Il 13 maggio 1978 venne approvata la legge 180, più conosciuta come Legge Basaglia, dal nome di Franco Basaglia che ne fu il principale artefice.
Molte parole, spero, si sprecheranno oggi.
Dal mio punto di vista questa Legge rappresenta il completamento di un trittico, formato dallo Statuto dei Lavoratori e dalla Legge per l’interruzione della gravidanza, che ha davvero cambiato il nostro Paese.
Una “mediazione alta” della politica di ieri che oggi rimpiangiamo.
Malgrado, almeno nella mia gioventù, accusassimo di cedimento e socialrevisionismo chi portava avanti e soprattutto riusciva a realizzare questi importanti monumenti di civiltà.
È inutile rimarcare che la Legge Basaglia non fu la semplice chiusura dei manicomi e che il risultato che ci si poneva andava molto, molto oltre.
L’obbiettivo era la ridiscussione dei rapporti sociali a partire dalla clinica psichiatrica proprio nel suo anello più debole.
Ma soprattutto, per coloro che amano la medicina, fu un atto di insubordinazione, vincente,  di una parte della medicina stessa contro un’altra, contro quella che era stata incaricata di nascondere la cattiva coscienza della società e di fornire strumenti scientifici che giustificassero la quiete e la reclusione dei “mattacchioni” dentro cinte murarie ben alte.
Una riscossa della medicina che ha saputo criticarsi e rovesciarsi con gli stessi propri strumenti.
La vendetta comunque non si è fatta attendere: è bastata una non corretta e parziale applicazione per gridare nuovamente al lupo e far fallire nei fatti una normativa complessa che prevedeva, ad esempio, la costruzione di strutture di accoglienza per coloro che fossero usciti dai manicomi.
Di questa mancata applicazione bisognerebbe rendere conto, che ha provocato effettivamente molti problemi soprattutto alle famiglie svantaggiate.
Ma l’onere della risposta non spetta certamente a Franco Basaglia ed ai suoi, spetta a chi, consapevolmente, ha giocato distraendo anche importanti risorse assegnate alla risoluzione del problema, che era stato attentamente configurato dalla legge stessa.
E così facendo ha anche tramortito la psichiatria stessa, che con questo risultato si è rinchiusa in se stessa, concentrandosi spesso solo su aspetti tecnico-amministrativi e tradendo la sua natura più profonda: quella di non accettare mai delle risposte definitive sull’uomo ma rivedere continuamente i propri presupposti ed il proprio caratteristico modo d’azione.
Con il risultato attuale dove appunto gli aspetti di fondo di una legge come questa non sembrano più suscitare alcun dibattito.



FRANCO BASAGLIA
Nacque a  Venezia, l’11 marzo 1924.
Dal 1961 diresse l’Ospedale psichiatrico di Gorizia, 650 pazienti ricoverati: con la direzione Basaglia cominciò, in questa istituzione, una vera e propria rivoluzione.
Vennero ad esempio eliminati tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie di elettroshock, furono aperti i cancelli, ponendo i malati nella condizione di essere liberi di passeggiare nel parco, di consumare i pasti all’aperto ecc.
Nel 1969 lo psichiatra lasciò Gorizia e, dopo due anni passati a Parma alla direzione dell’ospedale di Colorno, nell’agosto del 1971, divenne direttore del manicomio di Trieste, il San Giovanni, dove c’erano quasi milleduecento malati.
Basaglia istituì subito, all’interno dell’ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro.
Nel 1973 Trieste venne designata “zona pilota” per l’Italia nella ricerca dell’Oms sui servizi di salute mentale.
Nello stesso anno Basaglia fondò il movimento Psichiatria Democratica.  
Nel gennaio 1977, in una affollatissima conferenza stampa, Franco Basaglia e Michele Zanetti, presidente della Provincia di Trieste, annunciarono la chiusura del San Giovanni entro l’anno.
L’anno successivo, il 13 maggio 1978, fu approvata in Parlamento la legge 180 di riforma psichiatrica.