Esiste ad oggi in Italia un serio problema di applicazione di alcune possibilità che il Protocollo di Kyoto pone a disposizione delle aziende italiane e che saranno ancora più attuali dopo Bali.
Ci riferiamo principalmente all’utilizzo di strumenti quali il Clean Development Mechanism (CDM) e del Joint Implementation (JI) che rappresentano un potenziale di sviluppo internazionale per società che operano nel settore delle fonti rinnovabili di energia e dell’efficienza energetica.
Questi meccanismi permettono in modo flessibile alle imprese con vincoli di emissione di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni in altri Paesi a loro volta vincolati dal punto di vista emissivo.
Lo scopo è quello di ridurre il costo complessivo degli obblighi di Kyoto permettendo l’abbattimento delle emissioni là dove è economicamente più conveniente.
Le emissioni evitate generano crediti di emissione ERUs (Emissions Reduction Units) che possono essere utilizzati per soddisfare gli impegni istituzionalmente assegnati e sono sottratti dalla somma di permessi di emissione inizialmente assegnati al Paese ospite (AAUs).
Lo schema si può semplificare come segue:
1. Un’azienda privata od un soggetto pubblico realizza un progetto in un altro paese mirato alla limitazione delle limitazion delle emissioni di gas serra.
2. La differenza fra la quantità di gas serra emessa con la realizzazione del progetto e quella che sarebbe stata emessa senza la realizzazione del progetto è considerata un’emissione evitata e viene accreditata sotto forma di ERUs.
3.I crediti ERUs possono poi essere venduti sul mercato.
Il fatto che il sistema nazionale italiano non riesca ad esprimere progettualità sfruttando questi strumenti è sicuramente un segnale negativo di declino e di mancanza di presenza competitiva sul mercato che preoccupa.
Lo stesso libero mercato denuncia a mio avviso un fallimento del proprio sistema attuale che deve far riflettere in maniera seria chi deve, istituzionalmente, promuovere politiche ambientali che coniughino una migliore qualità ambientale con l’efficienza dei nostri sistemi produttivi.
Risulta inoltre un’ulteriore dimostrazione di come nel nostro Paese stenti ad affermarsi in modo virtuoso l’uso degli strumenti economici derivanti dal sapiente studio dell’economia ambientale e dallo sfruttamento di opportunità globali.
Il ragionamento quindi non può che rafforzare la convinzione del ruolo dello Stato e degli Enti Locali come promotore privilegiato nell’indirizzo di politiche che altrimenti non vengono prese in considerazione dal nostro sistema perdendo un vantaggio competitivo che invece in Europa viene guadagnato dagli altri Paesi, sicuramenti più attenti nel raggiungere migliori standard ambientali mediante lo studio delle leva economiche.