Qual è la vera posta in gioco nella discussione che si è accesa (per quanto ancora?) intorno alla strage dei lavoratori di Torino? Il riconoscimento da parte della società del rischio dei rischi a cui essa stessa è esposta può contenere una inedita esplosività politica: ciò che sembrava non far parte della politica, cioè la semplice eliminazione delle cause di pericolo nei processi di industrializzazione, entra a far parte in maniera forte, pesante della politica, ri-diventa politica. Ecco che l’opinione pubblica e la politica stessa vogliono capire, avere la possibilità di estendere la propria sovranità, entrare a pieno titolo nella discussione di come si ottengono i prodotti, su come sono fatti, dei cicli di lavorazione. Si estende cioè a tutta la società ciò che in realtà è già patrimonio di richieste dei lavoratori stessi. Non solo più “semplici” conseguenze per la salute della natura e dell’uomo, ma anche effetti collaterali sociali, economici e politici. In questo modo nasce nella “società del rischio” la presa di coscienza e la necessità di proteggersi da questi rischi. Ma gestire tutto questo può comportare una richiesta che è attualmente inconcepibile per l’attuale sistema: la richiesta di una riorganizzazione di poteri e di competenze. Questo dibattito, divenuto pubblico, richiede alla politica di poter influire sulla trasformazione tecnico-economica, superando le limitate capacità di controllo e di intervento dello Stato sui protagonisti della modernizzazione nell’industria e nella ricerca. Con una modalità, se vogliamo nuova: evitare la fissazione dell’argomento sul sistema politico come centro esclusivo della politica.