stesse aziende in quanto l’analisi dei ciclo di vita (life cycle assessment–LCA) consente di evitare sprechi nell’impiego di materie prime e di consumo energetico che rappresentano una negatività economica ed ambientale. Se si prendono ad esempio in considerazione gli imballaggi e la loro progettazione se ne può comprendere l’utilità.
Mi preme soprattutto però porre in evidenza un fattore fondamentale che è il ruolo centrale dei cittadini nel processo di controllo del sistema economico, allargando la funzione di preferenza del prodotto secondo schemi di mercato.
Se immaginiamo il ciclo di produzione e consumo vediamo che in realtà il semplice sistema di mercato come oggi in azione, non può controllare se vengono superate le capacità di carico dell’ambiente di rifiuti ed emissioni rilasciate durante le fasi di produzione e consumo. La stessa informazione si ferma alla semplice qualità merceologica del prodotto e al più alle relazioni costo-beneficio su prodotti di concorrenza. Se però il cittadino è messo in grado di valutare, controllare la correttezza “ambientale” del prodotto assume un ruolo attivo con maggiore capacità analitica nel decretare il successo e l’insuccesso del prodotto con la conseguente azione sui comportamenti dei produttori.
Il cittadino in sostanza sarebbe quasi in grado di sostituirsi all’ambiente stesso ed allo Stato nel verificare che il prodotto abbia una sostenibilità ambientale, non solo alla fine del ciclo di vita quanto decide come smaltirlo (raccolta differenziata), ma anche nelle fasi di utilizzo della materia prima e di produzione, degli stessi spostamenti e dei modi di vendita, nonché nel trattamento di acqua, aria.
Tutto ciò non deve chiaramente essere inteso come eliminazione dei controlli ed il processo potrebbe anche non funzionare in maniera perfettamente efficiente, ma sicuramente diverrebbe uno strumento politico in più che deve essere messo a disposizione di tutti noi.
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