Un opportuno stimolo da un testo veramente ricco e completo che invito caldamente a leggere.
“(…) Le sfide poste dal cambiamento climatico mettono a nudo le tensioni tra individuo e collettività, chiamando in causa una condivisa responsabilità morale, cioè politica. Parlare di ecoemozioni e di sindromi legate al cambiamento climatico espone il dibattito sul ruolo della psicoterapia nel mondo contemporaneo e la sua prospettiva antropocentrica e individualista., mettendo criticamente in discussione la dicotomia tra l’attenzione alle soluzioni individuali e la necessità di interventi trasformativi collettivi (quindi politici).
In realtà, nelle società occidentali, la chiave del successo, e quindi l’attenzione delle persone, sono principalmente l’individualità e la responsabilità personale; pertanto, la gestione e il trattamento delle emozioni ecologiche avviene solitamente attraverso l’attenzione alla resilienza, al coping e all’adattamento alle esperienze stressanti mentre si portano avanti i propri compiti di vita. Questo è coerente con il sistema neoliberale basato sulla competitività, la crescita economica e la supremazia del mercato, in cui ogni persona si sente impegnata a perseguire la realizzazione personale, finché non viene sopraffatta dalle crescenti aspettative insieme all’esaurimento e al crollo. Inoltre, vivere in un mondo sempre più incerto ed insicuro mina la fiducia delle persone, spingendole a cercare distrazione e conforto impegnandosi in attività di piacere e nel consumismo. Ma sia le richieste economiche sia le azioni di compensazione si rivelano distruttive per l’ambiente e la popolazione umana, aumentando i sentimenti di colpa, vergogna e inadeguatezza. Il cambiamento climatico mette in discussione l’ideologia neoliberista della crescita illimitata e del progresso perenne, promossa negli ultimi quarant’anni. Etichettare questo conflitto interiore e i correlati sentimenti di angoscia solo attraverso la terminologia psicopatologica e medica, concentrandosi esclusivamente sulla gestione dei sintomi e sul trattamento cognitivo-comportamentale individuale, senza sottolineare la responsabilità economica e politica, è una dannosa semplificazione in quanto invalida questi sentimenti come base per l’azione e il cambiamento, indebolisce il loro potenziale di critica sociale e di protesta, portando eventualmente al fallimento e all’aumento del senso di impotenza, e così rendendo tale conflitto disadattativo. Addossare all’individuo la responsabilità di affrontare un problema globale rafforza le ragioni della depressione e dell’ansia.
È fondamentale evitare che gli interventi di salute mentale legittimino e consolidino status quo sociopolitici insostenibili, riconoscendo l’importanza di attivarsi nel mondo reale a livello collettivo per affrontare un problema di sistema. Il rischio è che l’ottenimento di di una nuova classificazione dei disturbi mentali legati alla crisi climatica, validata attraverso specifiche valutazioni psicometriche, porti i professionisti della salute mentale ad attenersi al ruolo di operatori sanitari e induca le persone colpite ad identificarsi come pazienti, invece di stimolare un dibattito su come costruire uno stile di vita equo e sostenibile sul pianeta Terra. In questo momento storico cruciale, il pensiero critico è uno strumento essenziale. (…)”