La questione ambientale sembra ormai completamente scomparsa dalla politica. In maniera sicuramente sottile. Se infatti permangono all’interno dei programmi del duopolio punti che richiamano vaghe azioni o intenzioni ambientali, abbiamo ormai perso la spinta propulsiva al cambiamento. Gli stessi slogan ne sono un segnale: di Barak Obama viene perso il “change” il cambiamento, per ridurci al “we can”, si può fare. È stata cancellata l’urgenza del problema ambientale: ormai non si sente più parlare di “piani Marshall” per l’ambiente, di tempistiche strette per la riduzione dei gas serra e le moratorie riguardano altri argomenti. Del Nobel ad Al Gore rimane un appannato ricordo. Ma è soprattutto la banalizzazione che colpisce, il perdere la politica ambientale riducendola ad uno dei tanti punti di qualsiasi programma. Ci saremmo aspettati altro.
Però forse la colpa è anche nostra. Di chi cioè ha scelto il paradigma ambientale come momento fondante del cambiamento. Non siamo riusciti ad esempio a far diventare davvero trasversale la politica ambientale, tentando di far comprendere come gli strumenti per risolvere i problemi dell’ambiente possano contribuire anche ad aggredire in maniera nuova e corretta temi come quello del lavoro, della sicurezza, della politica fiscale. Non abbiamo saputo offrire un modo alternativo di pensare alle risorse di mercato ed alle questioni ambientali. Continuiamo a porre l’accento su politiche che hanno come base principalmente gli stimoli negativi connessi a leggi e regolamenti mentre sarebbe ora di far uscire allo scoperto gli stimoli positivi, le opportunità che ad esempio l’economia ambientale ci suggerisce anche, e perché no, attraverso gli strumenti del mercato e un nuovo ruolo dello Stato. In questa maniera il lavoro viene detassato attraverso proposte quali quella del
doppio dividendo, la sicurezza sul lavoro viene incrementata dai cambiamenti del modello di produzione necessari dall’applicazione delle migliori tecnologie disponibili per ridurre le emissioni, la politica fiscale viene depurata dalle distorsioni provocate dal sempre maggior uso di risorse pubbliche per riparare i danni dell’inquinamento e dalle ineguaglianze, con maggior disponibilità di risorse per scuole e sanità.
La partita sicuramente non è persa, ma queste elezioni sembrano produrre una battuta d’arresto che potrà essere salutare se immediatamente compresa e riconvertita in nuovi paradigmi. L’ambientalismo è sicuramente portatore di innovazione politica, di novità trasversale per molti altri problemi. Ma forse in questi ultimi anni si è troppo preoccupato di cambiare gli altri senza innovarsi internamente, senza porsi il problema di rinnovare se stesso. Il “change” il cambiamento è venuta l’ora di rivolgerla anche a noi stessi.